8 Marzo. Donne, coraggio e sacrificio. Un “Grazie!” a loro per quel che sono e rappresentano
ROMA – Potrei dire tante cose sulla donna, tutte amabili e belle, potrei scrivere sul significato di questa festa, sulle motivazioni che l’hanno creata, ma per quante cose belle io possa scrivere ne troverei altrettante brutte e risulterei un ipocrita. Vorrei, in questa giornata volgere il pensiero a una persona: Giuditta Tavani Arquati Vi domanderete: chi diavolo è? Ebbene, ora ve lo dico. Giuditta fu una dei membri più attivi di quel movimento clandestino di patrioti che tentò di liberare Roma dal dominio papale. In tre giorni, dal 23 al 25 ottobre 1867, Roma fu teatro di tre moti insurrezionali: il primo fallì in Campidoglio, il secondo a villa Glori con l’eccidio dei fratelli Cairoli, l’ultimo in Trastevere nel lanificio Aiani, diventato il principale deposito di armi della congiura.
In via della Lungaretta 97 per l’appunto, a Trastevere, al tempo di Pio IX Mastai Ferretti, esisteva questo lanificio; nella mattina del 25 ottobre 1867, quando Garibaldi prese Monterotondo, Giuditta Tavani Arquati, suo marito, il figlio dodicenne e una quarantina di patrioti, di cui 25 romani, vi si erano riuniti. Trecento zuavi papalini armati di baionette e cannoni assaltarono il lanificio in quello che fu uno degli ultimi feroci capitoli della storia della Roma del Papa Re. I congiurati cercarono di resistere al fuoco, qualcuno riuscì a fuggire attraverso alcune passerelle di legno che erano state poggiate tra due palazzi ma le truppe pontificie ebbero la meglio e riuscirono a farsi strada all’interno dell’edificio. Rimasero uccise nove persone, tra cui il marito di Giuditta Tavani Arquati, che, incinta, con un figlio in braccio si pose tra i congiurati in fuga e le truppe pontificie le quali non ebbero alcuna pietà: la uccisero (figlio in braccio compreso) e infierirono su di lei con le baionette. Il regista Magni fece dire a Manfredi nei panni di Monsignor Colombo da Priverno, nel film “In nome del Papa Re” descrivendo l’assassinio della donna: “Ma come… l’hanno scannata come ‘na capra, j’hanno infierito a baionettate sul cadavere, oh! Una donna di quarantadue anni, gravida, che te vie’ incontro col figlioletto al collo…”
Una eroina che ha dato la sua vita per la repubblica e che, alla festa della donna, forse per ignoranza, non sempre è citata.A lei è stata dedicata una targa sul luogo della strage e una piazza.
Quando parlo di donne, intendo le madri coraggio dei desparecidos, intendo Giuditta Tavani Arquati, parlo di valori che non possono terminare in una bicchierata tra donne o in uno spogliarello maschile. Bello sarebbe dedicare due minuti di meditazione su queste grandi persone. La salma di Giuditta riposa nel Mausoleo Ossario Garibaldino sul Gianicolo nella località detta Colle del Pino e con lei gli eroi garibaldini. Nel quadriportico, quattro bracieri sui cui piedistalli in travertino sono ricordate le battaglie più significative per la liberazione di Roma.
Giuditta fu il simbolo della forza che hanno le donne, una forza nascosta che emerge quando la necessità sopravanza che le rende tutte eroine al bisogno, anche ne vivere il quotidiano. Ho visto nella mia vita donne trascinarsi appresso la famiglia tra mille stenti, ragazze madri affrontare il calvario della solitudine con una forza , spesso, ignota a noi uomini.
