Il “Verano” di Roma. Un libro di storia fatto di marmo e pietra
In giro nel più noto cimitero dell’Urbe dove riposano attori, politici, cantanti e personaggi dalle storie incredibili
ROMA – Se un cimitero può avere uno slogan, quello del Verano è: “La storia siamo noi”. Stanno tutti qui i giganti del passato italiano e tutti riposano pacificamente l’uno accanto all’altro tra le braccia di colei che rende tutti uguali: la morte. Da Almirante a Palmiro Togliatti, da Nilde Iotti a Claretta Petacci, da Alcide De Gasperi a Pio IX, c’è pure la salma dello zompettante Don Lurio!
Voglio raccontarvi qualcosa sul cimitero monumentale del Verano che è considerato, a pieno titolo, un museo a cielo aperto. Non fate gli scongiuri, non toccate cose strane: visitare il cimitero monumentale dell’Urbe è un vero accrescimento culturale.
Il ferale campo si trova nel quartiere San Lorenzo e quasi dirimpetto ci imbattiamo in una stranezza (ti pareva?). Da una finestra del “Palazzo Decorato” si affaccia un signore anziano con un binocolo in mano; vicino a lui un’elegante signora e alla sinistra una ragazza in costume ciociaro: guardano la strada. Curiosità nella curiosità la finestra è in terracotta. Si dice che fosse il proprietario del palazzo, assieme alla moglie e una servetta che, guardando passare un funerale, schernì ridendo il corteo funebre. Il Padre Eterno lì volle punire pietrificandoli. In realtà è una scultura di Giuseppe Maria Sartorio, un artista, che era proprietario di quel palazzetto. Sartorio passò alla storia come il più grande scultore di monumenti funebri tanto che fu definito il Michelangelo dei morti. Insomma con la vicinanza del camposanto faceva casa e bottega.
L’entrata monumentale del cimitero monumentale presenta quattro grandi monumentali gruppi statuari (qui tutto è monumentale): la Meditazione, la Speranza, la Carità e il Silenzio e un ampio quadriportico, monumentale anch’esso, opera di Vespignani, che pure lui riposa in pace qui.
L’arte la fa da padrona in questo complesso enorme (83 ettari di morti vari). Il posto è il più antico camposanto della Capitale essendo luogo di sepoltura da almeno venti secoli, come testimonia l’esistenza di una necropoli romana: le catacombe di Santa Ciriaca. Volendo fare una passeggiata, calzate scarpe comode, possiamo imboccare la rampa Caracciolo e inerpicarci su per il colle del Pincetto (nel cimitero esiste una collina, sissignore). A un passo la Scogliera del Monte, dove le lapidi si arrampicano su gradoni ricoperti di pietre quasi fossero incastonate in una vera scogliera. Struttura bella, suggestiva ma inusuale: chi diavolo penserebbe di realizzare una cosa simile?
Lungo le stradine del cimitero gli incontri con i personaggi della nostra storia non sono una cosa insolita… ecco là la tomba di Raimondo Vianello e poi quella di Roberto Rossellini, più giù la “residenza” di Petrolini. Il “necroturista” cammina col naso all’aria incantato dai nomi e dagli epitaffi sui frontoni dei tempietti ora neoclassici, ora gotici che ospitano tanti “nobili defunti”. L’intera cultura gli passa accanto e par di veder spuntare tra i pini la sagoma possente di Bud Spencer e lì all’angolo Ungaretti che scrive qualcosa. Rino Gaetano passeggia con Leopoldo Fregoli e Trilussa strizza l’occhio a Mario Riva, ma si sa sono romani…
Se siamo entrati dalla porta principale del camposanto, procedendo diritti incrociamo la tomba di Gassmann, un gigante del proscenio ma umile nella sua sepoltura, posta lì a terra senza tanti orpelli, come si addice alla sobrietà di una grande anima che nel suo epitaffio scanzonato afferma: ”Non fu mai impallato!”. Il significato lo spiegò lui stesso in una intervista con Augias: “È un termine tecnico cinematografico: è impallato ciò che si nasconde alla macchina da presa. Io mi sono sempre fatto vedere”.
Continuiamo a visitare il museo, pardon il cimitero, tra il silenzio, l’odore di resina dei pini e lo scalpiccìo chiotto chiotto dei vivi che vanno a trovare i morti.
