“Quando la fede era Cura”. L’arte al servizio del benessere spirituale e corporale in questi tempi da pandemia Covid-19
MAGLIANO DEI MARSI – “La Bellezza salverà il Mondo”. Questa frase pronunciata dal principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij ci può ben accompagnare all’interno della toccante lettera che la maglianese Carla Pietrobbattista ha scritto dedicando un breve ma incisivo studio artistico su due cicli pittorici davvero importanti: quello della chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta sita in Rosciolo frazione di Magliano dei Marsi quello della chiesa di Santa Maria di Loreto in Magliano dei Marsi. Noi di Espressione24 vi riportiamo interamente il testo che è di una bellezza disarmante.
“Ognuno di noi ha un suo modo personale di rispondere alle sollecitazioni che un’opera d’arte trasmette. Personalmente, dopo l’iniziale emozione, inizio a chiedermi il perché di quello che vedo e cosa possa spingere un uomo, una donna, a trasformare in tangibile un pensiero. È con questa curiosità che mi relaziono soprattutto con l’arte a me vicina, in particolar modo quella antica. I luoghi che mi circondano sono custodi silenziosi di opere la cui bellezza da sempre è stata capace di parlarmi, di emozionarmi e sollecitare il bisogno di intraprendere ricerche. È con queste motivazioni e, per un personale bisogno che mi capita, spesso, di visitare la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, proprio da lì partono molti dei miei studi. I volti raffigurati all’interno dell’edificio sacro, da mani più o meno sapienti, mi hanno da sempre colpita. Gli elementi iconografici presenti negli affreschi permettono, agli occhi di chiunque abbia una semplice conoscenza dell’arte, l’immediata identificazione dei vari soggetti, è bello però andare oltre e cercare di capire il perché di quella ispirazione, da me precedentemente nominata. Per ovvi motivi, trattandosi di un complesso religioso, la motivazione principale è da ritrovare nelle varie forme di religiosità, al modo in cui gli uomini del passato hanno scelto di relazionarsi con Dio.
Gli affreschi contenuti all’interno dell’edificio benedettino possono essere classificati, oltre che in base ad un criterio temporale o di stile, in due tipologie differenti. Alcuni presentano tratti grossolani e poco delicati e possiamo definirli, in questo caso, come una forma di devozione ed arte popolare, eseguita con semplicità ed immediatezza di tratto. La presenza di queste pitture potrebbe portarci con facilità verso un errore di valutazione, in quanto l’ubicazione della struttura comporterebbe quasi automaticamente un giudizio, o meglio pregiudizio, unicamente di questo tipo. Sarebbe questo però un esame veloce, grossolano e soprattutto miope, dettato prettamente da una semplice e mera deduzione geografica, in quanto l’edificio religioso appare circondato solo da paesi e lontano da grandi città. Altri affreschi, ivi conservati, smentiscono questa visione così immediata perché presentano caratteristiche ben differenti che li rendono un’evidente testimonianza di buona cultura personale, di gusto e soprattutto opera di una mano sapiente e raffinata. Il motivo conduttore di entrambe le tipologie di affreschi è comunque il medesimo, da ricollegare ad un bisogno personale o dell’intera collettività in diversi momenti storici.
In alcuni scritti precedenti ho avuto modo di esaminare la figura dell’Arcangelo Michele raffigurato all’interno di Santa Maria in Valle Porclanteta. Le vicende di questi giorni, i grandi cambiamenti che ognuno di noi sta vivendo a causa del coronavirus, mi hanno portata ad esaminare un altro soggetto raffigurato sempre all’interno dell’edificio sacro di Rosciolo: quello raffigurante san Sebastiano. Come nel caso di san Michele, il motivo della presenza di Sebastiano sulle pareti di Santa Maria in Valle Porclaneta è da ricercare non solo nella religiosità del popolo, ma soprattutto nella posizione stessa della struttura ospitante. L’edificio benedettino oggi come ieri, (nonostante la forte vicinanza del passato con un piccolo agglomerato di abitazioni, la cui storia sarebbe da esaminare con maggiore attenzione e, con uno studio a parte), è lontano dal centro abitato principale. San Sebastiano, figura tanto cara all’arte antica, soprattutto quella medioevale, veniva sempre raffigurato all’interno di edifici religiosi furi porta perché doveva proteggere il popolo urbano dalla peste. Gli uomini del passato infatti, non conoscendo l’origine di questo male, credevano che questo Santo soldato non avrebbe permesso all’aria cattiva di oltrepassare le porte e le mura dell’agglomerato principale.
