“M’uccise chi mi costrinse ad amarlo e chi mi amò”. La struggente storia del fantasma della Dama Bianca che si aggira nel Castello di Popoli
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.
È il quinto canto dell’Inferno dantesco chi parla è Francesca da Rimini, figlia di Guido da Polenta e accanto il suo amante: Paolo Malatesta.
Gianciotto, il marito di Francesca e cugino di Paolo è colui che “Caina attende“. Il sommo Dante lo condannò ad essere infilato nel ghiaccio proprio nella Caina: aveva ucciso i due amanti di cui era parente. Mi corre raccontarvi una storia o meglio di un castello, di un fantasma e di una vicenda simile a quella di Paolo e Francesca se non più tragica.
Cosa sia un fantasma nessuno sa dirlo con certezza. Forse è l’anima di qualcuno che ancora s’aggira nel mondo dei vivi, emanazione del passato che si manifesta nel presente per motivi ignoti. Forse è l’immagine di tempi trascorsi rimasta legata ai luoghi per qualche terribile evento accaduto. Sono, gli spiriti, senzienti? Vai a saperlo! Una cosa è certa: il racconto riguarda una entità che pare ben vispa e vegeta.
LA PASSEGGIATA
Veniamo alla storia. Era sera e con alcuni amici facevo una passeggiata nei pressi di un boschetto in montagna. Davanti a noi i resti di un castello. La fortificazione, le mura merlate, la torre d’avvistamento si ergevano tra la vegetazione del monte soprastante e parevano urlare: “Qua ci siamo anche noi!” affermando con forza la loro presenza in quel mare verde.
LA DAMA BIANCA
Gambe in spalla ci avviammo nella direzione del fortilizio sperando di trovare, che so, una foresteria, una trattoria, insomma un posto dove riposare e mangiare un boccone. Mentre ci guardavamo attorno, ecco la figura di una donna vestita di bianco venire nella nostra direzione.
Il bosco s’era ammutolito, non un alito di vento. Non si udiva nemmeno il suono dei passi di quella che pareva una apparizione. Il vestito era una sorta di alone bianco che l’avvolgeva. Sembrava un fantasma eppure non eravamo in Scozia: ci trovavamo in Abruzzo, a Popoli, sotto al castello di Cantelmo, insomma dalle parti di Pescara. Stavamo fermi al piede della torre più alta. Là, quelle che sembravano gocce di sangue, disegnavano un cuore, macchiando una delle pietre alla sua base. La donna avvicinatasi ad una ragazza del nostro gruppo si fermò ed iniziò a parlare rivolgendosi a lei.
IL RACCONTO DEL FANTASMA
“Sono Diana Gaetani d’Aragona, sposa del Duca Giuseppe Cantelmo e voglio raccontarti la mia storia perché tu ne tragga esperienza. Devi sapere che da giovane fui costretta a sposare il Duca.
Mai l’avrei amato come egli pretendeva e da lui ebbi a patire tante sofferenze. Una sera il mio amato Carlo Monaldeschi col suo amico Petrossi cavalcavano verso il castello. Carlo confessò all’amico il suo folle amore per me e il suo turbamento per le angherie che dovevo sopportare da mio marito. Petrossi, gli suggerì di rapirmi. Il disgraziato giovane accettò, accecato dalla sua passione. Attesero che Restaino, fratello del duca si allontanasse con gli armigeri dal castello.
Ero nelle mie stanze quando due fischi si udirono nel buio. Quasi presaga, silenziosamente, scesi nel cortile e aperta una porticina del muro di cinta, feci entrare il mio amore: Carlo. Lui, abbracciandomi, mi assicurò che, aiutato dai suoi uomini, m’avrebbe da lì a poco liberata: aspettava solo che Restaino si allontanasse. Concordammo che un mio servitore fedele gli avrebbe consegnato un anello ad indicare il momento propizio per l’azione.
LA CATTURA
In quel momento il silenzio della notte fu squarciato da uno sparo che proveniva dalle mura della torre. Gli sgherri di mio marito ci avevano sorpresi e Carlo fu imprigionato. Era appena l’alba quando Giuseppe fece condurre il mio amato in una sala facendolo sedere accanto alla grande tavola che era al centro, poi, accomodatosi anche lui, ordinò di condurmi presso di loro.
