Un Cioccolatino Storico. “Ex malis eligere minima oportet”, storia della propaganda elettorale nell’Antica Roma

MAGLIANO DE’ MARSI- Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti al settimanale appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. La storia che oggi ci piacerebbe raccontarvi ci porterà tra le pagine dell’Antica Roma: si lo sappiamo è lunedì mattina, molti di voi stanno andando a lavoro, oppure a scuola o in università e di certo non avete la voglia di leggere pagine inerenti alla storia antica. Però, visto che ieri in Italia si sono svolte le elezioni per il rinnovo della camera dei deputati e del senato abbiamo pensato di raccontarvi – in maniera assai sintetica, altrimenti il discorso sarebbe stato assai lungo – di come funzionava la propaganda e l’elezione nell’Antica Roma.

In foto: Graffito Pompeiano in questo modo dovevano apparire le scritte di propaganda elettorale
(foto A. Tangredi)

La frase di Cicerone posta nel titolo non è casuale. Quante volte ci siamo sentiti dire oppure abbiamo pronunciato questa frase: “Io voto (oppure ho votato) il meno peggio”. Bene, questo valeva anche nella Roma antica, casomai la figura del politico in voga del momento era addolcita da una campagna elettorale assai strategica, fatta di concessioni (giochi vari, sesterzi e promesse) ma anche di una buona propaganda politica.

In foto: Eugene Guillaume, I Gracchi

Pensate che nell’Antica Roma si faceva propaganda elettorale scrivendo direttamente sui muri delle case (ora la cosa potrebbe risultare assai illegale). All’interno del sito archeologico di Pompei abbiamo ben 2.500 scritte elettorali sui muri degli edifici in cui non si esponeva direttamente il programma elettorale ma bensì le qualità morali e non solo del candidato.

In foto: Riproduzione di un discorso di un questore romano

E’ il caso di C. Giulio Polibio di Pompei che correva alla carica di Edile (un magistrato cittadino che aveva diverse funzioni all’interno della città) così i suoi elettori scrissero su un muri: “C. Iulium Polybium / aed(ilem) o(ro) v(os) f(aciatis), panem bonum fert” ovvero “Vi prego di eleggere C. Giulio Polibio edile, fa del buon pane”.

In foto: il quadro di Cesare Maccari, Cicerone denuncia Catilina (Roma, Palazzo Madana, Senato della Repubblica italiana)

Ovviamente non mancava la contro propaganda politica, fatta di sfottò e di sana ironia. Sempre a Pompei, sui muri della Basilica e di altri edifici comparve tale scritta: “Admiror, paries te non cecidisse ruina, qui tot scriptorum taedia sustineas” ovvero “Mi meraviglio che tu non sia caduta in rovina, parete, che sopporti tante sciocchezze degli attacchini”.

E qui sorgono alcune domande:

  • Chi poteva esser eletto alle cariche politiche? A differenza delle attuali elezioni sono determinate fasce sociali potevano candidarsi alle cariche pubbliche (edili, duumviro, consoli etc). Diciamo che erano gli uomini più facoltosi ad essere facilitati nell’accedere come nel caso del Senato (soprattutto in età repubblicana). Viceversa, nel caso della rappresentanza plebea (coloro che abitavano in città ma senza possedere la cittadinanza) dal 494 a.C. esisteva la carica di Tribuno ella Plebe unica magistratura che dal 421 a.C. poteva esser presa da un membro della plebe. Il candidato doveva essere uomo, nato libero oppure che risiedeva nella colonie, avere più di 25 anni e avere una buona condotta morale. Ovviamente le donne – come nel caso dell’Atene democratica- non erano ammesse, anche se il loro ruolo nella propaganda elettorale passiva era assai influente.
  • Ma come avvenivano le elezioni? Bisogna innanzitutto dire che le elezioni nell’Antica Roma erano rituali assai lunghi e complessi. Esse svolgevano in città all’incirca 7 volte l’anno (senza contare quelle locali). Erano indette per esprimere annualmente: 2 consoli, un numero variabile di pretori (si arrivò, nel I sec. A.C., fino a 46), 2 censori, 4 edili, 4 questori, 4 tribuni della plebe, nonché altri magistrati minori (tribuni militari) e ogni volta l’impegno poteva coprire più giornate di attività. Nel giorno del voto, i cittadini votanti si dirigevano in un luogo prestabilito (nel I secolo a.C. nel Campo Marzio) e qui si mettevano in fila per votare lungo i septa che erano 35 appositi corridoi delimitati da divisori di legno, poi di pietra. Allo sbocco dei septa, vi erano dei pontes di legno che permettevano il passaggio degli elettori, uno per volta, ad un palco dove si trovavano gli scrutatori e il presidente dell’assemblea. E qui avveniva la manifestazione del suffragium. Esso venne espresso per molto tempo in forma orale al rogator, che interrogava i votanti circa la loro preferenza tra i candidati proposti e che poi ne prendeva nota su una tabella certa in cui erano scritti i nomi dei candidati tramite un punctum segnato accanto al nome.

Secondo alcuni storici, bastava raggiungere il quorum di 97 centurie necessario per necessario a concludere normalmente l’elezione. Sia Tito Livio che Dionigi di Alicarnasso concordano sul fatto che, ottenuta la maggioranza, la procedura si interrompeva e che tutte le altre centurie non votavano, essendo il loro intervento ormai inidoneo a modificare il risultato finale.

Un Abbraccio Storico

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