Le Fontane di Roma ovvero una sinfonia per vista e udito
ROMA – Il poeta Shelley, grande estimatore dell’abbondanza di acqua per le strade di Roma, diceva: “Bastano le fontane per giustificare un viaggio a Roma“. Stimava talmente la parte “umida” dell’Urbe che morì qui, fu qui sepolto nel cimitero degli acattolici (del quale abbiamo già parlato) e come epitaffio sulla tomba volle la frase “qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”. Non che avesse torto perché di fontane ce ne sono a iosa per non parlare delle fontanelle anch’esse con la loro storia e dignità.
Trascuro Fontana di Trevi già oggetto di un mio articolo, per affrontare alcune tra le fontane che hanno assommato più aneddotica e fama. Cominciamo con la grandiosa Fontana dei Fiumi posta al centro di Piazza Navona e che di storie ne ha da raccontare… Il Bernini vi lavorò, su incarico di papa Innocenzo X Pamphilj. I fiumi rappresentati sono: il Nilo, l’Africa, il Rio della Plata, il Danubio, il Gange. L’obelisco che campeggia al centro del gruppo marmoreo e in cima agli scogli, proviene dall’antico Circo di Massenzio; in realtà era una copia romana che stava lì a pezzi e volendolo utilizzare per non buttarlo, lo piazzarono sulla fontana.
All’opera si lega una curiosa storia relativa alla rivalità tra il Bernini e il Borromini. Si tramanda infatti che la statua realizzata da Bernini protenda le mani in avanti come per ripararsi dall’imminente crollo del frontale della chiesa di Sant’Agnese in Agone opera del Borromini. Per lo stesso motivo, la statua del Nilo avrebbe la testa velata, proprio per non vedere l’orrore della facciata (in realtà la velatura stava ad indicare che non erano ancora state scoperte le sue sorgenti).
Secondo i professoroni l’orientamento della fontana vuole rappresentare i quattro continenti sui quali si estende la Chiesa, mentre, secondo altri geni dell’interpretazione, rappresenterebbero i quattro fiumi che originarono dal corso d’acqua dell’Eden: il Pishon che bagnava il paese di Avila, dove si trovavano l’oro e l’onice, il Ghihon che è la sorgente dell’acqua di Gerusalemme; il Tigri a oriente di Assur e infine l’Eufrate. Che volete ognuno ha diritto di dire la sua…. Sapete come il Bernini vinse la gara per l’edificazione della fontana? (lui era malvisto dal Pontefice) La scippò a Borromini sottoponendo al Papa un modello in argento della fontana!!!
Ho fatto cenno a una grande piazza e una famosissima fontana ma se capitate vicino all’altare della Patria, a Piazza Venezia, andate a visitare Piazza Mattei che ospita un gioiellino di fontana da vedere: si tratta della fontana delle Tartarughe, ma prima di arrivare fate una sosta in piazza Margana. Dovete sapere che il locale che ora è di Jerry Calà, un tempo era una osteria: vi andava Goethe, innamorato della ostessa che gli diede un appuntamento segreto scrivendolo su un tavolo col suo grazioso ditino intinto nel vino rosso.
Torniamo alla fontana di piazza Mattei: dove una leggenda avvolge la costruzione dell’opera. Pare si debba alla rivalsa del più giovane dei duchi Mattei, giocatore incallito che in una notte perse al gioco un’ingente somma, nei confronti di un ricco signore padre di una deliziosa ragazza. Il signorotto aveva rifiutato di dare in sposa la figlia al Mattei spargendo in giro la voce che non l’avrebbe mai concessa ad un tale che sebbene nobilissimo, era uno squattrinato. Il Duca lo venne a sapere e volle vendicarsi. Invitò dunque il mancato suocero ad una festa nel suo palazzo e lo intrattenne fino al mattino seguente. Al levarsi del sole, Mattei, condusse l’ospite ad una finestra prospiciente la piazza per fargli ammirare l’alba. Meravigliato, il signorotto vide nella piazza una fontana che la sera prima non c’era. Alle sue espressioni di stupore, il Nostro rispose “Ecco cosa è capace di fare in poche ore uno squattrinato Mattei!”. Poi aggiunse che nessuno avrebbe più visto quella fontana da quella finestra. In effetti, la fece murare. Naturalmente il matrimonio si celebrò perché il Duca seppur squattrinato doveva essere ben potente per far costruire in una notte quella meraviglia. Questa è solo una leggenda ma di certo il duca Mattei doveva essere molto influente perché la fontana era destinata, in origine, ad un‘altra piazza: Piazza Giudia! Tanto per la storia, le tartarughe furono aggiunte in un secondo tempo e sono attribuite al Bernini perché al loro posto dovevano esserci dei delfini. Oddio col passare degli anni si dimostrarono vagabonde perché più volte “sparirono” e sempre furono ritrovate; l’ultima volta, nel 1944, alla fine una fu “asportata” nel 1979 e mai più ritrovata. Alla fine le sostituirono con delle copie e portarono gli originali nei musei Capitolini.
