Il poliziotto non più capace di sorridere. Nardella( SPP)- Riformare immediatamente il Corpo di Polizia Penitenziaria anche se è già troppo tardi
Roma- Senso di prostrazione, stanchezza fisica e, soprattutto psicologica, disarmante abbandono e scoramento totale.
Persone che non fanno in tempo a vestire l’uniforme di polizia Penitenziaria che subito cambiano idea svestendola di sana pianta.
Gente che dopo 25 anni di servizio passati in trincea si portano dipinti addosso la disperazione.
Queste sono solo alcune delle sensazioni vissute all’interno delle carceri italiane da chi come me in trincea ci vive da quasi trent’anni.
L’avvilimento dei baschi blu è ancor più esacerbato dal nulla sinora visto in ordine al miglioramento dei loro diritti soggettivi.
Alla richiesta del soddisfacimento delle loro sacrosante richieste fa da contraltare un continuo, inesorabilmente peggioramento delle condizioni di vita all’interno delle prigioni italiane.
Prigioni…un termine che tende a dare un’idea dispregiativa dell’universo carceri ma che mai come adesso può identificare un tale contesto.
Igiene ridotta al lumicino, assenza di spazi idonei finanche al soddisfacimento dell’esigenza di porre in isolamento i detenuti che per svariati motivi tale regime lo devono vivere.
Vani docce impregnate di muffa, reparti consumati dal tempo e da moltissimi anni non ripristinati nella logistica.
Uno sistema in ginocchio quello Penitenziario abbandonato da tutti e sembra finanche dallo Stato.
Un luogo in cui i poliziotti entrano sani, seppur con facce alle quali gli è stato da tempo cancellato il sorriso, ma non sanno se ne usciranno integri.
Un posto dove neanche più la dignità di uomo sembra trovare posto nei cuori di chi come il detenuto di turno lo vive in termini di principio giacché finanche l’essere donna non ha più alcun valore per lo stesso.
A ciò si aggiunge il fatto che nel 1995, in occasione della riforma pensionistica, e nel fare di una sola notte, ai poliziotti penitenziari gli sono stati appiccicati addosso ben 15 anni in più di carcere da farsi. Ben 5500 giorni in più rispetto a chi li aveva preceduti; oltre 180 mesi in più per renderli peggio di come lo erano i nostri predecessori al tempo in cui, maturati 19 anni, sei mesi e un giorno potevano fermarsi, andare in pensione e brindare nuovamente alla vita.
Cavie umane sono oggi i poliziotti penitenziari sulle quali si sta sperimentando un carico di rottura sociale che già da anni sta producendo i suoi pesanti e nefasti effetti.
Ci si chiede come possa resistere un uomo o una donna dello Stato in un contesto di totale perdizione, perché tale è oggi il carcere in Italia?
Qualche anno fa parlando con alcuni senatori e deputati sì parlava della necessità di metterci mano subito attraverso una idonea quanto intelligente riforma volta a ridurre drasticamente non gli anni di lavoro bensì i tempi di contatto con la popolazione detenuta.
Evitare che chicchessia passi più di 25 anni nelle sezioni detentive in attività lavorativa deve rappresentare il principio cardine sul quale intervenire con la massima urgenza.
Lo dico perché, e lo sappiano bene i deputati preposti alla produzione legislativa, se non si farà qualcosa e molto presto, all’interno delle carceri a gestire i detenuti ci dovranno andare loro, forse.
-Così il Vice Segretario Generale SPP Mauro Nardella sulla drammatica situazione dei poliziotti penitenziari-