Tracciabilità dell’origine geografica delle olive, stop frodi sull’olio: nasce una nuova metodologia per verificare le vere Dop
È sempre più difficile la vita per i furbetti dell’olio extra vergine di oliva.
Oggi, infatti, è possibile verificarne l’autenticità attraverso la tracciabilità dell’origine geografica delle olive. È la nuova metodologia messa a punto dai ricercatori dell’Enea, pubblicata sulla rivista open source ‘Foods’.
Lo studio è stato condotto su 37 campioni di olive e foglie da 11 specie di ulivo nel Lazio, concentrandosi sull’analisi degli elementi chimici presenti. “Combinando insieme le più moderne tecnologie di analisi – spiega la ricercatrice Claudia Zoani della Divisione Biotecnologie e Agroindustria – siamo riusciti a identificare la firma geochimica del suolo trasferita alle olive;
questo apre alla possibilità di individuare, in modo sempre più veloce e accurato, l’origine geografica dei prodotti olivicoli e di ‘scovare’ eventuali frodi soprattutto tra le Dop che devono garantire caratteristiche di qualità, autenticità e tipicità strettamente legate al territorio di produzione”.
Il team Enea ha utilizzato tecniche dall’elevata sensibilità, che consentono la quantificazione di elementi presenti anche a bassissime concentrazioni; come ad esempio il laser sviluppato nei laboratori del Centro ricerche di Frascati, un dispositivo portatile basato sulla spettroscopia fotoacustica che sfrutta luce e suono per eseguire in tempo reale misure non distruttive direttamente sul campione non trattato; laser che è stato già applicato nell’orticoltura, per rilevare l’attacco di agenti patogeni e per individuare eventuali frodi alimentari.
Le analisi hanno dimostrato la possibilità di distinguere i campioni per area di produzione, in base alle differenti caratteristiche del suolo e in futuro potrebbe rilevare anche l’inquinamento dei terreni.
I ricercatori, però, spiegano che servono ulteriori studi per valutare quali caratteristiche del terreno possono influenzare la presenza dei vari elementi nelle olive e verificare come la loro biodisponibilità possa essere influenzata, ad esempio, dall’uso di fertilizzanti o di fungicidi.