La Pasqua è servita. Tradizioni e usi a tavola di mezzo mondo a partire dalle perenne e immancabile polemica sui piatti a base di agnello
Pasqua? Lo è dovunque? Non credo. Intanto pensiamo agli agnellini… .
Lo vogliamo dire? E diciamolo: molte tra le religioni più diffuse ce l’hanno con gli agnellini! La domanda sorge spontanea: essere animalisti, vegetariani, vegani e aborrire l’agnello a tavola oppure essere religiosamente osservanti e celebrare il pranzo con un bel secondo a base del giovane ovino? Insomma perché i cristiani (ma anche altre religioni come quella ebraica, l’ortodossa e la mussulmana) ce l’hanno con questa tenera bestiolina? Iniziamo “ab ovo”.
Tanto per cominciare ricordate nell’Antico Testamento la liberazione degli ebrei dall’Egitto? Ci troviamo al cospetto della decima piaga quando l’angelo della morte doveva uccidere tutti i primogeniti nati nel paese delle piramidi. Nessuno doveva essere escluso fosse egiziano, ebreo, ittita o altro. Il Signore disse a Mosè che per salvare i pargoli in questione bisognava segnare gli stipiti delle porte con del sangue d’agnello. Naturalmente, pittate le porte non è che l’animale era gettato via, anzi lo si consumava al pasto. Vogliamo criticare il Libro Sacro per eccellenza che è la Bibbia? Nelle sue pagine non si parlò di sgozzar galline o serpenti (che, pure, con la storia di Adamo ed Eva qualche ragione ci sarebbe stata…) o anche mucche cani e gatti. Eh no, non si poteva usare un sangue qualsiasi ma specificamente quello d’un agnello.
LA TRADIZIONE
Veniamo alla tradizione di consumare l’agnello che tanto dissenso incontra ai nostri tempi. L’usanza nasce da sacri lombi, non è un vile atto di golosità perchè risale alla Pesach o Pasqua ebraica. In quel periodo, di agnellini, ne dovevano essere immolati uno per famiglia, come aveva ordinato l’Onnipotente: “Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d’Egitto: ‘Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi….Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. ….Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno. …il quattordici del mese lo immolerete al tramonto. …In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. …E’ la Pasqua del Signore!….” come si suol dire Ipse dixit!
A questo si sovrappone la Pasqua cristiana: non a caso Gesù morì di venerdì durante le festività del Pèsach, come vero Agnello Sacrificale. Quindi il significato di questa pietanza simboleggia il Cristo immolato sulla Croce per la salvezza dell’umanità. Mangiando con la dovuta fede, l’agnello, la domenica di Pasqua, si commemora il sacrificio divino. Non si sottrae a questo nemmeno la religione ortodossa. Insomma coloro che si oppongono alla consumazione dell’agnello nel pranzo pasquale evidenziano un conflitto “culinar-religioso” nei confronti dei credenti di difficile soluzione.
E I MUSSULMANI?
La festività si chiama “Eid al-Adha”, conosciuta anche come “Festa del Sacrificio”, dove viene immolato un agnello per porgerlo all’attenzione della divinità. Il sacrificio ricorda quello compiuto da Abramo e citato nell’Antico Testamento, il quale, dietro richiesta del Signore, stava per sacrificare il figlio Isacco. Pochi attimi prima di dar mano al coltello e conciare il figlio per le bisogna, venne fermato dall’Altissimo che, donandogli la propria benedizione, gli fece notare l’opportunità di sacrificare qualcos’altro.
PERCHÈ L’AGNELLO NON È POI COSÌ SACRO?
Naturalmente ho celiato un po’ su questa faccenda ovina, vale, però, ricordare che l’uccisione degli agnelli proviene dall’esigenza che i pastori avevano di ridurre il numero dei maschi. Questi, infatti, per ovvie ragioni, non producono latte e tanto meno partoriscono: un gregge mascolino, seppur brutto a dirsi, serve a poco. Il pastore alleva solitamente pochissimi maschi adulti, i montoni, allo scopo di fecondare le pecore incrementandone il numero. Questo è il motivo per cui, nella storia culinaria, gli agnelli sono sempre stati un piatto presente sulle mense di mezzo mondo.
GESÙ MANGIAVA GLI AGNELLI?
Certo che mangiava agnelli. Lo afferma Lui stesso: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (Luca 22,15). “Mangiare la Pasqua” è un’espressione ebraica che ha un solo significato: mangiare l’agnello (in ricordo del sangue che gli ebrei misero alle loro porte ecc. ecc. , vedi sopra). Da qui ne discende una considerazione: i cristiani che ritengono il mangiare agnelli a Pasqua sia una pratica orribile, stanno criticando Cristo. Si può mai criticare il Figlio dell’Uomo? Ma anche no, andiamo… . Nella cattedrale di Melfi eccolo là, il Redentore, nel suo gesto benedicente davanti a un bell’agnello nel piatto. Vuole la bestiola fare riferimento al sacrificio del Cristo? Probabilmente si e probabilmente no. Forse, in realtà, è solo una delle portate della Pèsach che è li nel piatto. Dal punto di vista pubblicitario, pensateci, l’immagine sarebbe un bell’invito alla degustazione della pecorella ma non è questo il caso.
