La scandalo della Banca Romana. Era il 1892 ma è come se fosse… oggi
Esiste un modo di dire, quando si vuole rassicurare qualcuno, che suona all’incirca così: “l’hai messo in banca”. Non sono certo della sua correttezza: un dubbio mi assilla, un dubbio la cui causa viene da lontano nel tempo in un percorso storico lungo oltre un secolo. Ricordiamo insieme…
Nel 2015 Banca Etruria, insieme a Banca Marche, CariFerrara e CariChieti si resero oggetto di uno scandalo che costò sangue e perdite a tanti piccoli risparmiatori. In quel frangente si disse: – Eh una volta le banche erano diverse…- ed infatti già un pugno di anni prima, dal 2007 al 2014, Monte dei Paschi di Siena si era reso protagonista di una azione incauta. Nel novembre del 2007 Mps, aveva acquisito la banca Antonveneta. 9 miliardi spesi per la compravendita e più di 7 miliardi di debiti da risanare. Una spesa troppo alta per la banca toscana in un momento di pesante crisi finanziaria. Per risolvere il problema dovettero avviare un piano di riduzione dei costi che prevedeva entro il 2014 la soppressione di 4600 posti di lavoro e la chiusura di 400 filiali. Tutto inutile: nel 2014 la banca non superò gli Stress Test della BCE e dovette varare un nuovo aumento di capitale. Dove prendere il danaro? Ci pensano gli italiani! La cosa costò ai contribuenti qualche miliardo di euro. Nel 2012 ci si mise anche Carige. Fu gestita in modo talmente disinibito che la dirigenza, in seguito condannata per truffa, si lasciò alle spalle una montagna di crediti andati a male: 7 miliardi di euro. In Borsa, il suo titolo in 10 anni passò da 35 a 0,0015 euro. Poveri azionisti! Anche in quell’occasione si disse:- Eh una volta le banche erano diverse…- . Anno 2006 la Banca Popolare Italiana ebbe grossi problemi ma già nel luglio 2005 era deflagrato lo scandalo Bancopoli che vide coinvolte le famose “popolari” come quella di Bari. Cosa è una “banca popolare”? E’ un istituto di credito principalmente costituito come società cooperativa per azioni. Sono istituti che dovrebbero essere dediti alla produzione di beni e servizi dove lo scopo comune non è lucrativo ma mutualistico. Infatti proponevano alla povera gente che si fidava di loro titoli non proprio sicuri. (Sic!). Anche quella volta si pensò:- Eh una volta le banche erano diverse…-
2002 Collocamento di prodotti bancari tossici denominati My way e Four you da parte del Monte dei Paschi di Siena (ancora) . Lo scandalo costrinse alle dimissioni il vertice della banca e al rimborso di molti risparmiatori. Le gesta della Banca 121, partecipata pugliese del Monte, sono ancora citate dagli addetti ai lavori come esempio di truffa finanziaria.
Nel 1995 toccò al Banco di Napoli a causa di problemi generati da relazioni clientelari, concentrazione del credito e rapporti con la politica. Di nuovo si sospirò dicendo:- Eh una volta le banche erano diverse…- . Nel 1992 la Cassa di Risparmio di Venezia, la più antica d’Italia, andò in default per una serie di previsioni errate sui cambi. Nel 1987 fu la volta della Cassa di Risparmio di Prato, banca locale con finanziamenti concentrati nel tessile; finanziò speculazioni e accrebbe i propri rischi in misura spropositata, quasi svuotando il Fondo di Tutela dei Depositi (era stato creato da poco!). Pure allora la frase ripetuta per anni passò nei pensieri dei risparmiatori: – Eh una volta le banche erano diverse…-
A dirla tutta ci sarebbe voluta la mano del Signore per guidare il sistema bancario italiano e per un attimo il suo intervento parve arrivare veramente quando, nel 1896, Giuseppe Tovini, un banchiere cattolico, fondò Il Banco Ambrosiano, anzi qualche anno prima aveva dato vita anche a Banca San Paolo di Brescia e Banca di Valle Camonica. il Banco seguiva la linea secondo la quale si doveva offrire credito seguendo i principi cattolici. Per diventarne soci bisognava esibire il certificato di battesimo oltre ad un attestato di buona condotta dal parroco.
