Ddl Sicurezza, Di Giacomo (Segretario generale S.PP.): “E’ come somministrare l’aspirina ad un malato terminale”. Nardella (Vicesegretario generale S.PP): “Sacrosante parole!”

ROMA – “Il ddl 1236 sicurezza per il sistema penitenziario è come somministrare l’aspirina ad un malato terminale.

Non saranno certo le videocamere in dotazione al personale penitenziario a scongiurare la guerra quotidiana che gli agenti combattono nelle carceri”, così Aldo Di Giacomo segretario generale del S.PP- Sindacato Polizia Penitenziaria incontrando i delegati lucani per fare il punto della campagna.

“No all’accanimento contro la Polizia Penitenziaria, sì alla sicurezza dentro e fuori le carceri”, avviata nelle ultime settimane con numerose iniziative (l’ultima a Milano). L’S.PP. terrà alta la vigilanza mercoledì prossimo in occasione dell’esame in Senato del DDL 1236 che contiene, tra l’altro, diversi articoli che toccano il settore carcerario e la Polizia Penitenziaria.

Per Di Giacomo non sono state accolte le proposte-richieste più importanti ed urgenti per garantire l’incolumità dei colleghi.

La previsione di elevare le pene per chi commette atti di violenza al personale penitenziario e partecipa a rivolte – aggiunge – non può considerarsi un deterrente soprattutto quanto gli autori di rivolte e aggressioni sono detenuti con pene alte da scontare e ritengono nella “guerra al casco blu” di non avere più nulla da perdere. Piuttosto, la contraddizione più evidente è che da una parte si prevede il rimborso delle spese legali per il personale di Polizia Penitenziaria indagato o imputato per fatti inerenti il servizio (fino a un massimo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento) e dall’altro tiene in piedi il reato di tortura procedendo ad arresti e sospensione dal servizio di personale” – tuona il Segretario Generale di uno tra i più operativi sindacati in ambito penitenziario-.

Con la nostra campagna continuiamo a chiedere la scarcerazione immediata dei colleghi arrestati, gli arresti domiciliari possono essere più che sufficienti, in quanto – sottolinea Di Giacomo – non ci sono le condizioni per continuare con gli arresti cautelari. Come ogni cittadino va considerato innocente sino alla sentenza definitiva di condanna, anche noi servitori dello Stato abbiamo lo stesso diritto, tanto più in questa fase “storica” dell’emergenza carcere segnata da 2mila casi di aggressione e violenze contro il personale dall’inizio dell’anno.

Accade invece che mentre gli agenti stanno dando prova di un impegno che va al di là di ogni limite per orario di lavoro (con straordinario sino a 40 ore al mese) e sacrificio per garantire la legalità – continua – il fatto che ci siano colleghi in detenzione o sospesi dal servizio produce un profondo malessere in tutto il Corpo. Resta sempre aperta la questione che come sindacato di polizia penitenziaria poniamo da anni all’attenzione dell’Amministrazione Penitenziaria, Governo e Parlamento: la revisione del reato di tortura tanto più urgente in questa fase di acuta emergenza nelle carceri.

In questa situazione sfuggita al controllo dello Stato ci auguriamo che in Senato si faccia chiarezza sul ddl e si prenda atto che gli agenti non possono “volgere l’altra guancia” e per difendersi non sono sufficienti guanti, scudi e videocamere”.

“Non può esserci trattamento senza sicurezza e sicurezza senza trattamento. Operare in direzione di un potenziamento della sicurezza in carcere significherà migliorare la condizione dei detenuti che credono nel trattamento e sul trattamento vogliono investire.

Tuttavia, senza che vi siano sufficienti investimenti sia in fatto di dispositivi normativi più efficaci che economici potenzia ancor di più ciò che va giustamente sostenendo il Segretario Generale. Le sue sono sacrosante parole” – Gli fa da eco il Vice segretario generale S.PP Mauro Nardella, quasi 30 anni passati tutti sul fronte e ottimo conoscitore delle dinamiche penitenziarie-

” Tenere a bada i facinorosi con leggi più ficcanti, come sostenuto da Di Giacomo, è di fondamentale importanza ai fini del recupero di persone che realmente vogliono intraprendere un percorso risocializzante. Investire i soldi risparmiati attingendoli dal venir meno del cosiddetto turismo giudiziario (maturato a seguito dell’avvento dei processi a distanza mediante videoconferenze) e investirli per trasferire i detenuti riottosi in altre realtà carcerarie non dandogli così tempo di attecchire dal punto di vista criminogeno, potrebbe essere un’ottima idea.

Ci si chiede il motivo per cui i dirigenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non lo facciano. Eppure ci sarebbe una circolare che già lo prevederebbe.

Emblematico a tal proposito è il caso di Sulmona dove entrano si detenuti provenienti da altre carceri macchiatosi di reati come l’utilizzo illegale di dispositivi telefonici ma difficilmente ( sembra quasi divenuta una chimera) si vedono uscire, parimenti, gli stessi che a Sulmona hanno commesso lo stesso reato ma che li inspiegabilmente restano.

Una politica questa assurda e sperequativa”, conclude amareggiato il sindacalista.