Visita al Cimitero Monumentale dell’Aquila dove si trovano le tombe di personaggi famosi e simbolici

I cimiteri sono indice del livello di civiltà di un popolo. Da questi si desumono usi,  tradizioni, storia e arte.  Contrariamente a quanto si pensa, quindi, visitare questi luoghi ci arricchisce non solo spiritualmente ma, spesso, rappresentano un vero viaggio nella conoscenza e comprensione di una comunità.

Per questo motivo, dopo aver descritto luoghi, usi e costumi della splendida regione d’Abruzzo eccomi a fare cenno su un argomento che potrà apparire un po’ desueto.

LA SITUAZIONE CIMITERIALE AI TEMPI DI NAPOLEONE

Molti campisanti in Italia furono pesantemente condizionati dal’occupazione francese. Con l’editto Napoleonico di Saint Cloud del 1804 la legislazione relativa al culto dei morti stabilì che per motivi igienici le tombe fossero poste fuori dalle mura cittadine in comprensori particolarmente arieggiati. Inoltre, seguendo i principi di eguaglianza e fraternità tanto cari ai cugini d’oltralpe, le tombe dovevano essere tutte uguali, cosa impensabile in Italia dove l’estro creativo era spesso asservito alla esteriorizzazione del ceto e censo del defunto.

Le intenzioni erano quelle di evitare discriminazioni tra i morti, una sorta di “livella” alla Totò, ma poi si rese necessario istituire una apposita commissione allo scopo di stabilire se potessero essere scolpiti epitaffi sulle tombe illustri. Nel mondo intellettuale fu uno scossone e lo stesso Foscolo, sebbene meccanicista e materialista, si indignò al solo pensiero che le azioni di deceduti illustri non potessero più fare da guida al popolo annullando di fatto il culto dei morti. “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, o Pindemonte” è l’incipit del poema “Dei Sepolcri” con il quale, il Poeta, seppure negando l’anima, ne creava una artificiosa e immortale originata dalle opere dei “grandi” sepolti. Bonaparte con l’editto annichiliva anche questo!

Altre disposizioni dell’editto riguardavano la gestione dei cimiteri che furono assegnati alla pubblica amministrazione e il divieto di seppellire o inumare in luoghi di qualche valore cittadino e nelle chiese. Detto tra noi non è che la cosa fosse così sbagliata, anzi sanciva una norma igienico-sanitaria importantissima in quei tempi di epidemie.

IL CIMITERO MONUMENTALE DELL’AQUILA

Il periodo in cui ci troviamo e posto tra il 1820 e il 1830. Così come molte città italiane anche L’Aquila deve soddisfare, quindi, quanto sancito dall’Editto sebbene come appartenente al Regno delle Due Sicilie già doveva attenersi a una legge di Ferdinando di Borbone del 1817 che vietava le sepolture in città.

Il luogo scelto per le sepolture fra tre siti  fu quello posto nelle vicinanze del complesso religioso di Santa Maria del Soccorso, rispettando la regola che voleva posizionati questi luoghi ferali ad almeno un quarto di miglio e in una posizione tale che i venti trasportassero lontani i miasmi del disfacimento corporale. Nel 1818 si diede mano ai lavori anche se, a causa di una epidemia di tifo, le sepolture avevano avuto inizio già da un anno addietro. Tra un ritardo, un boicottaggio e qualche resistenza religiosa si arriva niente meno che a Garibaldi e l’Unità d’Italia ed ecco che il cimitero inizia a svolgere la sua funzione compiutamente e dimentico di Saint Cloud, inizia ad ospitare le prime cappelle gentilizie offrendo dei veri servizi funebri.

PASSEGGIANDO TRA LE “URNE DEI FORTI”

In mancanza di percorsi guidati ufficiali cercherò di fare cenno ad alcune tombe degne di menzione e qui ce ne sono… .

KARL HEINRICH ULRICHS

Tra le sepolture vale visitare quella di Karl Heinrich Ulrichs. Un giurista e personaggio importantissimo per il mondo civile da considerarsi un padre del movimento LGBTQIA+ mondiale. Ad indicare lo spessore della persona vale ricordare un episodio della sua vita.

Durante la riunione dell’Associazione dei Giuristi Tedeschi a Monaco di Baviera nel 1867 salì sul podio e innanzi ad un pubblico di oltre cinquecento tra avvocati e accademici, si lanciò in una intemerata sulla necessità di abrogare le leggi che criminalizzavano i rapporti sessuali tra uomini nella Confederazione Germanica. Nel discorso affermò coraggiosamente che perseguire delle persone per il solo fatto che erano attratte, per natura, da persone del loro stesso sesso era un’ingiustizia. Visti i tempi, inutile dire che  fu costretto ad abbandonare il palco.

