L’angolo del pittore – Marcello Ercole ed “Il sogno del soldato morente”
E’ singolare come di un artista, a volte, ti resti l’immagine di una sua opera che diventa quasi icona della sua intera produzione artistica. Era il 1970 e mi affacciai per la prima volta nel mondo dell’arte: con un amico andai a visitare la mostra antologica che il CIC – Centro Iniziative Culturali di Avezzano (una galleria ormai scomparsa da più di trent’anni) aveva riservato a Marcello Ercole. Fu così che, una litografia, “Il sogno del soldato morente” (quella di figura) si fissò nella mia mente, insieme ad almeno un’altra, “Il Cavaliere”, che rivisitava in chiave simbolica il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Andrea Verrocchio.
Fu una scoperta di un Maestro e di una delle sue molte esperienze stilistiche. In quelle litografie si potevano rintracciare in chiave “cubista”, o quasi, le visioni di una certa “retorica dei trionfi”, dove la statua equestre diveniva elemento per fissare lo strano gioco della morte, di per sé ingloriosa d’un soldato qualsiasi, col fasto, quasi eterno, della grandezza di un condottiero illustre.
Altre litografie fissarono, in quei primi anni ’70, l’esperienza pseudo-cubista del Maestro che aveva avuto in gioventù una amicizia significativa con Pablo Picasso.
Erano, quelli, anni nei quali prevaleva un’analisi fra astrattismo e simbolismo (come non ricordare “gli esagoni – l’alveare” di Ennio Di Vincenzo sotteso in basso al resto della composizione a significare la alienazione del mondo moderno, nella società schematica) e Marcello Ercole fissò sul foglio l’idea della parcellizzazione e dello spezzettamento della persona umana che fu quasi una visione profetica di quella globalizzazione che sarebbe sorta assai dopo.
Come non rintracciare, in quel “Sogno del soldato morente”, una critica a tutte le guerre ed a tutte le morti, inutili, di tanti uomini per inseguire sogni di gloria assolutamente effimera.
“Ogni morte è certa!”, dice un Cavaliere gerosolimitano nel film di Ridley Scott “Le Crociate”, e qui Marcello Ercole sembrò voler anticipare quel concetto, aggiungendo l’evidenza di quel trapasso che lega la figura supina, riversa, al sogno di gloria, forse perseguito, ma che poi sfuma nella nebbiosa consistenza dell’ultimo istante, dove la certezza della fine cancella, appunto, i sogni di gloria…
Ma sarebbe riduttivo legare l’opera di Marcello Ercole a quella litografia che pure tanto colpì la mia immaginazione, al punto da ricordarla per sempre e averla ben viva in mente, quarant’anni dopo quella mostra.
Il Maestro ha sperimentato varie tematiche e stili in accoppiate uniche. Alcune anche importantissime sono quelle legate alla sua ricerca nel campo dell’arte sacra, della quale è icona, innanzitutto, Il Cristo Crocifisso e sospeso nel vuoto di quel “Quinto non uccidere” che sta nella raccolta di quadri dedicata ai “Dieci Comandamenti” figurante nella Chiesa del Sacro Cuore in San Rocco di Avezzano. Ma anche le opere e le vetrate esposte nella Chiesa della Santissima Trinità sempre ad Avezzano.
Il “Cristo Crocifisso” sospeso nel vuoto, con una forza inusitata, testimonia la potenza del messaggio del comandamento fondamentale e diventa icona di qualcosa che ha attanagliato e attanaglia l’esistenza umana sin dal primo delitto quello di un fratello contro un altro fratello e non è forse Cristo il Fratello per eccellenza di tutti gli uomini?
“Le donne ai piedi della croce”, con vivido formalismo, fissa lo sguardo levato a Colui che hanno trafitto e mostra così la profonda conoscenza biblica ed evangelica del Maestro, fissata per l’eternità nei suo dipinti di arte sacra, che si completano anche con le due opere esposte nella Cattedrale dei Marsi, una Natività ed una “Madonna di Pietraquaria, sospesa sulla Piana del Fucino”, quella parcellizzazione della terra e dei suoi coltivi che fu tanto cara a molti artisti marsicani dello scomparso GAM.
Ma il discorso sarebbe lunghissimo, se solo si volesse approfondire il percorso artistico degli ultimi decenni.
Resta da dire che Marcello Ercole, nella sua lunga carriera, ha sondato tanti spazi della consapevolezza umana dell’esistenza e del suo travaglio, lasciando una testimonianza che è di fede, di riflessione ed anche di condanna dei miti e delle utopie del ‘900 che hanno lasciato una strana società che vive di scarse certezze e di molte paure…