Coronavirus. Ma a Roma… Il cielo è sempre più blu
La domenica è la giornata destinata al riposo. Ti alzi, te la pigli comoda e pensi di andare al bar per prenderti un bel cornetto con l’mmancabile cappuccino ma… Il Coronavirus! C’è ‘sto maledetto virus che ti blocca la vita. Niente bar, t’affacci alla finestra … niente persone, anzi niente di niente perché le saracinesche, le vetrine, i portoni, sembrano disegnati tanto sono immobili e senza vita. Rumori? Niente, sembra che la gente, se mai ce ne fosse ancora, giri per le strade con le pattine. Di macchine manco a parlarne, nessun motore, nessun clacson, in lontananza senti un’ambulanza e ti chiedi se stanno portando un contagiato all’ospedale. Che poi qua a Roma è tutto un po’ surreale perché stiamo rintanati è vero, ma senza capirne appieno il motivo: al momento qui di casi, poca roba.
Se vien voglia di uscire ti prepari, ti avvicini alla porta di casa e … Il Coronavirus! Dove diavolo vai senza l’autocertificazione e così prendi quella che ti sei scaricata, la compili scrivendoci, chessò, che vai al supermercato e poi t’accorgi che il modello non è più valido perché quasi ogni giorno ne tirano fuori uno nuovo. Apri la porta, vai sul pianerottolo e.. la mascherina, la stavi dimenticando!
Se vai a passeggio (non potresti), la città appare strana, afona, sembra di essere nella “contr’ora” romana, quel lasso di tempo, cioè, che va dal dopo pranzo al primo pomeriggio inoltrato dove tutto è assopito, però è mattina e non si sentono manco le campane delle chiese perché… c’è il Coronavirus e anche le chiese son chiuse, niente Messa. Che poi vogliono che rimani a casa ma d’altronde dove potresti mai andare? E’ tutto chiuso! Per strada non si trovano manco gli zingari che solitamente si intrufolano nei cassonetti a ruspare immondizia. Mi riecheggiano in mente le parole di Azzurro, la canzone di Paolo Conte “ora m’annoio più di allora, nemmeno un prete per chiacchierar” e poi dove lo troveresti un prete? Pure gli oratori son chiusi: c’è il Coronavirus!.
Camminando incroci persone con la mascherina che guardandoti in tralice, a testa bassa, da sotto in su, si allontanano frettolosamente per mettere spazio tra te e loro: il virus è in agguato e potresti essere un untore. Quasi quasi vien voglia di fare un giro in macchina ma… al ritorno, dove la parcheggi? Eh già nessuno circola, gli spazi sono tutti occupati e non vale la pena di mettersi a vagare per il quartiere a caccia di parcheggi. Pure le mascherine mi danno pensiero: ma se il regolamento di Pubblica Sicurezza impone d’andare in giro a volto scoperto, se mi beccano, autocertificazione o meno, non mi arresteranno mica? Non ho sentito parlare di deroghe alla legge.
A Roma non c’è più movida: un po’ per civismo, un po’ per paura della polizia, nessuno cerca un posto dove passare il tempo, magari semplicemente stravaccandosi su una sedia accanto al tavolino di un bar, ma non c’è n’è: i bar sono chiusi. Pensate che uno dei posti della Movida romana, oltre a Ponte Milvio e zona limitrofa è il quartiere San Lorenzo, che, stranamente è il quartiere del cimitero monumentale del Verano. La sera, al bar, quando c’era vita, stando all’aperto, se ti sporgevi un po’ all’indietro con la sedia, potevi vedere, giù in fondo a via Tiburtina, i lumini occhieggiare fiochi dalle tombe delle palazzine. Vita e Morte ma, insomma c’era movimento e poi a due passi c’è La Sapienza e il posto pullula di giovani studenti.
Manco a dire che vai a visitare un museo, o vai a teatro oppure a un cinemino: tutto chiuso c’è il Coronavirus. Questo nome comincia a trapanare il cervello, incombe sulla città, te lo ritrovi ad ogni angolo, non ti dà pace. Roma è una città viva, certo ma non è una delle capitali del divertimento, non è Las Vegas, Rio o Ibiza e t’ha piazzata pure la movida vicino a un cimitero, però la gente è sempre stata in giro. In questi giorni, invece, c’è il mortorio, per Roma ci trovi solo il Papa a piedi. Quando le persone si incontrano prima di tutto prendono le distanze, almeno un metro e mezzo, non ti danno la mano manco se t’ammazzi e quando si fermano a scambiare due parole, iniziano a domandarsi l’un l’altro quando toccherà lo sfacelo anche al Lazio. Una frase vola per l’aria: – secondo me non hanno detto tutto – Il Romano dubita, non gliela racconti giusta, per lui troppe cose sono nascoste a bella posta e la situazione è sicuramente peggio di quella che vogliono far vedere.