Tovini fu beatificato nel 1998 ma le sue sante gesta non trovarono emulatori. Il tempo passa, le mode cambiano e così pure il modo di gestire gli istituti di credito. Ad allineare il tutto ai tempi moderni ci pensarono nel 1978 Calvi e il Presidente dello IOR, l’arcivescovo Paul Marcinkus. Fondata in Lussemburgo una finanziaria, la Banco Ambrosiano Holdings Sa, Calvi divenne il primo interlocutore proprio dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione, considerato comunemente come la Banca del Vaticano. Costituì, a proposito di Vaticano e arcivescovi, proprio con l’alto prelato, la Cisalpine Overseas, con sede alle Bahamas, trovando lì il paradiso (fiscale). Miliardi del Banco Ambrosiano finirono nella Cisalpine e verso destinazioni che ancora oggi, pare, non siano state scoperte. Calvi fece una brutta fine: venne trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra aggiungendo una seconda morte misteriosa a quella di David Rossi volato fuori da una finestra durante la vicenda Montepaschi.
Ai tempi dei velieri e delle rotte commerciali, le navi che trasportavano seta, spezie e tè dalla Cina erano assicurate presso i Lloyd’s di Londra. Nella sala delle contrattazioni era stata posta la campana della fregata “Lutine” che ha annunciato, per oltre un secolo, con il suo rintocco, la perdita di una nave. Oggi, perdonatemi la considerazione, si ha la sensazione che le banche siano assicurate dal popolo italiano anziché dai Lloyd’s (costa meno); se ci fosse una campana alla CONSOB, l’ente rivolto alla tutela degli investitori, all’efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato mobiliare italiano rintoccherebbe di continuo… . Queste vicende che ho raccontato sembrano “normali incidenti di percorso bancari”, in verità affondano le loro radici in quello che fu lo scandalo degli scandali: mi riferisco alla Banca Romana e siamo nel 1892. La vicenda vide posto sotto giudizio il governo di allora a partire da Francesco Crispi e Giovanni Giolitti. Vediamo di cosa si trattava.
Come in una fiaba possiamo cominciare con “C’era una volta”. Ebbene c’era una volta, nel 1892, una nazione che si chiamava Italia che era stata unificata tre anni prima ed aveva una capitale che si chiamava Roma però, per dirla con Massimo D’Azeglio, se l’Italia era stata fatta bisognava ancora fare gli italiani. Il Paese era socialmente frammentato e il sistema bancario ne era l’esempio. Esistevano solo sei istituti di credito ed avevano l’autorizzazione a stampare cartamoneta: Banca Nazionale del Regno d’Italia, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia, Banco di Napoli, Banco di Sicilia e Banca Romana. C’era un vincolo: ciascuna banca doveva rispettare un tetto massimo di banconote che poteva emettere ogni anno ed un preciso rapporto tra circolante e riserve auree, insomma, in soldoni, potevi stampare tot danaro se ne possedevi l’equivalente in oro. Per la verità Cavour avrebbe voluto un unico istituto autorizzato ad emettere valuta ma rimase inascoltato. Sapete come vanno queste cose e alla fine del 1892 alla Camera dei Deputati, invece di pensare alla realizzazione di un unico meccanismo statale emettitore di valuta, si discuteva sul come prorogare alle sei banche l’autorizzazione a stampare danaro però, come vedremo, le cose rimasero lì, con un piede per aria… . Che ci vogliate credere o meno, ancora non s’era iniziato a dibattere sull’argomento che cominciarono ad emergere delle irregolarità… .
