La parola di Ignazio Silone al tempo dell’infodemia
AVEZZANO – Si è svolta il 2 giugno dalle ore 17:30 la Tavola Rotonda, organizzata dal Centro Studi Siloniani di Pescina, dal titolo “Ignazio Silone e l’attualità delle parole-chiave del suo pensiero nel tempo dell’infodemia”; in diretta streaming ha visto la partecipazione di numerosi relatori che hanno esposto le loro riflessioni sul Nostro di cui, ricordiamo, ricorre il 120° anniversario della nascita.
Il sindaco, Stefano Iulianella, ha dato il via ai lavori portando il saluto a tutti i partecipanti e ringraziando gli organizzatori del convegno; ha poi dato notizia dell’avvenuto completamento dei lavori di recupero architettonico e storico della casa di Silone che ospiterà il Museo e il Centro Studi e che sarà inaugurata il 22 agosto prossimo (emergenza sanitaria permettendo) con una cerimonia che vedrà anche la premiazione dei vincitori del Premio Internazionale dedicato allo scrittore.
La coordinatrice dell’incontro, Ester Lidia Cicchetti, in qualità di Presidente del Centro Studi ha dato il benvenuto agli intervenuti e si è detta soddisfatta di esser riuscita nell’intento di aver, proprio attraverso il convegno, definito un continuum in un momento come quello presente difficile e complesso. Il titolo del convegno è quanto mai attuale: la gran quantità di informazioni, vere e/o false, che circolano sui media e sui social generano confusione e disorientamento e rendono difficile all’uomo comune accedere – se non alla verità – al vero inteso come dato certo della realtà. La parola siloniana invece, scarna, asciutta, essenziale, e per questo sacra, non lascia spazio a manipolazioni o fraintendimenti: si legge, si assimila, si crede.
Le parole-chiave proposte nel convegno, ben undici, hanno offerto una rappresentazione necessariamente parcellizzata e complessa sebbene articolata; ma Ignazio Silone è scrittore uno e unico, il cui pensiero è coeso e coerente pertanto, si propone – in questo articolo – lo sforzo di rincondurre ad unità ciò che, per la logica dell’esposizione, si doveva presentare separato. Una dimensione teoretica, ideale, quella dei concetti di cultura, di verità, giustizia, dignità, libertà e religione; una dimensione pratica, fattuale, quella della scrittura, del silenzio, della rivoluzione, della fratellanza, dei cafoni.
Il rapporto di Silone con la cultura è stato esaminato dal prof. Dante Marianacci; nel confronto con il filologo Cesare De Lollis – che sosteneva che lo scrittore non dovesse abbassare i suoi toni espositivi ma, al contrario, dovesse essere il suo pubblico ad elevarli – Silone invece, si pone come colui che sostiene che nella modernità il pensiero non è diverso dalla realtà: cambiamento, rivoluzione, sviluppo, lotta, contraddizione. La realtà, la vita la si scrive allo stesso modo (D’Annunzio sosteneva che la vita fosse un’opera d’arte); se il popolo di Fontamara parla dialetto, questo non esclude la visione addirittura internazionale della cultura del ‘900 che ne aveva Silone. Per lui la cultura ha il compito di cercare di far capire il mondo che vive e cambia e la politica è stata il motivo ispiratore di tutta la sua opera. Radicato nella sua terra eppure internazionale, un “abruzzese che parlava a tutta l’Europa”. Come Séamus Heaney, Silone restituisce dignità al mondo degli umili; la “loro penna scava le parole con la vanga dei loro padri”; un insieme di mutevole e permanente, di storia e di eternità che con semplicità di linguaggio, con sintesi ed essenzialità arriva al cuore del problema.
Gli interventi di Walter Capezzali (religione), Angelo Di Nicola (libertà), Diocleziano Giardini (giustizia), Antonio Gasbarrini (dignità) e Antonio Vacca (verità) hanno delineato una sfera alla quale rimandare la spiritualità di Ignazio Silone. C’è davvero nel pensiero di Silone un’accettazione di una fede religiosa, sia pure libera da vincoli oppure c’è soltanto quella ricerca di giustizia sociale che il potere spesso tradisce? Prendendo spunto da un libretto – “Ignazio Silone, Cristo senza Chiesa” di don Cosimo Posi – Capezzali delinea da un lato, l’eredità cristiana originale che ispira vita e scrittura di Silone e di come egli rifuggisse i dogmatismi ecclesiastici e, dall’altro l’uscita dalla Chiesa che non poco tormento indusse in lui, facendolo arrivare a coniare per sé la definizione di cristiano senza Chiesa. Diversamente e male interpretata da “ortodossi” e “benpensanti”, è invece da intendere come “espressione di una coscienza libera e inquieta “; del resto, ricorda ancora Capezzali, nel corso di un’intervista lo scrittore dichiarò che gli incontri più importanti della sua vita erano stati cinque: con don Orione, con Gramsci, con Ragazzi, con Trosky, con Camus; e i personaggi storici più stimolanti, Gioacchino da Fiore, Francesco d’Assisi, Celestino V e Carlo Cafiero, Dunque, religiosi, atei, anarchici, rivoluzionari insieme in una compresenza inquietante quasi schizofrenica, a disegnare punti di riferimento “fuori”: fuori dai cori – di chiesa e di partito – e fuori dalle imposizioni dottrinali.
