Tor Marancia. Da brutto anatroccolo di Roma a cigno. Grazie ai “Murales Giganti”

Voglio raccontarvi la storia di un quartiere brutto, ma così brutto che nessuno ne voleva parlare. Era malfamato, ma così malfamato che se qualcuno vi entrava non aveva la certezza di uscirne intero. Il posto era un agglomerato di baracche fatte con assi di recupero e lamiere “rimediate” un po’ qua e un po’ la per la città. Le casupole avevano i servizi in comune e ciascuna era composta da una sola stanza con il pavimento in terra battuta.

In inverno il fosso di Tor Carbone straripando allagava tutto il quartiere. Per poter camminare senza inzaccherarsi o correre il rischio di scivolare sull’acquitrino che ricopriva il suolo, venivano stese per terra delle assi da costruzione. L’insieme dava l’idea di trovarsi in una di quelle città galleggianti della Cina. Il solito ironico cinismo romano, quindi, affibbiò al quartiere il nome di Shangai sia per l’alta densità abitativa, sia per i citati allagamenti. Gli abitanti del quartiere erano, naturalmente,  soprannominati con una deformazione lessicale tutta locale,“shangaìni”.

Un po’ di storia

A scanso di equivoci il nome “Tor Marancia” non ha a che fare con l’omonimo agrume ma discende da più nobili lombi. Esisteva nelle vicinanze una antica villa romana detta dei  Numisii. Era una ricca abitazione della metà del II secolo d.C. appartenuta a Numisia Procula: Il nome di Tor Marancia deriva probabilmente da una deformazione di Amaranthus, un liberto che  prese in gestione la villa e da una vecchia torre diroccata i cui resti sono ancora visibili.

Il quartiere nacque verso la fine degli anni ’20 su di una zona prevalentemente paludosa per ospitare i romani sfollati. Gli sventramenti urbanistici, infatti, voluti dal regime fascista per la costruzione di via dei Fori Imperiali e via della Conciliazione, lasciarono molti residenti del centro storico senza alloggio. In seguito al grido di “più siamo e meglio stiamo” agli sfollati si sommarono molti emigranti provenienti dal sud Italia. Nacque, così, dal nulla,  una “baraccopoli”. C’erano anche alcune casette in muratura e legname. Furono costruite dall’allora “Istituto Case Popolari” e catalogate come “case minime” perché composte da una sola stanza dove si affastellavano anche dieci persone.

Questo insieme di “favelas” fu smantellato nel 1948, quando la Legge De Gasperi sul risanamento delle borgate fece radere al suolo l’intero quartiere. Le casupole fatiscenti furono sostituite con le attuali case popolari: una serie di brutte palazzine che, però, meglio erano delle baracche. “Shangai” salì agli onori delle cronache nel 1970 quando i suoi abitanti lottarono per il diritto alla casa. Lo fecero con la rabbia di coloro che a vivere ammassati negli appartamenti “come i cinesi” non ci volevano proprio più stare.

La Rinascita

La mappa dei murales

Un bel giorno, come nella fiaba di Andersen il “brutto anatroccolo”, il posto  subì un cambiamento: i brutti caseggiati si tramutarono in capolavori dando vita ad una galleria d’arte a cielo aperto unica in Europa ma soprattutto gratuita!

Nel 2015 nacque un progetto di arte pubblica, che ha portato una po’ di bellezza nel quartiere (non è una borgata). Il progetto chiamato Big City Life nacque nel tentativo di valorizzare un’area storicamente “difficile” come “Shangai”. Parteciparono artisti provenienti da diversi paesi europei. Più di venti personalità della street art crearono dei murales monumentali su undici palazzine appartenenti al comprensorio di Viale Tor Marancia 63, coinvolgendo la comunità locale. L’idea fu dell’associazione culturale 999Contemporary assieme al Comune di Roma e noi gliene siamo grati..

Convivere con gli artisti

Stare assieme agli artisti non fu proprio facile; all’inizio regnò diffidenza e ostilità ma, conoscendo gli artisti e parlando con loro, la partecipazione della gente crebbe sempre di più. Giorno dopo giorno i condòmini compresero il senso del progetto e “adottarono” i “graffitari”.

Spesso portavano loro il pranzo o fornivano consigli. Allo street artist Mr Klevra, mentre dipingeva “Santa Maria di Shangai” accadde di essere abbordato da una signora che lo apostrofò così: “A regazzì, ma nun lo vedi che ‘sta Madonna l’hai fatta troppo cicciona?”. La convivenza si fece così stretta che alla fine i residenti raccontavano agli artisti i fatti propri guai compresi. Queste storie, in alcuni casi, confluirono nelle opere facendole diventare espressione della realtà del quartiere. Tutti gli artisti vollero conoscere le famiglie del palazzo sul quale avrebbero lavorato e rimanendo colpiti dal clima familiare del quartiere. Pensate che le vecchiette, sempre a sbirciare dalle finestre, suggerirono l’opera “La percezione” del portoghese Vhils. 