In realtà si trattò di una specie di congiura di palazzo. Dovete sapere che il Direttore Generale del Banco di Napoli, non era proprio simpatico a Giovanni Nicotera per cui, allo scopo di mandarlo via, con l’aiuto del ministro dell’industria in carica, fu ordinata una ispezione atta “alle bisogna” che doveva stanare eventuali irregolarità dell’ istituto e permettere la destituzione del Direttore Generale. Siccome erano furbi si dissero: “Facciamo l’ispezione a tutte e sei le banche, tanto per confondere le acque” e così chiamarono, per eseguire la cosa, il deputato Giacomo Giuseppe Alvisi presidente della Corte dei Conti che, però, aveva un brutto difetto: era onesto. Così dall’ispezione emerse che il Banco di Napoli non aveva problemi tali da defenestrare il Direttore Generale ma, sorpresa delle sorprese, dall’analisi della situazione della Banca Romana, risultò, invece, che non tornavano i conti delle emissioni. Aveva stampato un eccesso di 25 milioni di lire di banconote (circa 100 miliardi di euro attuali): quel danaro che non poteva essere era coperto dalle sue riserve auree, era carta straccia. Ma non finiva lì: risultavano ammanchi contabili e crediti dalla scarsa esigibilità; insomma aveva fatto prestiti che non sarebbero stati mai recuperati.
Facciamo un passo indietro… .“Pecunia non olet” diceva Vespasiano e nel 1834 il cardinale Tommaso Bernetti autorizzò santamente la costituzione della Banca Romana, che venne fondata a Parigi con la denominazione Società Anonima per azioni della Banca Romana. All’istituto venne accordato il privilegio dell’emissione di banconote nel limite di una riserva aurea di circa 4.000.000. Nacque male perchè da subito, sul nuovo istituto di credito, si stese l’ombra di interessi privati da parte del cardinale Giacomo Antonelli e della sua famiglia. Passarono gli anni, la ragione sociale fu cambiata in Banca dello Stato Pontificio e furono aperte due succursali ad Ancona e Bologna, poi eccoti là l’ispezione di cui sopra. Guarda te, dalla voglia di Nicotera di sbattere fuori il Direttore Generale del Banco di Napoli cosa ne era scaturito… proprio vero che “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.
Volete sapere cosa avevano combinato in quella banca? Eccovi accontentati… . Un signore, Bernardo Tanlongo, il governatore, mise la scusa che alcune banconote erano usurate e andavano ritirate. Ne fece stampare di nuove ma, qui la furbata, riportavano lo stesso timbro e numero di serie di quelle destinate al macero che, però, non furono distrutte! Si arrivò, così, ad un surplus di moneta che superò il tetto massimo consentito. Perché il buon Tanlongo aveva fatto ‘sta cosa? Perché la Banca Romana doveva coprire le perdite causate da prestiti troppo generosi concessi ai soliti amici e ad astuti operatori nel campo dell’edilizia. La cosa fu portata all’attenzione del Governo che convocò Alvisi e gli disse praticamente: “ Zitto per carità “ sicchè la relazione non fu resa pubblica nel timore di una corsa agli sportelli e lo scoppio di una crisi ben più profonda. Francesco Crispi, capo del Governo, era molto preoccupato: aveva chiesto l’esito dell’indagine eseguita alla Banca Romana a Giovanni Giolitti, allora Ministro del Tesoro, il quale gli aveva risposto che “… tra le carte vi era roba da codice penale ”.
Alvisi, non si dava per vinto e insisteva per portare in dibattito parlamentare la questione (ricordatevi che era onesto); fu allora convocato il governatore della Banca stessa il quale, obtorto collo e viste le prove, dovette confessare. Le banconote in eccesso furono stampate a Londra dalla H. C. Sanders & Co. coi numeri di serie di quelle che dovevano essere distrutte e le firme apposte con appositi torchietti, lontano da occhi indiscreti, dal Tanlongo, da suo figlio Cesare e del capo cassiere Lazzaroni.
Pensate che la cosa fosse finita così? Ma anche no, perché Giolitti pensò pure di nominarlo senatore, d’altro canto un premio se lo meritava per la sollecitudine dimostrata… . Tanta sfacciataggine fece innervosire Alvisi ormai in fin di vita. Cosa fece l’uomo? Prese tutte le carte dell’ispezione, le infilò in una busta e la diede ad un amico, il senatore Leone Wollemborg, con la raccomandazione di diffonderne il contenuto dopo la sua morte (di Alvisi). Qui comincia un “passamano”. Wollemborg, consegnò l’incartamento al direttore del Giornale degli Economisti, che a sua volta, ne mise al corrente il deputato Napoleone Colajanni il quale ritenne opportuno, finalmente, di denunciare in Parlamento il tentato insabbiamento dell'”affaire Banca Romana” da parte del Governo.