La parola libertà, esaminata da Angelo Di Nicola, ha oggi un singolare significato; nel blocco per l’emergenza, essa è stata compressa ed ha dato il via alla ricerca di svariate accezioni attribuite ad essa da diversi autori; Silone è tra loro con la definizione data in “Uscita di sicurezza”: “la libertà è la possibilità di dubitare, di sbagliare, di cercare di sperimentare, di dire no ad una qualsiasi autorità letteraria, artistica, filosofica, religiosa, sociale e anche politica”. C’è tutto. Come tutto c’è in un’altra definizione di George Orwell: libertà è dire alla gente quel che non vuol sentire. Un parallelo dunque, tra Silone ed Orwell che, sebbene non si siano mai scritti pure hanno avuto diversi incontri, accomunati dalla letteratura intesa come palestra di libertà. “Lo scrittore allora avrebbe il dovere morale di conoscere e studiare i problemi della propria epoca e di farsene un’opinione per poi esprimerla – convinto della sua utilità sociale – in dibattiti e incontri pubblici”; qualora non studiasse e non arrivasse ad una sua personale idea, rischierebbe di esser considerato propagandista e “allineato”. Silone afferma che nei suoi lavori ricrea il mondo mettendo il lettore davanti a verità che nella realtà si ha cura di nascondere; “solo la verità può accrescere la coscienza, arricchirla, fortificarla, liberarla solo lei può affermare la dignità umana contro tutto quello che l’offende e la disprezza; e l’artista diventa così, anche se non lo vuole, un educatore in quanto intellettuale libero.
Per Diocleziano Giardini Silone non è stato immune dalla domanda che cos’è la giustizia; anzi, nei suoi scritti diversi personaggi hanno sete di giustizia: Marietta, le donne di Fontamara… quanto costa al kg, la giustizia?, Lo Surdo afferma: la giustizia è stata sempre contro di noi; ha sempre patteggiato per i carabinieri e gli assetati di giustizia sono ancora perseguitati, uccisi…Ribellarsi! ribellarsi! sembra essere l’unica risposta alla siloniana domanda: che fare?
Interessante e stimolante analisi della verità quella di Antonio Vacca. Attraverso un breve racconto, in cui verità e bugia corrono sul filo del rasoio, la domanda che viene è: la bugia è sempre peccato? E qual è la verità? Quella della coscienza individuale o quella istituzionale, sia essa civile o religiosa? E la coscienza istituzionale, essendo codificata in norme e regole, sopravanza quella individuale? Sembra un dilemma insolubile. Le istituzioni sociali e politiche limitano la libertà del singolo individuo per conseguire scopi di potere, mistificando la menzogna e spacciandola per verità. Chiesa cattolica e partito comunista sono per Silone le menzognere istituzioni dalle quali scappare (come farà da entrambe) per conservare quel che è, per l’uomo, il bene più prezioso, la libertà di pensiero e la capacità di compiere scelte responsabili allontanando consapevolmente verità preconfezionate. Egli si allontana dalla Chiesa perché connivente con i poteri e quindi, impossibilitata a dare giustizia sociale e perché non ne accetta l’impostazione dottrinale indiscutibile, simile ad una ideologia totalizzante a cui non intende sacrificare la sua coscienza individuale e autonomia intellettuale; egualmente si allontana dal partito comunista perché il suo sogno di conseguire giustizia senza sacrificare la libertà è disatteso dalle repressioni staliniste il cui regime ha dato vita a qualcosa del tutto uguale alla dittatura fascista. Insomma, uomo-scrittore coerente con se stesso sempre, comunque, a qualunque prezzo: la coscienza primeggia sulla/e ideologia/e.
