Roma Rebibbia si apre al mondo con la “sua” Porta Santa. La direttrice Mascolo e il comandante Brunetti non nascondono l’emozione
ROMA – “….Qui dentro, proprio perché vi è la sospensione del giudizio c’è la possibilità di attivare la speranza e di dare la speranza…”( Cit. Sarah Brunetti Comandante di Reparto Roma Rebibbia Nuovo Complesso). Papa Francesco, com’è risaputo, ha deciso di inquadrare quest’anno la celebrazione del Natale di Gesù con l’apertura di due Porte Sante: il 24 dicembre nella basilica di San Pietro, il 26 dicembre nel carcere romano di Rebibbia.
Quel pesante portone di bronzo inaugurato 70 anni fa, capace di convogliare milioni di persone nella città eterna e che al tocco di Papa Francesco si aprirà ancora una volta per dare speranza al mondo intero, questo Anno Santo avrà una dimensione più comunitaria e, soprattutto, carceraria visto che la sollecitazione in tal senso ci viene dalla scelta fatta sul carcere di Rebibbia di ergersi a rappresentante giubilare mondiale di tale contesto. Il carcere romano, infatti, diventerà dal 26 dicembre, e per un anno, il luogo in cui, in nome di tutte le carceri del mondo (entità in cui un uomo soffre e spera) il posto dal quale si potrà offrire ai detenuti la riconciliazione con sé stessi e il mondo esterno.
La cappella Padre Nostro Carcere di Rebibbia sarà il luogo in cui sarà aperta la Porta Santa dedicata a questo storico evento; dove la speranza, come annunciato dal comandante del carcere Sarah Brunetti, e come riportato nell’incipit dell’articolo, deve avere la possibilità di essere attivata e di essere offerta.
Ma vediamo cosa hanno da dire in merito la dottoressa Teresa Mascolo, direttrice pro tempore del carcere Romano e la stessa Sarah Brunetti, della quale mi onoro di averla come amica e già comandante di altri delicati istituti di pena quali Sulmona e Torino.
“Essere stati scelti tra tutti gli istituti d’Italia come quello rappresentativo di un mondo particolare per noi è un onore. Anche un impegno. Emoziona noi come operatori tutta l’amministrazione Penitenziaria che si sta mobilitando per questo evento ma anche tutte le persone che qui sono ristrette”
-Inizia così la Dr.ssa Teresa Mascolo il suo intervento-
“Onorati per la scelta e trepidanti per l’attesa. In una parola, emozionati. Percepiamo la Porta Santa come un varco di spiritualità e giustizia, un luogo di accoglienza a servizio della fraternità del mondo e rappresenta anche una metafora di spiritualità, nel segno dell’impegno per la pari dignità di tutti. Faccio mie le parole del Papa che ci insegna che la speranza non delude; è un dono che ci spinge ad agire e ogni giorno in carcere è prezioso per coltivarla perché è un sentimento che ci consente di trovare il buono e il bello negli altri”.
Il comandante Sarah Brunetti interviene mettendo in risalto qual è il sentimento sul tema del Giubileo vissuto dagli uomini in divisa che operano all’interno degli istituti di pena:
“Un dono prezioso da ricevere con gioia ed emozione, l’attesa di tutti gli agenti per la venuta di Francesco che qui aprirà una Porta Santa il 26 dicembre prossimo inaugurando il Giubileo 2025.
Non è solo un lavoro, ma una vocazione, e ora, grazie alla visita del Papa diventa un riconoscimento del nostro impegno come una missione di misericordia e speranza. Ringrazio il Santo Padre per la sua costante attenzione e perché mette sempre il mondo penitenziario al centro della misericordia; grazie a lui ci sentiamo coinvolti in questo progetto di speranza che ha un suo momento molto importante nel prossimo Giubileo.Despondere spem est munus nostrum. Garantire la speranza è il nostro compito, è il motto della Polizia penitenziaria è incredibilmente affine con lo spirito dell’Anno Santo che si apre. Spesso chi è in carcere vi si trova perché non ha mai conosciuto la tenerezza o perché non ha ricevuto speranza. Il nostro compito è dare speranza anche alla società esterna, restituendole persone nuove, riabilitate; la speranza è un concetto che si riferisce al futuro, ma va costruito nel presente.
Il muro di cinta non è attraversato dai pregiudizi.”
“All’interno del carcere – prosegue il Primo Dirigente di Polizia Penitenziaria- il giudizio è sospeso per restituire la fiducia ai detenuti; solo così possiamo diventare latori di misericordia e portatori di quella speranza di cui parliamo. Il carcere è un’istituzione totale per tutti coloro che ci vivono, per condanna o per lavoro; non è un caso che il dramma dei suicidi coinvolga anche gli agenti di Polizia Penitenziaria. A volte il diaframma che divide le difficoltà dei diversi attori penitenziari è molto sottile così le sofferenze si contaminano a vicenda.
Nonostante il carico di dolore e la pressione siano notevoli, non si deve mai perdere il sorriso in questo lavoro nobile e delicato. Occorre spirito di missione, senso di umanità ed essere pronti a sostenere le sofferenze altrui. Indossare questa divisa è un’occasione per realizzare i valori del rispetto, della sensibilità e del coraggio, perché ci vuole molto coraggio a prendersi la responsabilità di altri essere umani. Per me è stato così: un modo bellissimo per vincere le mie fragilità personali ed essere di aiuto agli altri”.
(Fonti Rainews e Vatican news)