Il “Gobbo del Quarticciolo”: storia, gesta e leggenda di un uomo nato “bandito” e diventato eroe della Resistenza nella Roma occupata dai nazisti
A Roma di personaggi storici ce ne sono stati, ma uno, seppure noto quasi solo ai romani, fu la spina nel fianco dei tedeschi durate i nove mesi dell’occupazione della città. Si chiamava Giuseppe Albano ed era calabrese di Gerace Superiore. Era venuto a Roma con la sua famiglia nel 1936, e si stabilì nella borgata del Quarticciolo, un quartiere molto popoloso. Morì all’età di diciotto anni ma dal 1943 al 1945, assieme alla sua banda, fu uno dei protagonisti della Resistenza romana contro l’occupazione crucca. Una brutta caduta gli aveva causato una cifosi e per questo in molti lo soprannominarono “il Gobbo del Quarticciolo“.
GLI INIZI E LA SUA ATTIVITÀ
Comiciò a darsi da fare compiendo piccoli reati assieme ad alcuni suoi coetanei. Era coraggioso: passò alla storia l’episodio in cui da giovinetto riuscì a disarmare due avanguardisti di età compresa tra i 14 ed i 17 anni che lo minacciavano con un pugnale.
Nel periodo tra il 9 e il 10 settembre 1943 Albano iniziò quella che divenne la sua lotta partigiana. Lo immortalarono a Porta San Paolo con il grembiule da garzone, mestiere che faceva in una farmacia e i calzoni corti, mentre combatteva riparandosi dietro ad un mezzo corrazzato e poi nella zona di Piazza Vittorio Emanuele II: aveva meno di sedici anni.
IL GOBBO E I TEDESCHI
Siccome era gobbo ma non scemo mise in difficoltà le truppe di occupazione grazie alla rapidità d’azione e abilità nel dileguarsi, quasi un guerrigliero ante litteram. Le truppe tedesche ebbero molto da fare con lui che, puntualmente, sabotava la maggior parte dei treni con i rifornimenti per le truppe del Reich o prendeva d’assalto i forni per distribuire la farina alla popolazione affamata.
A tal punto incuteva timore che tedeschi e fascisti rinunciarono ad entrare nei quartieri Centocelle e Quarticciolo nel timore di essere aggrediti dal gruppo da lui guidato.
LA LEGGENDA
Quasi adolescente, a Roma, era considerato una leggenda. Amato da alcuni, odiato da altri. L’immaginario collettivo lo collocava a metà tra il comune delinquente e l’eroe della lotta partigiana.
Divenne una sorta di Robin Hood: la gente vedeva nella sua figura non solo una sorta di giustiziere ma anche un difensore dei più deboli. Dirà di lui il giornale “Italia libera”: “É il più leggendario, il popolo ne racconta le gesta fremendo…”. Sul suo capo era stata posta la taglia di un milione e mezzo di lire per l’uccisione di 16 fascisti e di una ottantina di tedeschi. I nazisti che non ne conoscevano il nome e cognome lo identificavano, durante le azioni partigiane, per la sua malformazione.
L’ARRESTO DEI GOBBI A ROMA
Proprio per l’inafferabilità ed efficacia che lo contraddistinguevano, nella più completa disperazione, intorno all’aprile del ’44 il comando tedesco mise in atto una delle azioni più tragiche e allo stesso tempo più comiche della sua attività d’occupazione: ordinò l’arresto di tutti i gobbi di Roma. Erano disperati: quando si verifico l’eccidio delle Fosse Ardeatine, la Banda del Gobbo reagì per prima alla rappresaglia nazista. Il 10 Aprile 1944, infatti, poco dopo l’ignobile atto tedesco, in un’osteria della borgata Gordiani in via Calpurnio Fiamma, giustiziò tre nazisti.
Quelle morti contriburono al rastrellamento del Quadraro durante il quale i tedeschi deportarono settecento persone. Il quartiere era talmente antifascista che, per sfuggire dai tedeschi, si diceva: “o vai al Vaticano o al Quadraro“.
Il giorno stesso i tedeschi resero pubblico il seguente comunicato che volendo essere intimidatorio in realtà traspariva il pauroso isterismo della forza d’occupazione sempre più isolata e contrastata nella Capitale:
“Avvertimento alla cittadinanza romana. La dura risposta germanica che, pur troppo, ha dovuto far seguito al delitto consumato in via Rasella ha trovato evidentemente in alcuni ambienti poca comprensione. Nel lunedì di Pasqua, nuovamente, parecchi soldati germanici sono caduti alla periferia di Roma, vittime di assassini politici. Gli attentatori riuscivano a rifugiarsi, senza essere riconosciuti, nei loro nascondigli in un certo quartiere di Roma dove loro trovavano protezione verso i loro compagni comunisti. Il Comando superiore germanico è stato perciò costretto ad arrestare nel detto quartiere tutti i comunisti… La popolazione di Roma comprenderà queste misure. Essa potrà evitarle in avvenire partecipando attivamente alla lotta contro la delinquenza politica e informando il Comando superiore germanico…Chi si sottrae a questo obbligo si rende complice…”
L’ARRESTO
Il 17 Aprile anche Albano sarà arrestato mentre si rifugiava, insieme ad un folto gruppo di compagni di “Bandiera Rossa” nell’azienda di Basilotta.
Caso volle che il fatto di essere stato sorpreso insieme a un gruppo diverso dal suo e che per quel comico ordine di arrestare tutti i gobbi di Roma, sia Via Tasso che Regina Coeli erano pieni di poveracci con la cifosi. Albano, mescolato a quella massa di fermati, non fu riconosciuto e scampò alla condanna a morte che era stata emessa nei suoi confronti. Vide, comunque, aprirsi le porte di via Tasso, celeberrima sede di tortura nazista. Seviziato, riuscì misteriosamente a fuggire. Qualcuno parlò di collaborazionismo, ma, secondo i sostenitori più fedeli, compì una fuga rocambolesca nel suo stile.