Ha aperto la porta della siloniana dimensione pratica, la prof.ssa Liliana Biondi che si è lungamente soffermata sulla scrittura dello scrittore che si pone domande sulla sua attività: perche scrivo? A chi indirizzo i miei scritti? Cosa penso di offrire ai miei lettori? E a quelli occasionali? Silone si risponde che scrive per comunicare nella duplice accezione di riflettere insieme sulle parole scritte e di entrare in comunione d’animo; quando scrive pensa a persone solitarie non nel senso che siano soli ma piuttosto, in solitudine che è la migliore condizione per entrare in meditazione e riflettere; egli offre un po’ di compagnia, nel senso di condividere lo stesso “pane” e infine, per i lettori occasionali vuol esser “pulce nell’orecchio”, stimolante parola scritta per capire e far capire. Lo stile espositivo è umile, monotonale dove il registro, tenuto basso di proposito, è appena mosso da amara ironia; le voci dei diversi personaggi si muovono lungo binari paralleli mai sovrapponendosi o chiudendosi in binari morti: è l’esposizione della verità di ciascuno senza che, l’autore “scelga” chi è il vincitore – riflessione questa, lasciata al lettore – perché il finale delle sue opere è aperto come aperta è la vita.
Di pari passo con l’intervento della pof.ssa Biondi, mi sembra possa andare anche quello della porf.ssa Paynter, vincitrice della XXI^ edizione del Premio. Parola. Silenzio. Un ossimoro, forse; di certo, nell’epoca della infodemia i silenzi siloniani parlano più di mille parole. Parola per conoscere cerca verità oltre Fontamara,come ha ben notato Padre Turoldo; parola per opprimere, quella usata per confondere i fontamaresi. La semplicità del e nel raccontare è, per Silone, prova di infinita saggezza e, come nota Luce D’Eramo, ponendo l’accento sulla parsimonia della parola siloniana, la sua essenzialità fa pensare ad un sasso raccolto, ben pulito e strofinato fino a renderlo glabro, prima di venir depositato sul foglio. Apprendere la parola, il suo significato e applicare ad essa i giusti segni (i punti interrogativi aggiunti al motto credere obbedire combattere) può dar vita ad una rivoluzione…La parola essenziale esprime – associata al silenzio – i pensieri più veri e più alti; e in romanzi come Il segreto di Luca, il silenzio va ascoltato se si vuol comprenderne la grandezza: “il silenzio rivendica la libertà dello spirito” secondo una frase dello scrittore. Nel carcere di Ginevra, l’esercizio del silenzio gli permetterà la massima espressione di quella che di certo non fu soffocata dalle mura della cella…
Impossibile affrontare la parola chiave “cafoni” senza riferirsi al serio impegno civile profuso da Silone in questo campo. Ester Lidia Cicchetti riconosce al romanzo Fontamara un merito universale: presenta in Fontamara i “cafoni” conosciuti in tutto il mondo; le misere condizioni dei contadini sono universali: lo sfruttamento, l’oppressione ne sono dimensioni ineludibili. La centralità del romanzo è nei problemi sociali dell’epoca siloniana e diventa provocatorio contro il “bello scrivere” e il folklore meridionale”; l’universalità dei suoi personaggi rende universale il linguaggio dei poveri, la loro povertà, il loro lavoro sfruttato. In Fontamara il termine “cafone” è un moto di ribellione, una rivendicazione, un moto di orgoglio con accezione positiva nella speranza che domani possa divenire “nome di rispetto” quando la povertà e il dolore non siano più vergogna… L’accettazione rassegnata della condizione non è stupidità: essi l’avevano ereditata dai padri e i padri dai nonni… l’immobilismo sociale è dolorosamente osservato ma non mistificato: a Fontamara nulla mutava… La condizione è frutto della mancanza di educazione, di istruzione; bisogna invece, svegliarli, persuaderli a non accettare passivamente la realtà di sottomissione. Nei dialoghi tra istruiti e non, è palese il dominio che i primi esercitano sui secondi: il problema linguistico mette nei guai i fontamaresi, essi sono impossibilitati a comprendere la truffa esercitata dai potenti ai loro danni. L’incomunicabilità è il loro killer e Silone – che invece, scrive per comunicare – né è pienamente consapevole. Dal confronto tra i cafoni di ieri e quelli di oggi, in epoca COVID, emerge che, sebbene non sono più “poveri contadini”, esistono ancora e sono tutti quelli “vittime dell’infodemia, bombardati da informazioni spesso non vagliate con accuratezza”, sono le masse dipendenti dai social, vittime delle fake news, sono quelli incapaci di esercitare il minimo pensiero critico, quelli ai quali viene strappato o si lasciano strappare il proprio futuro e gli elementari diritti della vita. Chi non padroneggia la propria lingua vive in povertà intellettuale poiché incapace di esprime con compiutezza ogni suo pensiero e questa, oggi, è condizione comune a molti.
