Recensioni – “Urania Jumbo, il lungo tramonto” dove si parla di una società del futuro ma molto… attuale
Urania Jumbo, con volumi di una certa consistenza, sta proponendo una serie di romanzi che fanno riflettere.
E’ il caso del “Lungo Tramonto” di Jack McDevitt che propone un futuro distopico nel quale l’umanità ha raggiunto profonde difficoltà sociali e strutturali e, pur avendo conquistato la tecnologia dei viaggi interstellari e intergalattici, ha timore di entrare in contatto con intelligenze superiori.
I viaggi intergalattici hanno conosciuto diverse ipotesi tecnologiche.
Superare la velocità della luce è il reale problema e allora ecco la velocità di curvatura e i relativi motori a curvatura che usano l’antimateria di Star Trek, ma prima c’è la lente e l’iperspazio di Asimov e, ancora, la magia della spezia e dei Piloti della Gilda di Dune di Frank Herbert, ma è anche il problema risolto nei Coloni di Morrow di Bertram Chandler nel quale i motori delle navi superano la velocità della luce grazie alla prua della nave che si collega allo spazio e alla poppa che viaggia nel tempo…
Il motore Locarno di McDevitt è più semplice ed è costituito da un sistema, non descritto, che porta la nave nell’iperspazio che è un cunicolo buio e senza visioni tra due wormhole.
Ma non è questo il fatto importante, la questione interessante è che, ancora una volta, da una parte le comunità aliene spaziali non sono umane o umanoidi, come sperimentato da molti quali Hamilton o Heinlein, sia pur con l’aggiunta di varie tipologie di insettoidi e via dicendo, e dallo stesso Asimov, sia nel ciclo della Galassia che nell’ultimo tentativo di studiare quattro o cinque specie intelligenti come in un ciclo aperto prima della sua morte e continuato da altri (c’è una specie di foca o balena, un insettoide e altro), ma sono comunità che comunque son costruite sul metro umano. E così, gli abitanti del pianeta che sta per essere ingoiato da un buco nero hanno la radio, le automobili, le navi e, tecnologicamente, sembrano una umanità al 1930.
Non va dimenticato il modo poi per intessere una comunicazione fondata sulla conoscenza linguistica: non si capisce come si risolva tutto con una specie di intelligenza artificiale.
La xenofobia planetaria umana è una amplificazione di altre xenofobie attuali, ma perché non si riesce ad avere uno sviluppo di un racconto che vada oltre i luoghi comuni?
Forse perché non riusciamo a non essere antropocentrici nella nostra visione dell’universo e di chi lo potrebbe abitare?
A parte la deviazione del Mule, Asimov costruì il suo universo, la sua Galassia come puramente umana e del tutto normale e i telepati della Seconda Fondazione furono la sola concessione alla fantasia nel vero senso della parola. Tutto il resto fu modellato sulla scorta del “Declino e Caduta dell’Impero Romano” di Gibbon. Trantor, in “Correnti dello Spazio”, sta costruendo quell’impero che è alla base di “Cronache della Galassia” e sarà un impero di uomini. Solo sul finire della sua vita, Asimov pensò di sostituire all’uomo o di integrarlo con i robot dell’altro suo ciclo e creò un superorganismo e cioè Gaia. “Il Lungo tramonto” è una scrittura un po’ debole, forse ciò dipende anche dalla traduzione che è alquanto pesante e l’inseguimento della narrazione non è brillante.
Cosa accadrebbe all’umanità se qualcuno scoprisse che entro cento anni la terra sarà ingoiata da un buco nero?
Forse è questa la domanda che si pone McDevitt, ma la risposta che vien data mostra che quella popolazione si comporta in maniera responsabile, ma l’umanità che siamo noi, in realtà, come si comporterebbe?
Il mondo uscito dalla pandemia, in fondo, è un mondo che è pieno di paure, di incoscienze e, in fin dei conti, ancora una volta sul baratro di un conflitto distruttore.
In fondo, la fantascienza si pone sempre il problema di come sarà il futuro e, pessimisticamente, risulta qualcosa come nel caso di Blade Runner o del Pianeta delle Scimmie o, ancora, altre apocalittiche visioni di un futuro dove l’Intelligenza Artificiale fa paura. Ma questo non deve spaventare, in fondo già all’epoca di “2001 Odissea nello spazio” Clarke mostra le paure del futuro con quel Hal 2000 che è pericolosissimo…