I Grandi Misteri Romani. Giallo in Via Poma: chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?
Roma è la città dei misteri, dove, ad esempio, l’anima senza pace di Emanuela Orlandi convive assieme a quella ben più tranquilla di Renatino De Pedis, il boss della banda della Magliana le cui spoglie mortali riposavano niente meno che nella Basilica di Sant’Apollinare. In tempi passati, Santa Madre Chiesa, pretendeva che banditi, assassini e prostitute fossero sepolti in terra sconsacrata ma i tempi cambiano: Andreotti dirà, sardonico come sempre: “Per qualcuno era un benefattore“.
Dopo il mistero di Davide Cervia eccone un secondo che grida ancora vendetta. Lo vogliamo ricordare? La memoria storica è la base del futuro. Via Carlo Poma a Roma vi dice nulla? Il delitto riguardava l’assassinio di Simonetta Cesaroni commesso nell’agosto del 1990 appunto in quella via. Gli inquirenti misero sotto accusa di volta in volta Pietrino Vanacore, portiere dello stabile dove avvenne l’omicidio, Salvatore Volponi datore di lavoro della vittima, quindi Federico Valle, il cui nonno abitava nello stabile e infine Raniero Busco , fidanzato della vittima. Tutti scagionati. La povera Simonetta era una ragazza che lavorava come segretaria presso uno studio commercialistico. Tra i clienti dell’azienda una ditta che gestiva degli ostelli per la gioventù. La ragazza era stata “prestata” là, come contabile, per due volte alla settimana. Nell’agosto del 1990, si era recata dal cliente per sbrigare alcune pratiche. L’ultima sua notizia da viva risale alle diciassette e quindici quando fece una telefonata a una sua collega di lavoro.
Ma ecco il colpo di scena: i familiari, non vedendola tornare al solito orario, la cercarono assieme a Volponi. Arrivati in via Poma si fecero aprire dal portinaio gli uffici della ditta dove stava lavorando e la trovarono in terra morta: erano le ventitrè e trenta. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la povera ragazza scappa nella stanza accanto a quella dove lavorava inseguita da un uomo che si era nascosto nell’ufficio. Raggiunta e immobilizzata l’assassino la colpisce alla testa con una violenza tale da provocarle un trauma cranico mortale, quindi, con un tagliacarte, infierisce sulla povera giovane, ormai morta, con una bestiale brutalità: sei colpi al viso, otto lungo tutto il corpo, quattordici nel ventre e nella zona pubica, quindi la denuda lasciandole i calzini bianchi, il reggiseno e poggiando il top a coprire il basso ventre. Le scarpe da ginnastica poggiate in bell’ordine a terra quasi in un macabro rituale. Dalla borsa di Simonetta spariscono le chiavi dell’ufficio assieme ad alcuni abiti e ad effetti personali che non saranno più ritrovati.
Questa la vicenda dalla quale ebbe origine un gigantesco circo equestre che alla fine non approdò a nulla. Una per tutte? Nella stanza dell’omicidio fu rinvenuto un pezzo di carta con la scritta “CE” e il disegnino di un personaggio stilizzato a forma di margherita seguito dalla frase “DEAD OK”. Ci volle il programma televisivo “Chi l’ha visto?” per chiarire l’origine di quel reperto. Si venne, infatti, a conoscenza, nel corso della trasmissione, che il foglietto apparteneva a uno degli agenti di polizia intervenuti la notte del delitto che lo aveva “dimenticato” là … . Venne il turno degli psicologi della polizia, i quali, vista la scena, stabilirono che l’assassino aveva tentato di violentare la ragazza ma, non riuscendo ad avere “sufficiente eccitazione per poter proseguire nell’atto” (Come diavolo abbiano fatto a capire questa cosa proprio non lo so), s’era sfogato massacrandola. Resosi, successivamente conto dell’accaduto, tentò di pulire tutto, riordinare l’ufficio e far sparire il corpo, ma qualcosa o qualcuno lo interruppe. A questo punto si dileguò, svanì, si persero le sue tracce, come, dove, quando non è dato saperlo.
La mattina dell’8 agosto 1990 la polizia interrogò i portieri, i quali sostennero di essere rimasti a mangiare anguria attorno alla vasca della fontana condominiale, nel cortile, per tutto il pomeriggio del giorno prima, rendendo impossibile a chiunque di accedere o lasciare lo stabile senza essere visto. L’assassino doveva, dunque, risiedere lì e siccome Pietrino Vanacore, uno dei portieri, quel giorno non era con gli altri a ingurgitare cocomero era sicuramente il colpevole! Sui suoi pantaloni, tra l’altro, erano state rinvenute delle macchie di sangue molto sospette… .Risultarono appartenere a lui perché sofferente di emorroidi. Nonostante tutto, per gli investigatori era l’assassino.