Tra tutte voglio raccontare di una tomba, quella di Raffaella La Crociera, la bambina malata che prima di morire aiutò gli alluvionati con le sue poesie. Preparate i fazzoletti: la commozione è all’angolo… . La sepoltura di Raffaella è indicata dalla statua di una ragazzina con un quaderno nella mano destra; alle sue spalle una scritta: “Premio della bontà 1954”. Dovete sapere che, nell’ottobre di quell’anno, un nubifragio devastò la costiera salernitana e la Rai organizzò una raccolta fondi per aiutare quella gente. La giovinetta sentito l’ appello mentre giaceva a letto, immobilizzata da un lupus eritematoso cronico, si tormentava su come aiutare quei bambini. Scrisse alla Rai dicendo che i suoi genitori erano molto poveri perché avevano speso tutto nel tentativo di guarirla. Non avendo denaro voleva donare una sua poesia. Giovanni Gigliozzi, nella sua rubrica radiofonica “Campo de’ Fiori”, lesse il componimento mettendolo all’asta. La poesia scatenò una gara di solidarietà e dalla Svizzera la contessa Cenci Bolognetti se l’aggiudicò con una offerta di mezzo milione di lire. Il sogno della giovinetta di aiutare gli alluvionati si era avverato. Un giocattolaio romano, Fausto Arnesano, decise di ringraziare la piccola poetessa donandole la più bella delle sue bambole. Purtroppo Raffaella non ebbe il tempo di giocarci…
Girovagando, se non state attenti, rischiate di dare una capocciata al monumento funebre realizzato da Tadolini: un giovane nell’atto di spiccare il volo.
La tomba ospita le spoglie di Arrigo Saltini dei Remingardi «studente di ingegneria, tenente pilota-aviatore, caduto per la patria a 23 anni, 8 ottobre 1918», come recita l’iscrizione sepolcrale. Siete stanchi? Continuiamo? Forza che abbiamo qualcosa di unico da vedere.
Il camposanto ospita 280 monumenti funebri con “ritratti realistici” eseguiti nella seconda metà dell’Ottocento da Filippo Severati. Le opere sono realizzate con una tecnica chiamata “smalto su lava” di cui se ne è quasi persa la conoscenza. Tanto era nuova la cosa che nel suo autoritratto sulla tomba di famiglia compare l’iscrizione: “Primo ritratto eseguito in Roma in smalto sopra lava. Tal genere di pittura è utile per la durata, si può unire alla scultura“, insomma un funereo “spot pubblicitario “. Le sue sono opere splendide; pare a voi che potevano rimanere senza correre rischi? Ma anche no, una novantina di ritratti sono… spariti!
Nel quadriportico ci appare una vera galleria d’arte. Miscelati insieme troviamo purismo, realismo e simbolismo. Qui riposa il pittore Tommaso Minardi, esponente del Purismo romano, l’Angelo della Notte della Tomba Zonca espressione realista di Giulio Monteverde, la gotica Tomba dello scultore Benzoni. In questo camposanto si trova di tutto: capolavori, tombe distrutte, droga nascosta nelle sepolture, armi, spacciatori e perfino un tempietto egizio dove si possono celebrare funerali civili e ospitare le salme di chi in vita aveva disdegnato, per motivi vari, i sacramenti. Una cosa non si trova ed è la pulizia.
Vagando tra tante tombe trasudanti morte ne esiste una che sprizza vitalità ed è quella del cantante Rino Gaetano: non ha monumenti, non ha epitaffi roboanti ma si individua facilmente grazie alle migliaia di scritte che campeggiano intorno alla foto tanto è presa d’assedio dai fan. Sulla lapide un Ukulele: è il secondo, il primo se lo fregò qualcuno… sic transit gloria mundi.
Per finire, Il camposanto ospita una colonia felina di 430 gatti (contati). Non fate facili battute sulla provenienza del loro cibo! Qui il gatto ha chi gli porta da mangiare e di sorci ne ha in abbondanza: chi l’ammazza? Ci sarebbe altro da dire su questo camposanto ma fermiamoci qui…
Un saluto e un arrivederci… in qualche altro posto (ehm) naturalmente.