Terzapagina – “La metà del cielo” di Angelo Ferracuti
Quando ho cominciato a leggere l’ultimo romanzo di Angelo Ferracuti mi ha colpito subito il suo incipit, quel dire: “…Quando Patrizia aveva smesso di respirare, passeggiavo nella piazza principale della mia piccola città…Quei pochi passi fatti a piedi, il battito martellante dei tacchi, li avrei ricordati per sempre…” Quei passi, quasi un metronomo che scandisse i tempi, poi, della successiva narrazione e così mi son trovato quasi a camminare anche io, in punta di piedi, cercando di non disturbare mentre stavo per entrare in una stanza dove ci sia qualcuno che sta riflettendo, che sta ripensando alla propria vita, cercando magari di rimetterla insieme, analizzandola, prima, e poi ricomponendola trovando alfine una consapevolezza, un qualche significato alle cose accadute. Perché questo romanzo, più un racconto autobiografico, è una specie di viaggio retrospettivo proprio nel tentativo di acquisire una consapevolezza dell’accaduto scevro dal considerare solo il dolore per una perdita o il lutto, e questo anche se le pagine son talora scandite dal battito di una dolorosa sofferenza che ha anche i tratti di un sofferto dolore, però tutto assolutamente composto, nobile, raccolto. Eppure, con questo racconto, Angelo, mette a nudo la sua anima, i suoi ricordi, ricomponendo il percorso della vita in un lungo periodo alternato da vari momenti. In effetti, egli lo fa alternando flaskback e flashforward, scanditi da inserti, veri intarsi, di attualità, un oggi ora affollati di altre presenze: le due figlie che hanno ormai una vita propria, la seconda moglie Alessandra ed il figlio di Questa, anch’egli con una sua vita propria avviata.
Questo quadro narrativo si innesta su uno sfondo sul quale, come su uno schermo fantastico, scorrano le immagini del passato, dall’infanzia in poi, con le visioni di fallimenti propri e non propri, e poi i ricordi “politici” quelli che hanno il sapore di aver assistito a militanze, ad ipotesi di futuro che son poi naufragate in quel fosco periodo fra gli “anni di piombo” e l’annichilimento dei principali autori del dramma che fecero affondare le speranze di un mondo diverso che, forse, si sarebbe potuto ottenere se non ci fosse stata la “lotta armata”.
Singolare è la semplice definizione che Angelo dà della prima moglie: “Se dovessi dire a distanza di anni chi era mia moglie, direi…un’insegnante…” Parole semplici che nascondono tutto un mondo, un essere, un agire ed anche una significanza particolare di una persona.
Le immagini degli ambulatori, degli incontri con i medici, la consapevolezza progressiva della malattia scoppiata, sono tratteggiate come in un quadro impressionista e divisionista al tempo stesso, con piccoli tratti di colore accostato, a fissare il fatto senza discuterlo, ma analizzandolo, in fin dei conti, come il meccanismo di azione che ha fatto scattare gli eventi della vita.
Nell’incontrare Angelo, poi per la presentazione del suo libro, mi è poi accaduta una cosa nuova, strana, mai forse accaduta prima, se non altro con una mia piena consapevolezza, ovvero quella di incontrare, de visu, i personaggi di un romanzo, innanzitutto Angelo, autore e personaggio egli stesso, che si descrive e si indaga e si propone quale protagonista, Paolo Capodacqua che figura quasi come fuggevole citazione in un momento del libro, ma soprattutto, lei, Alessandra, ovvero la seconda moglie, sorridente e personaggio reale della narrazione e, forse, la chiave di volta della narrazione perché Ella costituisce la realtà di oggi, solida, tangibile, per l’appunto reale e, forse, anche il porto sicuro nel quale rientra la nave di Angelo al termine dei suoi viaggi per reportage, ma anche di quelli letterari, avendo vissuto le tante revisioni del romanzo, un racconto scritto in oltre quindici anni, sostanzialmente fatti di ricerca introspettiva, di analisi delle tessere di un mosaico scomposto che alla fine con la narrazione sia stato ricomposto nel romanzo, quello di una vita che è “La metà del cielo“.
Angelo confessa che la sua sia stata “…una narrazione scevra da grandi arricchimenti, un liberare le parole da orpelli narrativi, una narrazione quasi francescana…che vuole raccontare la verità senza finzioni“, ma in realtà, a mio modestissimo parere, si tratta invece di una scrittura minuziosa, finanche superba nei dettagli, nel rendere le sfaccettature, quasi infinite, dei sentimenti, dolorosi e addolorati, che cammina all’inizio in circolo sull’onda di un disperato fallimento, continuo e inesorabile ma che poi, infine, trova la strada della soluzione con il ritorno ad una esistenza piena e vissuta, con sullo sfondo il ricordo ricostruito del passato, anche se resta senza risposta la domanda “perché a noi?” ma, a questa domanda, non c’è risposta, perché la vita, talora, non dà risposta…
Angelo Ferracuti è un autore italiano che ha scritto svariati romanzi ed altri testi fra i quali Attenti al cane (2000), Le risorse umane (2005), Addio (2016), oltre ad essere autore di svariati reportage, scrive per Il manifesto, Repubblica, La Lettura del Corriere della Sera e collabora con Rai3. Ha partecipato in passato ad alcune edizioni del festival letterario “Seigiornateincercadautore” qui ad Avezzano.
La presentazione del romanzo è avvenuta alla Libreria Mondadori di Avezzano, ieri 7 novembre 2019 con la partecipazione di Paolo Capodacqua e G.M. De Pratti.
Le immagini sono di repertorio.