Due passi per via del Corso e arriviamo a Piazza di Spagna. Ai piedi della scalinata di Trinità dei monti c’è una fontana nota anche per i danni che le furono inflitti dall’imbecillità di alcuni tifosi olandesi: è la cosiddetta Barcaccia della quale vale la pena parlarne. Un passo indietro… la notte del 24 dicembre 1598 Il Tevere aveva raggiunto un livello di piena mai visto prima (che poi non si vide manco dopo). Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, che abitava a quattro passi da Piazza di Spagna ed aveva saputo della storia di una barca, trascinata dall’acqua fin sotto le pendici della scarpata della “Trinità dei Monti” (ora scalinata). A piena finita era rimasta lì, a ricordo di quella paurosa nottata. Pare a voi che a Messer Pietro sfuggì l’idea di ricordare con una fontana quella Barcaccia, che era diventata una leggenda? Quando iniziò i lavori si ispirò ai barconi dell’antica Roma che trasportavano olio. Chi si chiede come mai la poppa e la prua della barca scolpita sono uguali, sappia che le barche romane erano fatte così per facilitarne lo scarico. L’opera fu terminata dal figlio, il grande architetto Gian Lorenzo perché il buon Pietro tirò le cuoia prima di finirla. Dalla fontana dovevano sprizzare zampilli d’acqua ma l’acquedotto dell’Acqua Vergine aveva poca pressione quindi, come per tutte le cose di Roma, ci si dovette arrangiare e metterci una pezza interrandola in parte. La fontana prende il nome dall’imbarcazione seicentesca, Barcaccia, usata per il trasporto delle botti di vino lungo il fiume.
Continuando la passeggiata (che adesso è diventata una camminata), andate sul Gianicolo in Via Garibaldi, dove il Fontanone dell’Acqua Paola, noto ai più come “er Fontanone” fa bella mostra di sè. Citato nella canzone Roma Capoccia di Antonello Venditti, lo abbiamo ammirato nella scena di apertura del film La grande bellezza, di Sorrentino. L’opera fu voluta da Papa Paolo V Borghese come mostra terminale dell’acquedotto Traiano e infatti viene ancora chiamata la fontana dell’ “Acqua Paola” dal nome del Pontefice. Realizzata tra il 1610 e il 1614 toccò a Carlo Fontana terminarla ed ora è là nella sua bellezza sul punto più alto del Gianicolo. I marmi usati furono rubati al Foro Romano e al Foro di Nerva. Era una tradizione dei costruttori dell’Urbe quella di “prelevare abusivamente” il marmo saccheggiando le opere romane. Bellezza nella bellezza da qui si gode una splendida vista della Città Eterna.
Per chi vuole, invece, vedere una cosa curiosa non resta che andare in piazza della Chiesa Nuova, dove è collocata una sorta di zuppiera infilata in una fossa marmorea dalla quale ne emerge a malapena il coperchio e soprannominata dai romani la ”terrina “. Quell’affare era una fontana di Giacomo Della Porta che la costruì ponendola a Campo de’ Fiori. Successivamente al suo posto fu messa la statua di Giordano Bruno e la fontana fu spostata dove è ora. Ha la forma di una barca ed è immersa in una piscina scavata a livello del suolo; su di essa, quattro delfini di bronzo originariamente versavano acqua (erano gli stessi che un paio d’anni prima erano stati realizzati per la fontana di piazza Mattei, mai posti in opera e sostituiti dalle tartarughe).e non aveva il coperchio. Immaginate la povera fontana in mezzo a un mercato: tutti i rifiuti ci andavano a finire dentro… . Da qui la necessità di ricoprirla con un coperchio di travertino.
Una curiosità sul pomello del coperchio è incisa questa frase: “ama Dio e non fallire. fa del bene e lassa dire. MDCXXII”. Posso tentare una interpretazione: probabilmente lo scalpellino che scolpì il coperchio nello scrivere il testo si ispirò ai condannati al patibolo che sorgeva permanentemente vicino alla fontana quando questa si trovava a Campo de’ Fiori. È meglio che la finisco qui perché non basterebbero volumi per narrare storie sulle fontane dell’Urbe e la cosa sarebbe ben monotona. Vi saluto e ringrazio. Se venite a Roma fatemelo sapere: vi darò qualche indicazione di quelle buone!