Il Santo nell’affresco preso in esame, appare raffigurato come nella maggior parte dei disegni che lo rappresentano, medioevali e non, con la posa e gli elementi iconografici tipicamente riconducibili appunto a Sebastiano. Il martire è trafitto da frecce, lo strumento che secondo il racconto agiografico avrebbe dovuto portarlo alla morte. Sebastiano sopravvissuto all’esecuzione, troverà il martirio successivamente, flagellato a morte per ordine di Diocleziano fra il 287 ed il 304. (il Dies natalis di Sebastiano viene celebrato il 20 gennaio in Occidente ed il 18 dicembre in Oriente).
L’affresco presente all’interno di Santa Maria in Valle, è posto accanto ad altri due riproducenti la Vergine con Bambino; tutti e tre sono stati sicuramente realizzati entro la metà del XVsecolo, la collocazione storica ci viene suggerita sia da un esame critico dell’opera, che da una data posta sulla parete ospitante. L’immagine del martire è meglio conservata nei tratti che ne definiscono il corpo che in quelli dei lineamenti; a causa dell’usura del tempo questi ultimi sono al giorno d’oggi quasi completamente persi od illeggibili. L’ affresco di Sebastiano per quanto mal conservato, come nel caso delle due Vergini con Bambino, lascia pensare ad una capacità di realizzazione prettamente popolare, proprio per questo, nonostante manchi l’esame oggettivo di alcune parti, si percepisce come questa figura non presentasse le caratteristiche fisiche tipiche di altre opere simili, che mostravano Sebastiano con la muscolatura e l’aspetto tipico delle opere riproducenti gli eroi della mitologia greca.
Ritengo, nonostante non possa supportare questa ipotesi con adeguate documentazioni, che anche “il bisogno” di realizzazione del disegno sia da ritenere di natura popolare. A mio giudizio è l’unità di intenti del popolo che deve aver portato alla scelta di un’immagine forte da porre come protezione, scudo, contro un male invisibile. Non è forse, ancora oggi, la mancanza di conoscenze e di cure a spaventare più del male stesso? Nonostante il nostro presente ci consenta l’utilizzo di strumentazioni moderne, frutto di un progresso tecnologico forte e costante, la sensazione di incertezza ci accompagna in ogni singolo istante in cui usciamo di casa. Ancora più di noi questa sensazione doveva accompagnare gli uomini del passato, che non potevano e non sapevano rispondere alle loro domande se non attraverso la fede, che diventava non solo conforto ma anche cura contro il male e l’ignoto.
Anche la figura di Michele, posta sempre all’interno dell’edificio, oltre alle motivazioni già proposte in articoli precedenti, serviva a completare e rafforzare la figura di San Sebastiano nella protezione contro il male invisibile; anche l’Arcangelo infatti veniva invocato dal popolo come difensore contro la minaccia della peste. La figura dei due era considerata sin da tempi antichissimi come l’estremo rimedio per curare il popolo flagellato dall’epidemia. La storia antica ci parla di vari loro interventi in aiuto dei fedeli durante gravi diffusioni di peste.
Sicuramente l’elenco dei luoghi e dei tempi delle manifestazioni dei santi richiederebbe un lavoro molto più lungo e complesso di questo semplice articolo, proprio per questo riporterò unicamente gli episodi più celebri tramandati dalla memoria popolare.
Sebastiano, il cui culto si diffuse ampiamente già dal VI sec. si narra abbia risposto alle invocazioni del popolo romano durante la violentissima epidemia che colpì la città nel 680; l’Historia Longobardorum di Paolo Diacono riporta appunto la fine improvvisa dell’imperversare della malattia dopo le preghiere rivolte al santo.
Per quanto riguarda Michele, è invece impossibile non citare il suo intervento durante la peste di Roma del 590. L’Arcangelo, che non dimentichiamo viene annoverato nella schiera dell’esercito celeste, dopo l’invocazione di Papa San Gregorio Magno, scese vittorioso su Castel Sant’Angelo riponendo la spada, di cui è fornito, nel fodero. È a motivo di questo episodio che sulla struttura, che in passato veniva ricordata come mausoleo di Adriano, sia oggi posta una grande statua in bronzo riproducente l’angelo e che il mausoleo stesso abbia cambiato intitolazione diventando il noto Castel Sant’Angelo.
Questi ed altri episodi di guarigione portarono il popolo a creare un muro invisibile agli occhi, ma non alla fede. Non posso non citare a questo proposito la scelta di costruire, sempre fuori il centro abitato di Rosciolo, un piccolo edificio sacro intitolato a San Sebastiano. Questa struttura, sia per un intervento di recupero, che di fede mai sopita è stato recentemente restaurato. Sebastiano appare inoltre raffigurato nella vicina Magliano, sulla parete sinistra della chiesa di Santa Maria di Loreto, sebbene questo edificio (anticamente cappellania) al giorno d’oggi appaia perfettamente integrato nel centro abitato, prima del terremoto era al di fuori della cinta muraria, proprio da dove si temeva potesse arrivare il male”.