IL PADRE ETERNO CE L’HA CON GLI ANIMALI?
È inutile condannare colui o coloro che arrostiscono una bella bistecca alla brace. Il Signore in persona chiarisce la posizione dell’uomo: Genesi 9:1-3 “Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la Terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò che si muove e ha vita vi servirà di cibo; io vi do tutto questo, come l’erba verde”. Insomma è l’apoteosi degli onnivori: mangia tutto e che buon pro ti faccia.
SANTE DIATRIBE
La questione non trova pace e spesso assume toni quasi comici. Riporto alcune considerazioni, fatte da ottimi religiosi, che mi lasciano perplesso.
Su “Famiglia Cristiana” così si espresse l’Arcivescovo di San Giovanni Rotondo: “La tradizione dell’agnello a Pasqua non ha nessuna argomentazione teologica sostenibile, perché la tradizione cristiana non è fondata sui sacrifici degli animali che non solo sono inutili, ma addirittura crudeli e sicuramente lontani dall’idea di amore e compassione verso tutti gli esseri viventi”. E qui si prendono le distanze dalla Bibbia i cui contenuti, a quanto pare, non sono più alla base della tradizione e cultura cristiana.
Ci si mette pure il papa emerito Benedetto XVI (sia pace all’anima sua) che nell’omelìa del giovedì santo del 2007 ci crea un po’ di confusione: “[…] Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue […] Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero […]”. Il ragionamento tenta di salvare le capre degli animalisti e i cavoli della religione avvitandosi su se stesso in un volo retorico immaginifico carpiato doppio. Che poi all’epoca Gesù non era stato ancora crocifisso… . Anche se il Cristo rappresentava l’agnello sacrificale, ma non ancora per gli apostoli, nella vita, era pur sempre un rabbino e come tale, alla sua mensa, era servito, nella ricorrenza, l’agnello a biblica memoria e non altrimenti.
IL CATALOGO DEI SACRIFICI
Vale ricordare le tipologie di sacrifici di biblica (ed evangelica) memoria. In primis l’ Olocausto, cioè il sacrificio nel quale la vittima viene totalmente bruciata. Segue l’Oblazione, l’offerta dei prodotti del suolo (vegetali e cereali), come la farina, le verdure e l’olio. Ed ecco ancora i “Sacrifici di comunione” attraverso i quali si palesava la comunione dell’uomo con Dio. In questi riti la vittima, infatti, era in parte offerta al Signore e in parte mangiata dai fedeli. Infine i “Sacrifici di espiazione e di riparazione” e si riferivano ai peccati commessi. Un esempio il “Grande giorno dell’Espiazione” (lo Yòm Kippùr) come da Levitico ( Lv 16). Nel tempio di Gerusalemme, inoltre, era in vigore l’offerta quotidiana dell’olocausto (ed eccoci all’agnello, vittima preferita) e dell’incenso, al mattino e alla sera (Cfr Lc 1,9).
IL LEVITICO
Ed ora facciamo i conti proprio col Levitico nel quale sono riportate tutta una serie di prescrizioni riguardanti i sacrifici da offrire nel santuario che, oggi, appaiono cruente, ma forse dimenticate da un certo clero, come dire? Poco uso al consultare il Libro Sacro.
La verità, ma lo sanno tutti, è che gli animali erano sacrificati in olocausto ed erano: vitelli, pecore, capri, tortore e piccioni. Il sangue versato permetteva al peccatore di ristabilire la comunione con Dio. Nel Levitico la parola “sangue” è presente in quasi ogni capitolo. È citato 88 volte e altre 50 in relazione ai sacrifici.
Nelle liturgie di espiazione, il rosso fluido vitale assume una importanza fondamentale perché cancella la colpa. Un bel versetto del Levitico (17:11) chiarisce tutto: “Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull’altare per fare l’espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l’espiazione, per mezzo della vita“.
Se la religione chiarisce, nella sua tradizione, la propria posizione nei confronti dello spargimento di sangue animale, riscontro, però, una sperequazione che, devo constatare, trova poca indignazione: il disinteresse nei confronti dell’aragosta (ridete, ridete…).
LA DOLOROSA FINE DELL’ARAGOSTA
L’Aragosta deve essere cucinata calandola viva nell’acqua bollente e quando questo avviene, il rumore che provoca pare il suo pianto.