Dopo una mattinata di scoramento, ti metti a tavola mogio mogio, accendi la televisione e parafrasando Quasimodo “…ed è subito Coronavirus”. Così mastichi il pranzo mentre qualcuno dalla TV sciorina una fila di numeri: tanto di decessi, tanto di ricoverati, tanto di dimessi e tanto di mascherine che non si trovano e non si trovano nemmeno i ventilatori che sono stati ordinati a iosa e che, finita l’emergenza, finiranno ad ammuffire in qualche scantinato. Il pranzo si rumina male, si scambiano poche parole:- senti che dici se…- – Shhh famme sentì sinnò nun se capisce un beneamato…! -.
Alla fine ciondoli dalla cucina al salotto, dal salotto al bagno, dal bagno al televisore che ti ricorda quante mani hai e quante ne devi lavare. L’ozio è il padre dei vizi ma in caso di “vizio” il virus ti condiziona: – e se poi uno di noi due è un portatore sano? E se invece ce l’ha in incubazione? Meglio lasciar perdere – Mi chiedo come vanno gli affari alle peripatetiche: Avranno i clienti oppure anche per loro come per tanti esercizi è vita grama? Devono rispettare la chiusura? Ma la chiusura “de che”? I clienti se ci vanno si irrorano le mutande di Amuchina? si mettono la mascherina? Insomma… come fanno a fare quel che devono fare? Non credo che in quei casi si possa rispettare la distanza del metro e mezzo imposta dal Governo. Immaginate il medico al pronto soccorso:- Lei è stato in Cina? – No dotto’ so stato a mig….e! – . Le chiese hanno serrato i battenti e non si canta Messa. Alla domenica non puoi passare il tempo manco a fare atto di devozione, l’hanno tolto per la salute pubblica, d’altronde aiutati che Dio t’aiuta.
Pasqua è vicina: che si fa? Scambi uova di Pasqua contenenti mascherine e amuchina? Manco pranzare in famiglia si può! (oddio non vedresti la suocera…) e le massaie grazie al virus non s’ammazzerebbero di lavoro. Rimane la D’Urso e le sconclusionate chiacchiere del suo corifeo di improbabili opinionisti che, alla fine, forse forse, ti fanno rimpiangere il Virus.
Ci sono le canzoncine che i giovani, tutti insieme, ad una certa ora, intonano dai balconi e la cosa non dispiace. E’ la risposta alla disperazione, alla preoccupazione della bestia che avanza, forse il modo di esorcizzarla cantando, senza cadere nei suoi lacciuoli che ti vogliono triste e preoccupato prima, malato e moribondo poi. La gioventù si ribella e sputa il suo canto in faccia al malanno incalzante, non s’abbattono e fanno bene. Oggi pomeriggio, uscendo di casa per “comprovati motivi personali”, autocertificazione alla mano pronta per essere esibita, sento una canzone di Rino Gaetano: “il cielo è sempre più blu”, poi la canzone si ripete da un balcone all’altro, da una finestra ad un terrazzo ed è la musica dell’ottimismo e della speranza. Alcuni ballano, altri sventolano il tricolore, tutti cantano e la musica del povero ma grande Rino Gaetano sovrasta il silenzio, urlata da tante persone. Il Cielo è sempre più blu uh uh uh. Se io fossi un virus al sentire quella gente me ne andrei, tornerei nell’inferno dal quale sono stato forgiato, mi seppellirei, mi auto amuchinerei! Così non è, ma chi la dura la vince: è la volontà della gente contro quella della malattia e la malattia ha già perso.
Rimangono gli imbecilli che scappano dal Nord e rischiano di contagiare tutto e tutti. Che gli vuoi fare a quelli? Gli spari? Oddio in Cina mi sa che non ci penserebbero due volte ma qui siamo in Italia, a Roma, durante una interminabile domenica da Coronavirus, ma il cielo è sempre più blu!