Vanacore si fece 26 giorni di carcere. Fortunatamente per lui, gli inquirenti ritennero che chiunque avesse pulito il sangue di Simonetta dalla scena del delitto doveva essersene assolutamente macchiato. Gli abiti del povero Pietrino, che li aveva indossati per tre giorni consecutivamente, però, non ne riportavano traccia, quindi, con logica ferrea stabilirono che non poteva essere stato lui. Successivamente gli accertamenti sul DNA delle evidenza, lo scagioneranno definitivamente. Anni dopo il portiere si suicidò gettandosi in mare. Nella sua auto un cartello con la scritta: “20 anni perseguitati senza nessuna colpa”. Avrebbe dovuto deporre, di lì a qualche giorno, nell’udienza del processo a carico di Busco per l’omicidio della ragazza, ma non si ritenne la coincidenza degna di nota.
Dopo un annetto e passa ecco il famoso R.I.S. di Parma entrare in scena. Raccolgono il DNA di trenta persone e lo confrontano con le macchie presenti sia sulla scena del delitto che sugli effetti personali della ragazza stabilendo che l’assassino era un maschio! Passano gli anni e nel 2007 e le tracce di saliva repertate risultarono corrispondere al DNA di Raniero Busco che diviene nuovo indiziato prima, indagato poi ed infine condannato in primo grado a 26 anni. Fu assolto quattro anni dopo nel processo di appello confermato dalla cassazione nel 2014.
Altro giro, altro sospettato. Nel 1992 un austriaco che pareva vicino ai Servizi, affermò di avere ricevuto una confidenza dalla madre di Federico Valle, il giovane nipote dell’anziano architetto residente proprio in quella scala, secondo la quale, quel giorno, il ragazzo andato a far visita al nonno tornò a casa sporco di sangue. Una nuova ipotesi è subito formulata: il ragazzo, preso da un raptus o geloso per una presunta relazione di suo padre (separato dalla madre) con Simonetta, l’avrebbe uccisa e Vanacore (sempre di mezzo) o per amicizia nei confronti dell’anziano architetto al quale faceva quasi da badante o per quattrini, ripulì la scena del delitto. Successivamente le indagini dimostrarono che il racconto era una gigantesca balla
Di balla in balla inizia un nuovo giro di informazioni: un giorno fu recapitata in Procura, a Roma, una lettera anonima che suggeriva di indagare sulla pista del Videotel: una sorta di chat line che si usava con i computer all’inizio degli anni novanta. Si ventilò che Simonetta avesse preso un appuntamento con quello che avrebbe potuto essere il suo assassino e il cui pseudonimo era “Dead” come nel foglietto del disegnino. Si scoprirà, poco dopo, che il computer nell’ufficio della giovane donna non aveva collegamenti con l’esterno e tantomeno lei ne possedeva uno di suo. Anche il computer ebbe una strana storia: All’arrivo della Polizia era ancora acceso, poi si spense: pare che un agente avesse tolta la spina dalla presa della corrente!!! Ancora non paghi delle tante “bufale” si ipotizzò che l’ufficio di via Poma era sorta di “base” dei servizi segreti italiani e non si salvò nemmeno l’onnipresente Banda della Magliana. Stando ad alcune voci Simonetta avrebbe scoperto alcuni intrecci tra la Banda e il Vaticano complici i servizi segreti nostrani. Anche di questa pista non se ne fece nulla. Insomma di “riffa o di raffa” Il delitto, ad oggi, resta senza colpevoli e a noi cascano le braccia. Certo che quel condominio doveva portarne di sfiga…: Oltre al delitto Cesaroni, un avvocato che aveva ucciso la moglie si suicidò con un colpo di pistola alla testa, quindi fu la volta di un avvocato penalista che ne seguì l’esempio. Nel 1984 una anziana e ricca ereditiera sessantottenne venne tramortita a bottigliate e soffocata con un cuscino, caso anche questo irrisolto. Lì non ci abiterò mai ma che diavolo succede in quel posto?
Per dirla con Guareschi quando descrive Brescello, l’Italia è il paese dove “…Nebbia densa e gelata l’opprime d’inverno, d’estate un sole spietato picchia martellate furibonde sui cervelli della gente e qui tutto si esaspera” … “ma gli uomini rimangono sempre uomini e qui accadono cose che non possono accadere da nessun’altra parte“. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.