LI UCCISE LUI?
In realtà non fu il Gobbo del Quarticciolo ad uccidere i tre tedeschi nell’osteria “Cacciafumo” di proprietà dell’allora famoso “Giggetto”. Durante il processo alla banda partigiana di Felice Napoli soprannominato “Franco”, in uno dei faldoni gli inquirenti ritrovarono un verbale di polizia, la Pai coloniale, nel quale proprio il Gobbo raccontava al maresciallo Zappalà: “non sono stato io ma due amici, Franco Basilotta e Giovanni Ricci, entrambi del Quadraro.”. Lo stesso Ricci e il padre di Basilotta confermarono, successivamente, durante il processo, questa versione.
DOPO LA LIBERAZIONE
Liberata dall’occupazione, molti di coloro che avevano partecipato alla Resistenza, pensarono di regolare i conti con i collaborazionisti. Siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, il Gobbo organizzò, con dei pregiudicati, una banda di base al Quarticciolo che si occupò di “alleggerire” sia gli arricchiti con la borsa nera sia gli ex fascisti, dividendo, poi, la refurtiva con il popolo bisognoso.
Anche il tenore Beniamino Gigli, accusato di collaborazionismo, fu oggetto delle sue attenzioni: derubato e picchiato vide saccheggiata anche la sua villa.
ALBANO INFILTRATO
Per ordine di Pietro Nenni si era infiltrato nel gruppo “Unione Proletaria” che aveva sede in Via Fornovo 12. Pare fosse una curiosa associazione che, nonostante sembrasse di sinistra e diretta da un ex appartenente a “Bandiera Rossa”, Umberto Salvarezza detto “il Guercio“, riuniva al suo interno molti ex fascisti. Il vero scopo del gruppo, però, sarebbe stato, d’accordo con alcuni ambienti monarchici, di condurre, opera di provocazione contro le forze di sinistra.
UMBERTO SALVAREZZA
Umberto Salvarezza era un personaggio ambiguo. Inizialmente denunciato come spia del regime, poi come fomentatore di una rivolta di detenuti fascisti a Regina Coeli e infine, di essere parte di alcuni intrighi monarchici. Fatto è che i Carabinieri, in una perquisizione, entrati nel suo appartamento in Via Cola di Rienzo e abbattuto un tramezzo, trovarono, occultati, ritratti del duce, armi e fascicoli forse destinati a dei ricatti.
LA MORTE “DER GOBBO”
Nel corso di una delle azioni di Albano rimase ucciso un caporale inglese, Tom Linson. Dalla cosa scaturì una enorme caccia all’uomo. Nel tentativo di stanare il Gobbo, le allora forze dell’ordine inviarono carri armati e mezzi blindati al Quarticciolo ma il Nostro riuscì a sfuggire.
La ricerca continuò fino a che il 16 gennaio 1945, si recò ad un appuntamento In via Fornovo 12 proprio con Umberto Salvarezza. Atteso il Guercio per una trentina di minuti fece per andare via ma un proiettile lo colpì alla nuca. Un comunicato ufficiale raccontò di un conflitto a fuoco con i carabinieri, pare, però, che il Gobbo non avesse esploso nemmeno un colpo. Perchè Albano si trovava lì? Beniamino Gigli, ricattato da questi quale collaborazionista, avrebbe chiamato i Carabinieri che si appostarono sia nella villa del tenore che nella sede dell’Unione Proletaria, dove proprio Umberto Salvarezza, come anticipato, gli aveva dato appuntamento per il pomeriggio.
Successivamente Franco Napoli, capo della “banda del Quarticciolo”, condusse una sua inchiesta dalla quale stabilì con sicurezza che un certo Giorgio Arcadipane, ex spia dei tedeschi infiltrato tra i detenuti di Regina Coeli, che si era aggregato nell’Unione Proletaria aveva ucciso Albano colpendolo alle spalle.
Una fine poco chiara
Rimane il fatto che la morte del Gobbo del Quarticciolo desta dei sospetti perchè secondo una ulteriore versione relativa alla sua morte parrebbe che il giovanotto si fosse recato nella sede di Unione proletaria dietro ordine di Palmiro Togliatti allo scopo di ricevere in consegna alcuni documenti. E ancora, altro giro, altra inchiesta, Salvarezza avrebbe incaricato Albano di eseguire un attentato con due bombe a mano in un comizio di comunisti e socialisti. Lui rifiutò consegnando gli ordigni al servizio d’ordine del Pci.
Il dubbio
Chi lo assassinò lo fece per togliere di mezzo un testimone che dava fastidio? Ad oggi ancora non si conosce la verità “vera”.
Giuseppe Albano fu quasi certamente un personaggio scomodo nel primo dopoguerra. Non poteva essere inquadrato negli schieramenti politici. Era partigiano e bandito allo stesso tempo e molto amato dalle fasce più povere della popolazione. Forse lo manovrarono politicamente quale pedina inconsapevole? Si trovò al centro di qualche movimento poco chiaro in quell’epoca dove la politica non sempre agiva in modo cristallino? Chi lo sa, in fondo era pur sempre un giovinetto quasi diciannovenne caduto, magari, in mano a dei marpioni della Roma liberata e a conoscenza di “troppe cose”. Le sue spoglie riposano, oggi, nel cimitero monumentale del Verano. Un saluto a tutti.