“L’Orsa muore…”. La riflessione impietosa e competente dello storico Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo Franco Tassi
AVEZZANO – Il titolo sembra una parafrasi del dramma “Il re muore” di Eugene Ionesco mentre invece è la realtà di uno spettacolo tragico proprio di questi giorni…
“Sento una vibrazione, allora sparo.
Che ne so, come una vibrazione.
Estraggo e sparo.
Un minuscolo fremito del mondo, ecco…”
Le parole di Alessandro Baricco sembrano scritte per altro, eppure sembrano scritte per questo triste evento e quel minuscolo fremito del mondo potrebbe essere l’ultimo battito, sordo, del cuore di Amarena, oppure il singhiozzo di uno dei suo due cuccioli che vedono esplodere il loro piccolo mondo sicuro.
Il colonnello Lawrence, meglio noto come Lawrence d’Arabia, alla domanda “perché ama il deserto?” rispose secco: “Perché è pulito!”.
Mentre il nostro mondo, questo angolo locale del nostro mondo, sembra non esserlo, pulito!
Era un giorno tra il 2004 e il 2007, e con Osvaldo Locasciulli, biologo e naturalista abruzzese, si studiava la possibile relazione ed interferenza fra il progettando impianto eolico per un’area vicina al Parco Nazionale di Lazio Abruzzo e Molise e l’orso marsicano o ursus arctos marsicanus, una delle varianti dell’orso bruno europeo.
In quei giorni, un orso, per così dire, vagabondo, nottetempo, aveva assaltato un campo con un meleto, depredandolo e poi aveva scoperto l’ingresso di una cantina e aveva banchettato con scacchi di salsicce, prosciutti e salsicce sott’olio.
La notizia faceva sorridere, forse un po’ meno sorrideva il malcapitato proprietario di Celano.
Osvaldo Locasciulli descrisse come vedeva lui la situazione dell’orso in Abruzzo: “E’ assai delicata! La specie è a rischio… Il rapporto con l’orso è delicato anche perché la specie è a rischio! E noi sappiamo poco di tutto ciò che riguarda l’orso…”
Il suo avviso era in relazione al fatto che in fondo gli orsi, all’epoca erano poco visibili e, infatti, era difficile osservarli e, innanzitutto, vederli. Oggi, invece, essi sono più visibili e per varie ragioni.
Nel 2007 circa, Franco Tassi, storico direttore del Parco, scrisse in un articolo disponibile sul web della difficile situazione dell’orso e di come fosse necessario fare in modo che l’orso non entrasse in contatto con le aree abitate.
Uno scout M.M. ricordando le cose all’epoca ci ha detto: “…Ricordo ancora quando faceva scaricare mucchi di mele a mezza montagna per permettere agli orsi di “ingrassare” prima di andare in letargo…”
Ancora Franco Tassi, dal web, afferma: “…Cronaca di una morte annunciata. L’assassinio di Amarena, senza giustificazione alcuna, l’ennesimo “ursicidio”, il più grave di tutti. Responsabile del crimine ecologico, l’immancabile eroico cacciatore-bracconiere. E pensare, che c’è ancora chi ha il coraggio di celebrare il nobile “ambientalismo venatorio”, spergiurando che la caccia difende la natura, e assicurando che non ha mai estinto alcuna specie animale.
Una tragedia da tempo nell’aria, nella patria dell’analfabetismo ecologico e in un Parco Nazionale ormai in via di smantellamento. Ma per chi suona la campana? Rintocco dopo rintocco, il destino sembra segnato. Prima, la soppressione della “Campagna Alimentare”. Poi, la fine dell’iniziativa “Mela-Orso”. Quindi, l’abbandono dell’operazione “In Bocca all’Orso”. Che volere di più?
In questo modo, si è lasciato spazio alle esche alimentari e olfattive per attrarre i plantigradi. A scopo di ricerche scientifiche invasive, oppure di escursioni fotografiche a pagamento. Deviando così gli orsi dalle loro abitudini. Spingendoli a cercare cibo dall’uomo, e così condannandoli senza scampo.
“A fed bear is a dead bear”, vale a dire “orso nutrito, orso finito”. Triste sorte toccata prima o poi a tutti gli orsi liberi, alimentati dall’uomo. Cibo facile nei villaggi significa orsi viziati, guastati e deviati (spoiled) per colpa della gente. La quale ha la sfrontatezza di definirli “confidenti” o “problematici”, capovolgendo completamente la realtà. Come se i colpevoli fossero i plantigradi, e non l’uomo. Artefice nei villaggi di una fiera carnevalesca, che genera visibilità e attira turisti, curiosi e fotografi, ma altera profondamente il comportamento degli animali selvatici.
Non si è mosso un dito per allontanarli, facendoli ritornare alla sana vita selvatica. Eppure, non mancava chi raccomandasse di non usarli come giocattoli, ma restituirli all’ambiente naturale dove lasciarli vivere tranquilli. Sarebbe stato così difficile? Non troppo. Si sa bene che “un orso non è mai lontano dal suo prossimo pasto”.
E quindi sarebbe stato sufficiente far loro trovare cibo abbondante sempre più lontano dagli abitati, per riportarli gradualmente nelle foreste. E poi presidiare il territorio, per evitare che ogni angolo di montagna diventasse il regno del caos e dell’anarchia. In fondo, la triste storia di Amarena è la metafora della crisi ecologica incombente.
Un patrimonio prezioso, finito in preda all’avidità e all’ignoranza, che lo stanno depredando senza scrupoli. Nei confronti della fauna selvatica, di cui l’orso rappresenta l’espressione più elevata, questi umani che dovrebbero difenderla non sono capaci di mostrare amore, e rispetto, né profonda soddisfazione per il solo fatto di sapere che essa esiste ancora, e che è così che viene conservato l’equilibrio dinamico dell’ecosistema.
Ma quando questo patrimonio viene a mancare, come avviene anche nel caso delle cosiddette “catastrofi naturali” in realtà causate dall’uomo, alluvioni e incendi, anziché riconoscere gli errori, modificando i propri comportamenti, si profondono soltanto in lamentazioni interminabili, e in diluvi di chiacchiere inutili. Continuando così a marciare, imperterriti, verso “la fine della natura” da loro stessi provocata...”
“Vedo la luce che si affievolisce…
Penso a Juan…
Cerco gli altri due…
Ho un velo dinanzi agli occhi…
Il buio avanza…”
Questo non è più Alessandro Baricco, forse è Amarena, negli ultimi istanti della sua vita…
Arranca verso il confine del campo, verso la strada, ma le forze l’abbandonano…
E rompendo il velo, Amarena chiude gli occhi per sempre con un ultimo fremito del suo cuore…
Lo sguardo è rivolto lassù, dove sta il Gran Carro, e dall’Orsa Maggiore cade una meteora… Forse una lagrima dal cielo!