Avezzano – “Dalla Strada Alle Strade – I Sensi nelle Geografie dei Luoghi e della Mente”
Interessante convegno nella Sala del Principe del Palazzo Torlonia
AVEZZANO – “Dalla strada alle strade” – i sensi nelle geografie dei luoghi e della mente” è il titolo della conferenza che si è tenuta nel pomeriggio di venerdi 13 dicembre, presso la Sala del Principe di Palazzo Torlonia, organizzata dalla Sovrintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo.
Introdotto dalla dottoressa Emanuela Ceccaroni, relatore d’eccezione è stato il professor Ernesto Di Renzo, antropologo ricercatore nel settore M-DEA/01 presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Roma Tor Vergata. La ghiotta conferenza è stata inoltre accompagnata dalla mostra video-fotografica di Francesco Scipioni dal titolo “La strada è maestra” che ha mostrato, per tutta la durata della conferenza, immagini di strade, di uomini, di viaggi.
Una presentazione dunque, che ha visto il contributo di tre discipline: archeologia, antropologia e fotografia con lo scopo di integrare vissuti, concetti, visioni.
Ha aperto i lavori la dottoressa Ceccaroni, funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e paesaggio dell’Abruzzo e responsabile delle attività di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio archeologico nel territorio della Marsica. All’inizio della presentazione, la Ceccaroni ha reso un’ importante comunicazione di servizio anticipando, al numeroso pubblico presente, la notizia secondo la quale è prossimo, per il territorio marsicano, il distacco dalla Sovrintendenza di Chieti e la confluenza nella Sovrintendenza delle province di L’ Aquila e Teramo.
Subito dopo ha introdotto gli attenti presenti al cuore della conferenza. In qualità di archeologa, la dottoressa Ceccaroni si è occupata diverse volte di strade – e non potrebbe essere diversamente – ma il suo è stato un interesse concreto, rivolto ad opere – appunto, le strade – prodotte dall’uomo, il cui studio viene condotto in modo scientifico, materiale, che tiene conto di come sono state costruite, di quali città o luoghi hanno congiunto, della vita che si svolgeva ai loro lati perché “la strada, per l’archeologo, è vita”; esse camminano di pari passo con gli uomini e con le loro vicende; non esiste strada dell’umanità senza strade tracciate. Esemplare, per il nostro territorio, la Via Valeria che nacque per collegare Mare Adriatico e Mare Tirreno e che, come tante altre strade, giungeva a Roma e come tutte le altre strade permetteva a Roma e al suo potere di giungere quasi ovunque. L’archeologia si pone dunque a rendere consapevole chi vuol sapere, delle sensazioni, dei sentimenti e delle abitudini delle persone che, lungo quelle strade hanno camminato. Per quanto non sia facile ritrovarle, poiché spesso situate sotto gli strati superiori, pure nelle campagne o nei pascoli montani esistono strade – non lastricate certo – che gli odierni archeologi si adoperano a cercare e a valorizzare; esse danno vita ad un complesso reticolo dalle molteplici direzioni verso le quali posso incamminarsi – ognuno con le proprie competenze – archeologi, antropologi, fotografi e, di certo, anche altre figure di studiosi.
Con l’intervento del professor Ernesto di Renzo, cosa evidente già dal titolo della conferenza, la narrazione ha preso un altro volto, oltre quello della fotografia e dell’archeologia; l’approccio dell’antropologo è diverso: dove l’archeologo ricerca la fisicità, la materialità delle cose e il suo sguardo è rivolto al passato per comprendere il presente, l’antropologo invece, si preoccupa di cogliere l’immaterialità, l’intangibilità delle cose che ci appartengono. In questa prospettiva le strade rappresentano un prodotto culturale (come tutto ciò che non è dato di natura), un’elaborazione umana che l’uomo costruisce per dare soddisfazione ai suoi bisogni. L’antropologia è, dunque , “uno sguardo da lontano” o anche “problematizzazione dell’ovvio” lì dove permette di vedere ciò che l’uomo fa ma di cui non ha consapevolezza, quindi di avere cognizione della cultura di cui l’uomo è ad un tempo, costruttore, trasmettitore e fruitore. Ecco che l’antropologia diventa “occhiale da presbite” che riesce a mettere a fuoco quello che altrimenti resterebbe sfocato e dai contorni indefiniti. Il tema della conferenza è stata, per il professor Di Renzo, la scusa, l’occasione per indossare “l’occhiale” e guardare ciò che appartiene alla nostra esperienza, al nostro vivere, alla nostra quotidianità e dar vita ad un focus, ad un’estensione di riflessione sulla strada. La strada non esiste in natura; essa è un prodotto culturale costruito per soddisfare bisogni di spostamento, trasporto, comunicazione.
Essa è percorso, itinerario, tracciato, uno spazio fisico che viene delimitato con strumenti e materiali che il tempo mette a disposizione per soddisfare le nostre funzioni. Analogamente al sistema nervoso umano, sulle strade transitano dal centro verso le periferie (ma anche viceversa) comunicazioni, uomini, merci, energie ; estendendo la caratterizzazione se ne può produrre una concettualizzazione di identità o di vicinanza: è il caso delle strade del vino o del gusto o del barocco e così via.
Al fine di dar ordine a riflessioni e pensieri, il professor Di Renzo ha ricondotto la complessità di senso e di funzioni della strada a tre categorie concettuali: quella dello spazio, quella della memoria e quella del viaggio.; è un rimando alla semiologia cioè alla comprensione del senso e del significato della strada.