Siccome nessuno è profeta in patria, nel 1871  la legge prussiana sulla sodomia venne estesa a tutto il territorio nazionale. Ulrichs rimase in Germania fino al 1879 poi lasciò la patria per venire in Italia dove l’omosessualità sarebbe stata decriminalizzata poco tempo dopo. Morì all’Aquila, il 14 luglio 1895 e qui trascorse gli ultimi anni della sua vita ospite del latinista Niccolò Persichetti.

FRANCESCA CHIODI

Quando si parla di femminicidio si trascura il ricordo di una delle prime vittime nella storia italiana:  Francesca Chiodi uccisa nel 1911.

Nata nel 1883, di mestiere stiratrice, divenne una famosa artista con il nome d’arte di Paolina Giorgi. La sua è una tomba maltrattata, preda dell’incuria, così come le tante tombe di personaggi che hanno illuminato il mondo civile, in barba al sentire di Ugo Foscolo.

L’epitaffio sulla sua tomba recita:
Francesca Paolina Chiodi
morta tragicamente a Genova il 13 gennaio 1911 a 28 anni
riportata a L’Aquila da i fratelli e la sorella da lei beneficati
per seppellirla accanto alla madre.

Nella sua vita Francesca stirava camicie alle famiglie facoltose della città. Non contenta del suo stato, però, si trasferì a Roma a soli sedici anni.

La storia

Divenne cantante di cabaret e attrice di teatro con il nome d’arte di Paolina Giorgi. Nella città eterna muove i primi passi come cantante da café-chantant e attrice teatrale. Diventò talmente famosa che il “vate d’Italia” Gabriele D’Annunzio la elogiava pubblicamente. Si arricchì a tal punto da dedicarsi alla collezione di gioielli.

Tornata all’Aquila, fondò con i fratelli una società di trasporti pubblici cittadini: Chiodi & Capranica. Purtroppo la gente chiacchiera ed essere tornata da povera stiratrice a persona ricca, famosa e soprattutto libera, all’epoca, nella provincia, era imperdonabile.

Fuga dai pettegolezzi

Mal sopportando il chiacchiericcio se ne andò a Genova dove si esibì all’albergo Bristol Palace, innamorandosi del proprietario.  Morì nel pieno della carriera nove anni dopo. A spegnere la sua vita, con tre colpi di rivoltella, al Lido di Albaro, fu uno studente argentino: Fermin Carrera. Il giovane si suiciderà subito dopo. Le cronache del tempo riportarono che il doppio crimine scaturì dal rifiutato, ossessivo, corteggiamento da parte dell’uomo. Fu seppellita nel cimitero di Staglieno prima di essere riportata all’Aquila dove giace tuttora.

L’attore Andrea De Petris, studioso e conoscitore del cimitero monumentale dell’Aquila, così si espresse in una intervista: “Per me Francesca Chiodi è un esempio di emancipazione femminile, soprattutto se consideriamo il contesto storico-culturale in cui viveva. È stata vittima di giudizi morali a causa della sua fulminea carriera, di una discriminazione di genere che all’epoca non veniva neanche chiamata così, ma che era molto più forte di oggi. Questa storia dovrebbe essere conosciuta da tutta la comunità aquilana, spero che la sua figura venga valorizzata dalle associazioni e dai collettivi che operano in città contro le discriminazioni di genere, magari anche attraverso la ristrutturazione della tomba”.

Non tutti, percorrendo i vialetti del cimitero, conoscono queste storie, ignorando la presenza di personaggi libertari, simbolo dell’affermazione di diritti civili, come Ulrichs e Francesca Chiodi.

ONDINA VALLA

La vittoria alle Olimpiadi di Berlino

Merita la nostra attenzione e sapete perché? Non fu solo una grande atleta ma anche il simbolo della forza e della capacità femminile. Ai giochi di Berlino del 1936 fece rimanere con un palmo di naso il forte popolo teutone.

Ondina Valla vinse la prima medaglia d’oro olimpica nella specialità degli 80 metri ostacoli assegnata ad un’atleta italiana, non solo: ne stabilì anche il record. Quell’oro olimpico la rese famosa, facendola assurgere, nell’Italia fascista, a simbolo da emulare dalle ragazze italiane. Fu grazie a quella gara che il regime rivide la sua posizione ostile alla partecipazione delle donne nelle attività agonistiche.

Fuoriclasse, si fece notare già molto giovane. A tredici anni era già considerata una delle grandi protagoniste dell’atletica leggera nazionale. L’anno seguente divenuta campionessa italiana assoluta ottenne la convocazione nella squadra ufficiale per i storici Giochi Olimpici di Los Angeles del 1932: sarebbe stata l’atleta azzurra più giovane di sempre a partecipare a un’Olimpiade. Però così non fu: ci si mise il Vaticano. Ci potrete mai credere? Santa Romana Chiesa, non avendo altro cui pensare, fece pressione per farla escludere ritenendo sconveniente che una sedicenne fosse l’unica donna in una rappresentanza totalmente maschile.