Sulla tavola c’erano due pistole, accanto le palle di piombo e la polvere da sparo. Per pura crudeltà mio marito mi disse che avrei dovuto caricare una sola arma scegliendo, così, chi dei due dovesse morire. Questa era la sua malvagia vendetta.
L’EPILOGO
Cosa potevo fare? Uscita dalla sala, disperata, caricai entrambe le pistole e non una soltanto: avevo in mente un piano disperato: morire salvando i due uomini.
Quella sera si sarebbe disputato il duello. Arrivato il momento i due contendenti si recarono in un prato dietro il castello. Quando consegnai loro le armi indossavo quest’abito bianco. Giuseppe e Carlo erano uno difronte all’altro pronti a fare fuoco ma, un attimo prima dello sparo, mi gettai tra loro. Morii colpita al cuore e alla testa, morii per mano di chi mi aveva voluta per forza in sposa e pretendeva che l’amassi e morii per mano di chi m’amava”.
Qui termina la triste storia di Diana Gaetani d’Aragona, Duchessa di Popoli o almeno come la raccontò lei. La vicenda ebbe luogo nel gennaio del 1676. Ancora oggi, al tramonto, il suo fantasma, conosciuto con il nome di “Dama bianca”, pare s’aggiri per il castello.
Gli anziani del luogo raccontano che la sua comparsa è spesso foriera di sventura, per altri porta semplicemente sfiga. Nella tradizione popolare, si tratta di uno di quei spiriti che non trovano pace, costretti ad errare in un limbo tra cielo e terra. Son cose da nobili che, se nella storia lo furono di casato, le loro azioni spesso nobili non furono.
UNA STORIA “CURIOSA”
La vicenda si svolse in modo strano e porge il destro ad alcune domande. Come faceva una donna, Diana, a conoscere il modo di caricare una pistola ad avancarica (cosa non semplicissima)? Fu aiutata da qualcuno? Perchè questo “qualcuno” non disse nulla? A meno che… .
A meno che i due contendenti, d’accordo, avessero deciso di togliere di mezzo la donna facendola franca. La situazione era divenuta difficile da gestire: la donna si rifiutava allo sposo e anelava l’amante manco tanto nascostamente. Entrambi si trovavano in difficoltà e quindi avrebbero potuto inscenare quel teatrino. A dirla tutta Giuseppe discendeva dagli Stuart, Carlo era un nobile cavaliere della famiglia Monaldeschi, Diana era una d’Aragona. Toglierla di mezzo senza una plausibile ragione avrebbe avuto conseguenze non indifferenti. Forse quella era la soluzione più giusta: un dramma passionale terminato con un suicidio. Finale prosaico eh?
IL CASTELLO
Lasciamo la storia della Duchessa e veniamo al turismo. Il castello è poco distante dal centro di Popoli: sono quattrocento metri di strada in salita, niente di che. Il maniero era concepito per resistere a lunghi assedi. La pianta, triangolare, ha la base rivolta verso la città.
Al vertice del triangolo una torre pentagonale che doveva essere l’originaria torre d’avvistamento. Seguono una torre a pianta quadrata ed un torrione cilindrico. Quest’ultimo è un’aggiunta rinascimentale, frutto degli interventi di ammodernamento del conte Restaino IV Cantelmo. Circonda il tutto una corona di merli a coda di rondine dotata di feritoie per le armi da fuoco. In cima al torrione, il “cammino di ronda”, un corridoio rialzato che permetteva ai soldati di vigilare dall’alto delle mura, protetti dalle merlature; vale la pena visitarlo. Quelle tre torri hanno rappresentato per secoli il simbolo della città di Popoli.
Discendente da tanto avita storia, ecco oggi Gherardo Gaetani dell’Aquila D’aragona, detto Barù, le cui storiche e gloriose imprese hanno avuto luogo nell’agone della trasmissione televisiva “Grande Fratello Vip6” a maggior gloria del casato.
Diciamocelo: in Abruzzo non manca proprio niente, mare, monti, laghi, boschi, cultura e buon cibo. C’è persino una dantesca Francesca da Rimini completa di fantasma. Se andate a visitare il castello Cantelmo portate un fiore e lasciatelo là per la povera Diana. Un saluto.