La strada è in primis una porzione di spazio che l’uomo sottrae alla natura per destinarla alla cultura, sulla natura l’uomo interviene per trasformarla e avere soddisfazione dei suoi bisogni e, operando per la strada, essa diventa spazio culturalizzato. Ogni volta che l’uomo ha culturalizzato la natura ha dato origine ad una crisi, una rottura, una separazione che doveva essere in qualche modo sanata attraverso “procedimenti risarcitori finalizzati a placare il livello del sacro per ciò che era stato sottratto al dio o alla natura”; infatti, l’intervento sulla natura per costruire strade o ponti era considerato un atto di superbia, di arroganza (perché andava a unire quello che la natura aveva disgiunto) che portava con sé il bisogno di erigere un feticcio che placasse il dio o la natura… è questa la spiegazione del perché lungo antiche strade o ai trivii e ai quadrivii spesso si osservano edicole, immagini sacre, croci etc.
Le strade dunque, sono espressione di umanità nel senso che esse sono cose che appartengono agli uomini e alla cultura umana; solo l’uomo intenzionalmente classifica, seleziona, interviene e modifica la realtà; sono anche testimonianza, “per il fattore causativo”, di civiltà, termine da accogliere nel più ampio significato e privo dell’accezione ideologica.
Ma le strade sono anche un mezzo attraverso il quale l’uomo costruisce la memoria (seconda categoria concettuale) ossia seleziona ciò che è importante per lui – non tanto come singolo ma come comunità – per la sua identità e per i suoi valori e, poiché importante, sente il bisogno di affrancarlo dall’oblio ancorandolo a qualcosa che può essere un monumento, un libro o, nel caso delle strade, i nomi dati ad esse . Cosa spinge gli uomini a “chiamare” le strade? Quali sono i meccanismi – che non sono né casuali né tantomeno funzionali – secondo cui vengono scelti i nomi? L’odonomastica si basa sul livello di importanza che riveste per una comunità un personaggio, un luogo, una data; e così le strade diventano rivelatrici dell’ethos dei luoghi, palcoscenici della vita dove – almeno fino all’avvento dei social – si trascorreva la parte più importante delle attività lavorative e sociali, in quanto tali, i loro nomi diventano “segni, simboli” di quel che è o è stato significativo per una comunità. Una recente operazione di ridenominazione di una strada di Roma, ha fatto da sponda alla riflessione che il nome di una strada o il suo cambio possono essere interpretati – sempre in chiave antropologica – come significati politici e/o ideologici.
La terza categoria – quella del viaggio – sembra suscitare ovvietà: tragitto, percorso , partenza, arrivo … ma, accomodiamo bene “l’occhiale da presbite”, non è proprio o non è solo così. Oltre questo, la strada come viaggio apre la porta del “giardino delle metafore”, come ha affermato il prof. Di Renzo citando Eric Leed: tutto l’operato umano è soggetto a metaforizzazione, a traslazioni di significato. Ancor di più la strada. Essa rappresenta la proiezione fisica del nostro viaggiare con la mente, di un andare avanti e indietro, di un idea di progresso e di regresso; è il luogo dove costruiamo la nostra immagine pubblica e sociale; ciò che meglio simboleggia l’esperienza umana sia come specie sia come singolo individuo. E del resto, l’uomo, essere viaggiante, dagli albori della sua comparsa, non ha mai smesso di viaggiare e anche quando da nomade è diventato stanziale, ha recuperato il bisogno di movimento sotto altre forme per esempio il turismo o i pellegrinaggi che si configurano come spostamenti non finalizzati alla soddisfazione di bisogni primari; e questo per due importanti ragioni: 1) perché l’uomo ha bisogno di viaggiare, in quanto tale attività è inscritta nel suo genoma; 2) perché il viaggio fa crescere; l’uomo è una parte della strada che ha percorso; essa è prova, esperienza, scambio con gli altri e la natura; confronto/scontro anche con se stessi.
Avviandosi alla conclusione della conferenza il professor Di Renzo ha dedicato una interessante digressione alla recente proclamazione , nel corso della 14^ Assemblea Governativa dell’Unesco, della transumanza appenninica come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. E’ interessante notare come non vi sia stata inserita per la fisicità del percorso ma quale patrimonio immateriale cioè per la dimensione dello spostamento, del viaggiare…. I tratturi sono strade a tutti gli effetti che hanno sviluppo interregionale coinvolgendo Lazio, Abruzzo e Molise e che nel loro percorso molto hanno dialogato con la Tiburtina Valeria – soprattutto il tratturo magno che parte da Paterno allora tenimento di Celano, e arriva a Foggia – correndo affiancati ad essa o intersecandola. Il riconoscimento Unesco in realtà ratifica il concetto che le strade non sono solo “qualcosa che serve” ma anche “qualcosa che significa” e preservare i tratturi significa preservare la memoria di ciò che noi siamo stati , significa elevare la transumanza da semplice forma di allevamento delle pecore a forma di zootecnica complessa stimata in economia come forma di proto capitalismo, significa riconoscere i tratturi come percorsi lungo i quali hanno viaggiato uomini, idee, stili artistici, sistemi religiosi … in una parola la cultura.
Tema insolito e interessante, relatori di indubbia qualità costituiscono un binomio vincente soprattutto quando l’alto livello delle competenze professionali permette di porre in essere una comunicazione efficace e accessibile; il folto e interessato pubblico presente alla conferenza ha seguito attentamente le esposizioni ; numerose le domande e le richieste di chiarimenti che hanno tutte ricevuto risposta.