“Apriti cielo” si dice nelle favole quando una situazione precipita. La vicenda divenne di dominio pubblico e fu fatta luce sul dissesto e sulla gestione dell’istituto di credito. Diciannove giorni dopo lo scoppio dello scandalo furono arrestati Tanlongo, suo figlio Pietro e Antonio Monzilli, un funzionario del Tesoro autore di una supposta relazione “accomodata e accomodante”, presentata al Consiglio dei Ministri, che riportava un ammanco di soli 3 milioni di lire. Agli arresti fece seguito una inchiesta parlamentare e un procedimento giudiziario con oltre sessanta udienze sempre nei confronti del Governatore della Banca Romana. Lo svolgimento del giudizio non fu limpidissimo: diverse testimonianze, tra le quali quella di Ferdinando Montalto, funzionario di polizia, asserirono che nomi importanti furono fatti sparire dalla carte acquisite, tant’è che l’onorevole Sidney Sonnino chiese in una interrogazione parlamentare perchè le carte sequestrate in perquisizioni fatte presso gli amministratori della Banca Romana o alla sede della banca stessa, erano state rimesse all’autorità politica prima che all’autorità giudiziaria .
I giornali ci “inzupparono il pane”. La mattina dopo aprirono con titoli a tutta pagina. Lo scandalo della Banca Romana correva sulla bocca di tutti e si allargò a macchia d’olio sulle altre banche italiane che risultarono essersi spesso impegnate in pericolosi prestiti a lungo termine ad industriali e costruttori in quello sviluppo del mattone che Dennis Mack Smith, nella sua “storia d’Italia”, definì “follia edilizia”. Questi crediti per milioni di lire che le avevano avviluppate erano, però, diventati sempre più inesigibili a causa della crisi economica e per il crollo del mercato immobiliare. Alla fine della fiera le banche avevano fatto prestiti ed aperto linee di credito senza le necessarie garanzie, mascherando gli scoperti con conti correnti e titoli di credito fasulli, il tutto a danno dei piccoli clienti che non riuscivano ad avere indietro il proprio denaro per mancanza di fondi.
Nel frattempo il buon Tanlongo cantava come un uccellino in gabbia (è il caso di dirlo) affermando che le anomalie erano conosciute anche da diversi presidenti del Consiglio i quali non erano intervenuti perché corrotti. In seguito, la relazione di un apposito comitato dimostrò che tra i beneficiari dei prestiti vi erano la bellezza di ventidue parlamentari fra cui il primo ministro Francesco Crispi. Come andò a finire? E come volete che andasse a finire? La sentenza per tutti gli imputati per lo scandalo della Banca Romana fu di totale assoluzione. L’unica vittima politica eccellente fu Giolitti, costretto alle dimissioni perché aveva avuto in prestito 60.000 lire dal Tanlongo.
A seguito del dissesto della Banca Romana assieme alla instabilità degli altri istituti di credito, nacque la Banca d’Italia quale fusione di Banca Nazionale del Regno d’Italia, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia e Banca Romana. Dal 1926 divenne l’unico istituto a poter emettere valuta e con la responsabilità di vigilare sul settore creditizio: Cavour ne sarebbe stato soddisfatto. Mi sovviene quanto disse Vittorio Emanuele II di Savoia rivolgendosi al plenipotenziario inglese Augustus Paget: “ ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione” come si dice: “parola di re”.
Lo scandalo della Banca Romana richiama alla mente l’esito degli scandali più recenti: tangentopoli, bancopoli e via andare… . Rimane una triste considerazione: cambiano i protagonisti, cambiano i tempi, ma il risultato è sempre quello. Se catapultassimo questa vicenda ai giorni d’oggi sarebbe meno attuale? Certamente no: il DNA dell’organizzazione bancaria al tempo dell’unificazione del Regno d’Italia, pare essersi trasmesso in quella attuale facendo passare alla storia la vicenda della Banca Romana come la madre di tutti gli scandali (bancari) italiani. Fatemelo dire “Eh le banche una volta erano diverse…“. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.