Continuano le vittorie

Non si scoraggiò mai e nel 1937, stabilì il primato nazionale nel salto in alto, superato solo nel 1955. Gareggiò fino agli anni quaranta riportando tre vittorie ai Giochi mondiali dello sport universitario di Tokyo e ben 15 titoli nazionali. Nel 1952 si classificò seconda ai campionati abruzzesi nel getto del peso, quindi ottenne il primo posto nel lancio del disco. Nel 1978 le rubarono la medaglia d’oro di Berlino.

La donna era una vera forza della natura che aprì, grazie alle sue doti, la strada femminile nel campo agonistico. Quel 6 agosto 1936 a Berlino una ragazza di vent’anni urlò in faccia a tutti che per una donna c’era ben altro da fare oltre ai “lavori domestici”.

PROSEGUNDO LA VISITA

Fino ad ora ci siamo imbattuti in personaggi dall’immenso peso civile, che hanno contribuito con il loro esempio al miglioramento della nostra società. Ma gli incontri non sono terminati.

PIETRO MARRELLI

Fu un grande patriota, cocciuto (è il caso di dirlo) ma anche sfortunato fino alle midolla. Esercitò con successo la professione forense per tutta la vita e si dedicò all’attività politica clandestina. Nel 1830 organizzò un comitato segreto aquilano con l’intenzione di promuovere una insurrezione nell’Italia centrale. Il progetto fu sventato dalla polizia borbonica. Per questo motivo dovette scontare a Lucoli un periodo di domicilio coatto. Lo ritroviamo all’inizio del 1833 intento alla preparazione di una rivolta che sarebbe dovuta scoppiare l’estate successiva in vari punti del Sud Italia.

Purtroppo l’intervento delle autorità fece fallire anche questa cospirazione. Colpito da ordine di arresto il 17 maggio 1833 entrò in latitanza. Nel marzo del 1834 tornò all’Aquila. Da allora gli anni trascorsero tranquillamente finchè divenne uno dei promotori del movimento della Giovine Italia. Preparò l’insurrezione del 1841 acquistando a proprie spese le armi necessarie ma… anche questa volta andò male. Detenuto per un breve periodo nelle carceri aquilane del Castello ne vide spalancare le porte per insufficienza di prove e ritornò al domicilio coatto a Teramo fino al 1847, poi di nuovo all’Aquila.

Condannato dalla Gran Corte speciale, fu ospite del carcere a Procida uscito dal quale andò esiliato in America. Non la raggiunse mai. Sbarcò, infatti, in Irlanda dove proseguì la sua attività di patriota, unendosi al comitato unitario d’azione che fiancheggiava Garibaldi. Rientrò in patria nel 1859 continuando le sue azioni con Giuseppe Mazzini.

La figura dell’uomo riveste particolare importanza per la sua caparbia volontà nel perseguire il suo ideale nonostante la sorte avversa. Furono questi i personaggi che gettarono le basi della nostra Nazione.

PINO ZAC

Ho citato alcuni degli illustri ospiti del camposanto. Sono tutte figure che le cui azioni e impegno sociale hanno fatto crescere il livello civile della nostra nazione. Termino con la tomba di uno dei più grandi vignettisti italiani: Pino Zac, storico direttore de Il Male, la più importante rivista satirica del nostro paese.

Era uno che tirava dritto, senza mai deflettere. Il premio Nobel Dario Fo sottolineava il suo essere “…sempre contro senza paura…” e lo descriveva come “…uno degli artisti più versatili ed eclettici conosciuti” . La sua attività satirica, irriverente, lo rese scomodo per tutti i politici. Le redazioni giornalistiche che fondava erano costrette a chiudere con la stessa velocità con cui erano apparse a causa degli ostacoli che stranamente incontravano. La matita di Pino Zac era sempre pronta a denunciare senza indietreggiare di un millimetro. Disse di sè stesso: “Sono un anarchico libertario neofeudale e conservatore di estrema sinistra. Insomma sono un anarchico”. Morì a 55 anni il 25 Agosto 1985 dopo un terzo infarto al miocardio.

Ho voluto dilungarmi su alcune tombe i cui ospiti hanno rappresentato una svolta sociale, un mattone verso la costruzione di una nazione migliore. Ognuna di queste sepolture rappresenta un motivo di riflessione. Se visitate il cimitero monumentale aquilano soffermatevi in silenzio, come segno di rispetto, davanti alle loro sepolture.

Un saluto.