Sento parlare di femminicidio e questo termine mi dà ai nervi. Cosa significa femminicidio? Che è stata uccisa una donna che appartiene a un genere e classe diverso da quello umano, ancora disparità? Ci volle il Concilio di Trento per ridar loro l’anima! Le donne hanno un percorso difficile nella vita quotidiana, devono produrre il doppio o il triplo di un uomo per essere altrettanto credibili. Sono le nostre compagne ma anche mamme, amiche, sorelle, a volte amanti, mogli. A proposito della credibilità disse un giorno Maria Callas: “Le donne non sono sufficientemente alla pari con gli uomini, così dobbiamo renderci indispensabili. Dopo tutto, abbiamo l’arma più grande nelle nostre mani: siamo donne!” . Oddio sanno pure rigirarti come un calzino od ottenere ciò che vogliono con meno scrupoli e in modo più diretto del partner maschile ma, diciamocelo, nel corso dei secoli quante ne hanno passate…” Sfruttate, schiavizzate, mandate al rogo come streghe (avessi mai sentito parlare di uno “stregone”).
Ricordate l’origine della Festa delle Donne? Tutti pensano che risalga a una tragedia accaduta nel 1908, che avrebbe avuto come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York, rimaste uccise da un incendio. In realtà fu confusa con un altra del 1911 in cui si registrarono 146 vittime in maggioranza donne nel rogo della fabbrica Triagle.
Dobbiamo, risalire alla Prima Guerra Mondiale quando a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917, le donne manifestarono per chiedere la fine della guerra. Da allora, durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste che si svolse a Mosca nel ‘21, fu stabilito che l’8 marzo fosse la Giornata internazionale dell’operaia. Da noi la festa l’organizzammo un anno dopo ma il 12 marzo (mica siamo copioni no). Nei decenni successivi il movimento per la rivendicazione dei diritti delle donne ha continuato ad ingrandirsi in tutto il mondo. Quando a Roma fu istituita l’ Unione Donne Italiane, si stabilì che l’8 marzo fosse considerata la giornata della donna nelle zone liberate dell’Italia.
Adesso ve ne dico una: sapete perché la mimosa è il simbolo di questa giornata? Adesso ci rimarrete male lo so, perché vi state immaginando qualche motivo poetico o storico e invece no. Questo fiore fu scelto perchè di stagione e poco costoso. Alla fine le donne sono sempre un po’ tirchie. Scherzi a parte (ma mica tanto), l’idea della mimosa fu proposta da Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei. Scelsero la mimosa perché la sua fioritura avviene proprio nei primi giorni di marzo, per il colore giallo che non solo esprime vitalità, forza e gioia ma anche il passaggio dalla morte alla vita, metafora che rammenta le donne che si sono battute per l’uguaglianza sessuale.
Quando vedo che questa occasione è presa da alcune donne unicamente come l’occasione per uscire da sole con le amiche, lasciando mariti, compagni e figli a casa, e concedersi qualche “sfizio“, mi vengono in mente le parole di Rosa Luxemburg “Chi non si muove, non può rendersi conto delle proprie catene“.
Chi vi scrive non è un femminista, anche se ritengo che quel movimento, negli anni passati sia stata una necessità. All’epoca ho avuto modo di seguire ‘sta cosa al punto che me ne andai, solo, in mezzo ad una miriade di femministe urlanti, a vedere “Dialogo di una prostituta con il suo cliente” nell’allora teatro di Dacia Maraini la quale mi guardava ammirata per lo sprezzo del pericolo che stavo dimostrando. In effetti al termine della commedia, dopo avere scambiato due parole con il pubblico, era un happening, me ne dovetti letteralmente scappare inseguito dalle più radicali!
Fate una bella cosa, per questa ricorrenza, andate dal fioraio e acquistate un mazzetto di mimose da offrire alla vostra compagna. Offritele con rispetto, con affetto e con un bel “grazie” perché, vedete, “spupazzarsi” noi maschietti non è mica una cosa semplice.
Mamma mia, sento già i brontolii di chi dice “ eh ma quella là è una ….” Oppure “eh ma quell’altra lì è una che sfrutta…” Si, capisco, ma capita di tutto nella vita, però a colei sta condividendo parte della sua vita con voi, fatelo un sorriso e porgetele ‘sto mazzetto, forza! Alle Amiche lettrici porgo un grazie di cuore!