Tacitiamo le nostre coscienze col fatto che non avendo un sistema nervoso centrale e tanto meno il cervello e corde vocali le aragoste non urlano. Il suono che emettono sarebbe causato dal vapore che fuoriesce dal carapace. Così non è: in uno studio alcuni ricercatori hanno stabilito che quei movimenti dell’aragosta sarebbero espressioni di sofferenza e non riflessi automatici.
IL PORCETTO SARDO: UN PIATTO DA RABBRIVIDIRE
Se ci lamentiamo dell’immolare agnellini sulle mense pasquali, sacrificio che, religiosamente, un senso lo ha, rimaniamo indifferenti all’eccidio dei maialini da latte. Ma Perché? Amiamo il tenero agnellino, il suo belante vagito e la sua morbida lana ma non ce ne cale del pargolo di suino dalle ispide setole, dal grugno prognato e dall’indegno grufolare. D’altrocanto se il primo, un bianco batuffolo (che spesso nasce già col fiocchetto azzurro al collo), è figlio d’una tenera pecorella, quest’ultimo è parto d’una scrofa! Anche se piccolo è pur sempre un maiale… .
Vi riporto alcune righe di un sito di cucina sulla preparazione del suinetto tanto caro al popolo di Ichnusa (non la birra): “L’ingrediente principale del porcetto sardo è il maialino da latte, cioè un animale dunque molto giovane, macellato quando ancora il peso non supera i 6-7 kg. dev’essere perfettamente pulito, sia internamente che esternamente, bruciando le setole, lavandolo e asciugandolo. Dopo di che viene tagliato a metà longitudinalmente e infilato nello spiedo, dalla coscia posteriore al muso. Se viene usato lo spiedo manuale, alla maniera antica, l’abilità personale di chi sta cucinando il porcetto sardo diventa importantissima.”
La preparazione porta alla mente l’azione di un feroce serial killer, ma quel che appare grave è che l’atto si perpetra spessissimo gratuitamente, senza alcuna scusante se non il soddisfacimento della gola del ghiottone.
MANGIATE SOLO VEGETALI ?
Se lo fate sentitevi in colpa! Credete che le piante non soffrano? Non solo lo fanno, ma gridano anche quando hanno dei problemi, ecco il risultato di un recente studio: le piante se assetate, stressate o ferite sono in grado di urlare per manifestare il loro malessere. La scoperta è stata effettuata da un team dell’Università di Tel Aviv che ha notato come queste siano in grado di produrre ultrasuoni molto simili a delle grida che tanto più aumentano di intensità quanto più soffrono, non solo: riconoscono chi fa loro del male e lo temono quando si avvicina!
I ricercatori hanno posizionato dei microfoni molto sensibili accanto ad alcune piante di pomodoro e tabacco coltivate in serra e hanno captato suoni con una frequenza compresa fra 40 e 80 kHz, al di sopra delle capacità dell’orecchio umano. E ora quando azzannate e preparate una insalata con verdura estirpata dalla terra o cogliete un frutto dal ramo di un albero, sappiate che state infliggendo o avete inflitto della sofferenza ad una povera figlia della natura.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Ora siamo tutti serviti: non possiamo infliggere dolore alle creature che ci circondano quindi meglio non mangiarle e ingiuste sono quelle grida che stimolano il consumo di vegetali. Questi, al pari degli animali, soffrono seppure in silenzio e causare loro del dolore per salvare animali che invece urlano, sembrerebbe una cosa iniqua e ingiusta. Una soluzione ci sarebbe: mangiamoci tra esseri umani!
Quando arriva Pasqua qualcuno ce la deve sempre mandare di traverso. Ricomincia la tiritèra sugli agnellini, tralasciando, per esempio, i conigli che fanno anche loro parte del pasto festivo assieme ai già citati maialini da latte o al pesce, perchè no? Al di là delle mille ragioni che ciascuno di noi può addurre per evitare la macellazione e il consumo dell’ovino in questione, ce ne saranno altre mille contro. Festeggiamo in pace e come vogliamo questa ricorrenza perchè già la vita è tanto grama di questi tempi.
Che poi avessi mai sentito qualcuno inveire contro l’uso smodato di vino e bevande ad alto tasso alcolico che si fa a Pasqua e Pasquetta. Mai una voce che si levi contro l’abitudine, ormai doverosa e non necessaria, delle gite fuori città che incrementano a dismisura le morti sulle strade. Il problema sono gli agnelli e solo quelli: non si devono mangiare! Chi scrive non ha l’abitudine di cibarsi dell’animaletto in questione, anzi non lo ha mai assaggiato. Ha invece una abitudine: quella di lasciare in pace il prossimo e rispettarlo nelle sue abitudini purchè lecite. Buona Pasqua a tutti.