Ci sono voluti oltre 700 litri di vernice e 1000 bombolette spray ma gli artisti hanno operato un miracolo trasformando la zona in “uno straordinario museo a cielo aperto”, come disse l’allora sindaco di Roma Ignazio Marino. Pure lui era “una opera d’arte della Capitale”. Con il nome d’arte di “Er Marziano” lasciava stupefatti i romani con le sue trovate come dire…? un po’ “originali”. Ora vive negli Stati Uniti a Philadelfia: lì sta bene ed è meglio non disturbarlo.

Il giro turistico

Voglio mostrarvi alcuni dei lavori di questa originale esposizione composta da immensi murales che ricoprono completamente le facciate degli edifici. Non illustrerò tutto ma se capitate nella capitale, dalla Stazione Termini prendete l’autobus n° 740 e scendete al Palazzo della Regione. Attraversate la via Cristoforo Colombo e raggiungete la sede dell’Automobile Club (è quasi difronte), costeggiatela e siete in viale di Tor Marancia. Gambe in spalla e entrate al civico 63: la mostra d’arte eccola là, proprio dentro al condominio! Nel cortile anni Cinquanta, non c’è un percorso da seguire: potete gironzolate per i vialetti, tra le panchine di pietra e le siepi godendovi i murales alti 14 metri e magari anche un panino.

Le opere

È arrivato il momento di vedere le opere ed iniziamo da un intervento di carattere sacro: “Santa Maria di Shanghai”. É il contributo di  Mr. Klevra ( il tizio apostrofato dalla signora), ingegnere e street artist romano di Ostia. Il suo murale raffigura una Vergine con Bambino, nello stile dell’iconografia bizantina di cui l’artista è un profondo conoscitore.

La Madonna rappresenta la città, mentre il Bambino simboleggia la borgata. Con quest’opera, l’artista ha voluto rievocare l’immagine di Roma che abbraccia teneramente uno dei suoi “figli”, il quartiere di Tor Marancia. Mr Klevra, ha realizzato una icona Bizantina in acrilico e spray, su una parete di 10 metri per 14,5. Scommetto che entrerà di diritto nel Guinness dei primati come l’icona Bizantina più grande al mondo. Trattandosi di immagine sacra ha ricevuto anche la benedizione da parte di Don Mauro parroco della chiesa della Madonna di Lourdes. Arte, cultura e religione tutto si mescola a Roma: lo dirò sempre che noi romani siamo dei chierichetti “in pectore“.

Il peso della storia

Tra gli artisti l’argentino Franco Fasoli, in arte Jaz. Il titolo dell’opera è “Il Peso della Storia”. Rappresenta due lottatori di lucha libre (il wrestling messicano praticato indossando delle maschere). Uno veste i calzoncini dell’Argentina e l’altro quelli dell’Italia. Sembrano due creature mitologiche e rappresentano le due nazioni legate storicamente dal destino di massicce migrazioni. Il primo tiene sulle spalle il secondo, a rappresentare il profondo legame che unisce l’Argentina, nazione d’origine dell’artista e l’Italia. Come è noto il paese sudamericano costituì una delle mete preferite dei flussi migratori nostrani. La scena rievoca il peso sostenuto dai migranti sbarcati in Argentina, costretti a fronteggiare innumerevoli difficoltà per cercare fortuna tanto lontano dalla propria terra. Mi suggeriscono che il lottatore italiano rappresenta anche il peso della grande storia d’Italia. A voler essere cattivi si potrebbe interpretare come il peso sopportato dagli argentini a causa della immigrazione italiana.

Veni, Vidi, Vinci

La coppia di artisti francesi Lek & Sowat sono gli autori di “Veni, Vidi, Vinci”, un murale con scritta “parlante”. La frase posta in mezzo alla parete del palazzo si ispira alla frase pronunciata da Cesare in occasione della vittoria riportata a Zela, nel Ponto.

C’è un errore nel titolo!”, mi sembra di udire l’esclamazione di qualcuno contrariato. In effetti , come si può facilmente notare, l’iscrizione presenta un vistoso errore ma è stato commesso volutamente. Lo hanno spiegato gli artisti: “abbiamo voluto dare l’impressione di aver commesso il più grande errore di ortografia della storia di Roma” e “… abbiamo voluto fare un gioco di parole attorno al nome di Leonardo da Vinci, l’artista italiano più famoso nel mondo”.

In realtà il lavoro rende omaggio alla commovente storia di Andrea Vinci, ragazzo di 27 anni che abita  al secondo piano dell’edificio. da bambino perse la mobilità degli arti inferiori dopo essersi gettato da uno scoglio e ora è costretto sulla sedia a rotelle recluso in casa per tanti anni a causa della mancanza di un ascensore.

Spettacolo, Rinnovamento, Maturità

L’intervento di Gaia, nome d’arte di Andrew Pisacane, definito dalla rivista Forbes come uno dei più influenti artisti di strada statunitensi sotto i 30 anni è particolare e non proprio immediato. Nel suo murale, un po’ alla De Chirico, l’artista raffigura una gigantesca arancia come chiaro riferimento al nome del quartiere. lo sfondo è un cielo azzurro, a simboleggiare  quello del nostro Paese e degli splendidi affreschi all’interno della Cappella Sistina.

