Scrivere passione antica. Come il Coronavirus sta cambiando il mestiere del cronista
AVEZZANO – Al tempo del Covid 19 una domanda sorge spontanea. Come e quando l’emergenza virus sta modificando il mestiere del cronista? Al momento attuale è utopico dare una risposta, ma proviamo lo stesso ad avviare un percorso logico, magari con l’auspicio di fornire un qualche utile contributo al quesito di partenza.
Il primo passo riguarda la nostra condizione di vita reale. Da un po’ di giorni, infatti, siamo barricati nelle nostre abitazioni (anche se ancora in troppi giocano a fare i supermen e le superwomen). Una clausura necessaria per metterci al riparo da eventuali contaminazioni del virus che, a dispetto del nome, ha ben poco di regale. Una sorta di mie prigioni in salsa moderna, come è stato simpaticamente suggerito, ma che ci permette, avendone tempo a disposizione, di riflettere, risvegliare vecchi interessi e magari stimolare qualche utile considerazione. Iniziamo col dire che quando tutto finirà avremo avuto modo di ridisegnare, fin negli angoli più angusti e sconosciuti, tutto il senso della nostra esistenza. Di pari passo senz’altro verranno rimodulati, con un’ottica diversa, anche gli aspetti essenziali delle varie attività umane, siano esse produttive che intellettuali. Tra questa azioni intellettuali va annoverato senza dubbio il mestiere di scrivere, una passione antica che oggi si può ritenere essere nel pieno di una profonda e forse radicale trasformazione.
Come è evidente a tutti, la portata planetaria del fenomeno pandemico sta generando nella vita di ognuno di noi paure, incertezze, e solitudini. Un fenomeno, come detto, dilagante a macchia d’olio, che pian piano sta modificando anche il modo di raccontare la quotidianità e con esso il lavoro del cronista. La scrittura nelle sue varie forme ed evoluzioni, è stata senz’altro una delle conquiste più rilevanti del genere umano. Una conquista che fin dagli albori, dai primi tratti deboli e all’inizio spesso indecifrabili, ha consentito agli umani, al pari delle parole e dei gesti, di comunicare tra loro, sviluppare relazioni, trasmettere sentimenti e sensazioni, scandagliare nel profondo dell’animo degli individui.
Con l’ausilio della scrittura ci siamo sentiti un pochino più vicini l’uno all’altro, animati dalla sempre più consapevole smania di conoscere, interpretare e raccontare i fatti che contrassegnavano la vita quotidiana. L’evoluzione anche dei mezzi tecnici a disposizione, con il trascorre del tempo ha contribuito anche alla nascita di figure particolari quali il cronista di nera, il cronista di politica, sindacale giudiziaria e cosi via. Non è una suddivisione scritta nei contratti o mansionari ma vien alimentata spontaneamente dalla varie attitudini, capacità e predisposizioni. Il progresso tecnologico ha mutato le modalità di svolgimento del lavoro del cronista ma alla base c’è sempre il “racconto” delle vicende che, in un modo o nell’altro finiscono, sui giornali o pagine web.
Tutto molto bello, semplice e lineare. Da qualche settimana, però, non è più così bello, semplice e lineare. Oggi a scorrere la pagine di una qualsiasi fonte informativa ci imbattiamo in una figura nuova: “il cronista di coronavirus”. Una figura determinata dall’andamento delle notizie legate al virus che stanno prendendo il sopravvento su tutte le altre tipologie di news. E non potrebbe essere altrimenti alla luce dei dati che non lasciano presagire nulla di buono, almeno per l’immediato. Per un attimo torniamo alla domanda iniziale: il virus sta cambiando il mestiere del cronista? Come abbiamo già scritto non è possibile dare una risposta definitiva e categorica. A ben vedere, comunque, qualche indicazione al riguardo la possiamo senz’altro evidenziare. Ed allora per prima cosa entriamo nello specifico del “nuovo” lavoro del cronista che, seppure con il dolore nel cuore, deve raccontare di contagi, morti e storie di umana sofferenza e difficoltà.
È proprio in questi frangenti che si avvertono i segnali del cambiamento. Non muta, infatti, l’utilizzo degli strumenti ma l’approccio ai fatti; la ricerca delle notizie non deve essere più la corsa allo “scoop” a tutti i costi, ai titoli “urlati”, ma privilegiare al contrario la qualità della narrazione. Il cronista nel raccontare l’emergenza e non solo, è chiamato a svolgere un lavoro di ricerca che presuppone una spiccata predisposizione alla delicatezza, per non urtare la sensibilità di quanti in questo momento sono in angoscia. Ora è doveroso mettere da parte quella giusta dose di spregiudicatezza tipica del lavoro giornalistico e lasciare spazio a quella altrettanto doverosa forma di sobria riflessione e di attenzione. A piccoli passi ci stiamo avviando, insomma, verso una fase di cambiamento nel lavoro del cronista al tempo del virus.