25 Aprile. La Liberazione di 77 anni fa e le catene di oggi che ci riportano all’incertezza e alla paura
È la festa della Liberazione, la guerra è finita da un’ottantina di anni e … siamo di nuovo in guerra.
Non è questa una guerra che nella quale siamo in prima linea ma che ci vede e ci vedrà più impoveriti. In Europa si combatte, dopo una crisi sanitaria che non è ancora terminata, si combatte con le armi e si combatte in casa nostra.
Non voglio sapere quali siano le ragioni che hanno portato l’un contendente ad aggredire l’altro, ciò che mi interessa è che nel 2022 c’è ancora chi, nel mondo civilizzato, usa le armi per farsi valere. Poi si parla di progresso. Dal dopoguerra a oggi uno dei motivi ricorrenti è stato la ricerca della pace. Chi come me è datato ricorderà Woodstock, “tre giorni di pace e d’amore” e ancora il simbolo della pace che per diversi anni ha campeggiato sui pullmini della Volkswagen. Ora che il concetto è stato acquisito, digerito, elaborato, rieccoci al punto di partenza.
LA COSTITUZIONE
Diciamocelo che un po’ d’incoerenza si libra nell’aria. Pace e amore e poi siam qui a fare i guerrafondai ma in retroguardia, ben nascosti, fornendo alle prime linee gli armamenti. Ci siamo scoperti un popolo ricco di contraddizioni. Lo devo ricordare? Forse è utile farlo. Esiste nella nostra costituzione un articolo per la precisione l’undicesimo. Leggiamolo insieme:
“Articolo 11.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”.
Vogliamo ciurlare nel manico? Ebbene noi ripudiamo la guerra, ma forniamo le armi. Chi scrive comprende la situazione attuale, non è un pacifista dell’ultima ora, anzi è un seguace del “dente per dente” però c’è un “ma”. Ripudiare la guerra non significa fornire armi al contendente che si ritiene nella giusta ragione, non significa sanzionare l’irragionevolezza dell’attaccante fino al punto che ci conviene e poi stop. Se si è convinti di una cosa, si arriva fino al limite.
Negli ultimi guerreschi eventi ci siamo trovati a fronteggiare un’invasione (chi dice sì e chi no) di una nazione da parte di un’altra ben più possente. S’è fatto il paragone di Davide contro Golia. Ci si è dichiarati pronti a stendere tappeti rossi agli sfollati di quelle parti ma… le nostre sanzioni si fermano là, dove ci fa comodo. Era necessario interrompere il flusso del gas? Andava fatto tra mille sofferenze ma andava fatto, subito, senza ripensamenti. Purtroppo questo è il meno.
LETTA E L’ELMETTO
Girano per Roma alcuni manifesti, chiaramente fasulli, che mostrano Enrico Letta con l’elmetto. La cosa susciterebbe ilarità se non fosse che lo abbiamo già visto con la casseruola in testa, tempi addietro, a Kabul in Afghanistan.
Secondo Adn Kronos il manifesto è uno di quelli con cui gli attivisti del Collettivo Militant e altri movimenti romani della sinistra radicale hanno tappezzato nella notte il centro della Capitale. È addossata al “Pd” l’accusa di avere promosso il coinvolgimento dell’Italia nel conflitto russo-ucraino. Si legge in una nota del Pd “Gli autori di questo gesto ignobile e illegale, che colpisce tutta la comunità democratica, evidentemente non comprendono la gravità del momento che stiamo attraversando. Non ci faremo intimidire e continueremo a portare avanti, a fianco del segretario Enrico Letta, la nostra azione a sostegno del popolo ucraino per la pace e la libertà in Ucraina”. Che poi sembra quasi una dichiarazione di Peppone in un film di Don Camillo.
In realtà comprendo la situazione. Ci troviamo in una strana dicotomia. Il 26 novembre del 2013 a Trieste, primo ministro proprio Letta, furono firmati ventotto accordi con la Russia, ma era presente anche tutto il governo, c’eravamo tutti noi anche se rappresentati. Nello stesso giorno gli industriali si riunivano auspicando la cooperazione con gli orsi dell’Est. Oggi prendiamo un “elmetto virtuale” per contrastare colui al quale abbiamo stretto la mano. I tempi passano, è vero, ma si cambia poi così tanto?
Questa vicenda richiama i soliti ipocriti opportunismi che si fanno sentire ancora oggi e l’omerica risata che ne è scaturita a Roma e sui social davanti a quel manifesto vale quanto una geniale pasquinata durante il papato. Letta rappresentava un po’ tutti: armati fino ai denti e pronti a partire con un cazzotto per arrivare con una carezza.
I CONTROSENSI
Non voglio prendermela, naturalmente, col segretario del PD, che è stato scelto come vittima sacrificale, ma i controsensi in questa guerra sono tanti. Uno per tutti: le sanzioni si applicano quando si è sicuri di non esserne poi vittime e qui siamo lontani dal non esserlo. Legati mani e piedi a quello che sembra essere il fornitore quasi unico delle nostre fonti energetiche, ci ritroviamo a ballare il samba russo anche noi.
25 VERA FINE DELLA GUERRA?
Questo 25 aprile non festeggia la Liberazione e tantomeno la fine di una guerra ma l’inizio di un nuovo conflitto che ci stordisce con una propaganda fatta per confondere, certezze ormai incerte, tanti dubbi e paura. Useranno le atomiche? Non lo faranno? Ma noi ce le abbiamo? E che succede se… . Siamo tornati un po’ alla Radio Londra d’altri tempi quando il colonnello Stevens dai microfoni della BBC forniva informazioni agli italiani, qualche volta travisate, anche quelle, dalla propaganda.
CORSA ALL’ACCAPARRAMENTO
Ho visto molte persone riempire carrelli al supermercato con farina, caffè, zucchero, sale, pasta e scatolami. Si preparavano a sostenere una novella “carestia da guerra” alla quale ci stiamo avvicinando. Qualcuno ritira i soldi dalle banche per paura di vederli bloccati, una sorta di “oro alla patria” in chiave moderna e obbligato come accadde col dottor Sottile. Qualche sconquasso lo stiamo subendo e se da una parte vediamo il conflitto tanto lontano, non ci rendiamo conto di viverne gli effetti tanto da vicino.
“Non è una guerra” ci diciamo tra noi ma la gente muore, le bombe scoppiano, i cannoni tuonano. Siamo giunti alla festa della Liberazione ma da cosa se le paure, gli stenti e l’incertezza del domani stanno tornando? La voce del nostro governo è stata sostituita da un brusio perché anche lì alberga il dubbio. La verità? Siamo impreparati. Chi se l’aspettava la guerra? Se l’Europa abbaia all’Orso, sta abbaiando con la catena al collo. Come se non bastasse anche il Papa è dubbioso: non sa se andare o no dove si combatte. Lui, però, è vecchierello e malato… .
Vi sembrerò pessimista, ma il panorama che mi si presenta è triste e quel che pensavo non sarebbe mai accaduto si sta verificando sotto il mio sguardo e nessuno, nessuno si smuove dalla ruggine da cui è incrostato per fare qualcosa che non sia il solito viaggio verso una capitale martoriata.
Un triste saluto da un metro e mezzo di distanza.