In basso a destra un busto richiama le imponenti statue dello Stadio dei Marmi. Rappresentano il ricordo degli sventramenti urbanistici voluti dal “ventennio” all’origine della nascita di Tor Marancia.  Il capoccione è attraversato da un pesce, quale allusione simbolica ai numerosi allagamenti che in passato hanno afflitto e caratterizzato il quartiere.

Due curiosità: Nella parte più bassa del murale, l’artista ha riprodotto proprio la stessa palazzina da lui affrescata, raffigurandone l’aspetto originale prima del suo intervento. I sostantivi che compongono il titolo “Spettacolo, Rinnovamento, Maturità”  sono le prime tre risposte date da altrettante persone del posto. Fu loro chiesto cosa esprimesse il dipinto… . Detto tra noi, ho la forte impressione che gli interpellati non avevano lontanamente compresa la domanda… .

 “Hic Sunt Adamentes

In stile art nouveau è invece l’opera di un altro romano conosciuto come Diamond. Nel murale  raffigura una donna addormentata con in mano un diamante (simboleggia l’abbandono in cui versa la Città Eterna), immersa in una tipica decorazione anni venti e avvolta in un ramage floreale, spire vegetali e l’eleganza flessuosa del Liberty. “Roma è una bella donna addormentata, immobile“, spiega Diamond, “una città che non riesce a svegliarsi dal torpore“. In cima al cammeo il titolo richiama il nome dell’artista.

È un’opera sorprendente nella bellezza e nell’apparente facilità del tratto. L’opera fa chiaramente il verso alla locuzione latina “Hic sunt Leones” (qui ci sono i leoni). Nel nostro caso, “Hic sunt adamantes” (qui ci sono i diamanti) credo voglia esprimere un complimento nei confronti dei residenti, al loro senso di apertura, alla loro accoglienza, al loro senso di umanità. Una nota: quando è raggiunto dal sole il murale risplende. Sotto la figura femminile un dragone cinese. La figura, quasi ironica, se da una parte sdrammatizza, dall’altra è un chiaro riferimento a quella Shanghai che Tor Marancia è stata.

Il Bambino Redentore

Ancora un’altra storia di vita vissuta, descritta questa volta dall’artista parigino Julien “Seth” Malland con l’opera intitolata “Il Bambino Redentore”.  Il soggetto, raffigurato di spalle è un bambino che si arrampica sulla parete di un palazzo per guardare oltre. Utilizza una scala da lui disegnata con delle matite colorate. Questa immagine che sembra effigiare la curiosità e l’innocenza dei bambini nasconde un significato più profondo e legato alla storia del condominio. Il bambino sarebbe Luca, un giovinetto nato e cresciuto in quel comprensorio e deceduto a causa di un incidente mentre giocava a pallone. Una ferita ancora aperta per tutti e che l’artista sublima in un’immagine di grande speranza: il cielo è blu oltre quel cemento. Il nome del lavoro trae origine dalla postura del bambino che ricorda la statua del Cristo Redentore di Rio de Janeiro in Brasile.

Io sarò

Questo dipinto è un rifacimento di una fotografia di Francesco Paolo Michetti dal titolo “io sarò”. Siamo sul lato di Via di Santa Petronilla. L’immagine riproduce una ragazza che fu sfollata a “Shanghai ” dal quartiere Borgo, a ridosso della Basilica di S. Pietro in Vaticano, demolito per far posto a Via della Conciliazione. Van Helten, artista australiano, teneva il bozzetto del lavoro sul telefonino perennemente nella sua in mano. Vicino a lui le bombolette spray di vari colori, messe a raffreddare in un secchio pieno di ghiaccio. Sembra impossibile ma il suo lavoro si è svolto semplicemente così.

Il Ponentino

Per terminare un lavoro dedicato al vento di Roma: “il ponentino” opera del portoghese Antonio Correia in arte Pantonio. Ci voleva un portoghese per raffigurare qualcosa di così romano?

Il suo murale vuole essere un omaggio al tipico vento romano che ha fatto, probabilmente, dondolare l’artista mentre dipingeva, in piedi, dall’alto di un braccio aereo. A fare capolino dalla superficie di lavoro una serie di pesci di varie dimensioni che si intersecano tra di loro generando un grande intreccio. Il risultato finale è un’opera potente, caratterizzata da un fortissimo senso di movimento. La parete diviene come una gigantesca vasca zeppa di pesci diversi l’uno dall’altro. Il flusso del venticello romano (e come lo puoi rappresentare il vento?) è “visualizzato” come una corrente d’acqua che scorre lungo il casamento. Suggestivo l’avvilupparsi dei soggetti dipinti con le finestre dell’edificio. Manca l’acqua vera ma credo che il dondolìo della piattaforma sulla quale dipingeva l’artista, gli abbia causato un bel mal di mare. Vi lascio con un breve filmato. Un saluto da un metro e mezzo.

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