Eroi ed eroine siloniani sono fratelli accomunati dalla identica condizione e dallo stesso sentire; sono fratelli le genti marsicane in cui albergano gli stessi sentimenti di l’ansia, intesa come fame di giustizia e di solidarietà verso le genti oppresse anche a causa di logiche sociali sbagliate. Di pari passo con questa interpretazione fatta da Serena Circenzi va quella che si riconosce nel concetto fratellanza come vincolo esistente tra fratelli. Quest’ultimo per Silone, espressamente riferito al rapporto con il fratello più piccolo, Romolo. Per via delle morti familiari, il vincolo tra loro si rinforzò sfociando nella micro ricostruzione di un nuovo nucleo familiare. L’ingiusto arresto di Romolo , la successiva condanna a morte e infine la trasformazione in carcere, dove Romolo muore nel 1932, il 27 ottobre, a 28 anni. Dolorosissimo momento per Silone, dilaniato dai sensi di colpa che nel ’27 così scriveva al fratello: “mai come ora ho sentito i forti vincoli della fraternità; vivo ora per ora la disgrazia in cui la grande bugia del caso ti ha gettato…soffro, spero, resisto con te…tutto farò per portare allo scoperto la bugia e tu nel frattempo sii forte e paziente”.
Singolare quanto meno è l’interpretazione che Giulio Napoleone ha dato del concetto di rivoluzione in Silone.Si è soliti dividere la vita e la carriera dello scrittore secondo una scansione temporale che considera il prima e il dopo degli accadimenti degli anni ’30. Secondo Napoleone invece, è il “dopo Zurigo” a segnare un rovesciamento, una rivoluzione che sarà personale, politica, religiosa, nella scelta dello pseudonimo. Di quella personale sono stati testimoni il fratello Romolo e sua moglie Gabriella, ne abbiamo poche notizie e forse non se ne saprà molto di più anche nel passare del tempo. La rivoluzione religiosa sembra sia possibile collocarla nel 1919 allorchè Silone, in una lettera, metteva in evidenza come le pie opere si ponessero in modo compiacente verso “l’imperante laicismo di governo, guadagnandone sicuramente considerevole prosperità economica, sfruttando il lavoro di centinaia di giovani”. E, riconoscendo il sostegno reciproco che si offrono “croce e spada”, afferma senza ombra di dubbio che devono essere abbattute insieme, se si vuol conseguire la vittoria. Sempre nel 1919 si colloca anche una rivoluzione nel nome e la scelta di servirisi dal quel momento, dello pseudonimo più famoso, avendone comunque utilizzati altri in precedenza: Rusticus (attinente a “cafone”), Y …. Colpo di scena finale è l’interpretazione della rivoluzione politica, al di là e bel oltre il “semplice” allontanamento dal partito comunista”, che vuole Silone non spia dell’OVRA ma infiltrato…e su questo aspetto, Napoleone lascia aperta la suspence perché sta scrivendo un libro di prossima pubblicazione!
In conclusione, tavola rotonda ricca di contenuti, di nuovi spunti di riflessione e studio del Nostro, la cui figura di uomo e letterato, che vien fuori dalla disamina delle parole-chiave, è pari a quella di un gigante che, se non bastasse, “ha schiena dritta”. Dimensione teoretica e dimensione pratica si fondono a confermare la profonda coerenza di pensiero e di azione e il primato della coscienza sull’ideologia. Nell’epoca dell’infodemia, la sua parola assume valore incommensurabile e fa apprezzare oltre misura l’essenzialità invitando a prendere distanza dalla ridondanza e dalla inutilità di comunicazioni che, il dubbio è legittimo, fanno pensar tanto alla costrizione nel convincimento.
Deve essere obiettivo primario del Centro Studi, di tutti gli studiosi esperti e di chi, a diverso titolo, si avvicina alla figura di Silone, diffondere i messaggi etico-morale e letterario-creativo che le opere dello scrittore veicolano; necessario e non più rinviabile il coinvolgimento dei giovani attraverso le scuole, come ha giustamente suggerito Angelo De Nicola, per i quali è stata proposta la visione della videoconferenza e uno studio approfondito della personalità siloniana che, mai come oggi e al di là della ricorrenza, merita di essere celebrato.