Campane di Roma
Ce ne sono più di 400 nella Città Eterna e tutte hanno storie, leggende e miracoli. E anche una “voce”.
ROMA – Roma è la città delle chiese, ce ne sono oltre quattrocento, quindi le campane non mancano e fanno da sottofondo alla vita dei cittadini.
Le campane hanno sempre svolto una funzione sociale nella Città Eterna. In passato, l’Urbe, era meno rumorosa e queste, seppur distanti, si udivano bene diventando il mezzo più rapido e diffuso per comunicare eventi allegri o meno: elezioni e morti di papi, chiamata alle armi per difendere la Santa Sede o pestilenze. Ognuna aveva una voce diversa e la gente le riconosceva e anche la mano del campanaro!
La campana, con i suoi rintocchi, non solo invitava i romani alla preghiera allo scadere delle ore canoniche: mattutino, ora media e vespri, ma scandiva anche la vita della popolazione comunicando eventi di vario genere.
Ce n’era una (quella di Montecitorio) che aveva il compito di ricordare l’inizio della giornata lavorativa dei romani e le lezioni nelle scuole; ne esisteva anche una come avviso meteorologico ed era quella della Chiesa Nova che annunciava l’arrivo del temporale, cosa molto temuta perché con esso arrivavano i fulmini! Il popolo, superstizioso, aveva paura al solo nominarli perché farlo li avrebbe attirati addosso! Ai rintocchi della campana, quindi, i romani si mettevano in ginocchio e recitavano il Trisagio angelico allo scopo di ottenere protezione dal Signore. Dopo tutto noi romani siamo un popolo un po’ chierichetto e un po’ prete che ci volete fare?
Al novero campanaro si aggiungeva, poi, la campana della chiesa rionale che ricordava ai romani di mangiare di magro l’indomani, ossia di astenersi dalle carni. All’udire quel suono, la dissacrante ironia popolare se ne usciva con un: “La campana sona a merluzzo: è segno che domani è vigijia!”
Conoscete quel curioso effetto acustico per cui un suono ripetitivo alle volte sembra produrre un nome o una frase? Ebbene i romani personalizzavano le campane al punto tale che le facevano parlare e secondo il timbro, ciascuna pareva ripetere una frase che formava, intrecciandosi con lo scampanio delle altre, dei dialoghi culinari (i romani hanno sempre fame…). Di seguito un classico dialogo tratto dal folclore.
La campana grande della basilica di Santa Maria Maggiore, annunciava, nel suo scampanio un diffuso piatto romano:
“Avemo fatto li facioli – avemo fatto li facioli- avemo fatto li facioli”
La campana di San Giovanni in Laterano:
“Co’ che?- co’ che?- co’ che?”
La campanella di Santa Croce in Gerusalemme:
“Co’ le cotichelle- co’ le cotichelle- co’ le cotichelle”.
Anche la campana della celeberrima basilica di Santa Maria in Trastevere, pareva chiedere: “’ndò se magna la pulenta ? ‘ndò se magna la pulenta?” Il campanone di San Pietro rispondeva: “in Borgo, in Borgo, in Borgo“. (Borgo era la parte di città che contornava la Basilica. Esser nati in quel luogo era un titolo d’onore, così come, avere avuto i natali in Trastevere o aver salito “i tre scalini” di Regina Coeli, il carcere circondariale di Roma , significava essere romano “verace” ).
Pensate io voglia terminare questa menata sulle campane? Ma anche no. Sentite questa: ogni campana di una certa importanza a Roma ha un nome, a volte addirittura due. Quella di San Pietro considerata “la” campana per eccellenza si chiama “Campanone” o anche “Valadier”; ha dimensioni enormi: pesa nove tonnellate. per un diametro di due metri e mezzo.
Il “Campanone” fu fuso nel 1785 dall’orafo Luigi Valadier (padre dell’architetto Giuseppe autore di molti importanti lavori nella Capitale) e da lui trae il suo nome. Il Campanone (o Valadier) gode della compagnia di altre sei campane: il “Campanoncino”, la “Campana della Rota” (annunciava le riunioni della Sacra Rota), la “Campana della Predica” e la “Campana dell’Ave Maria”, l’ultima e più piccola la ”Campanella”. Riguardo a queste campane di contorno al “Campanone” non vi dico nulla altrimenti il qui presente articolo diventerebbe insopportabilmente prolisso; solo una piccola annotazione: il “Campanone” suona il suo “a solo” per ogni “morte de Papa” mentre distende il suo scampanio assieme alle altre campane per l’elezione di quello nuovo.
Tutto ha una storia a Roma, perché non ne dovrebbero averne una i nostri bronzei strumenti? Eccovi quella commovente legata alla campana della basilica di Santa Maria Maggiore soprannominata “La Sperduta”.
Si narra che nel 500 una pellegrina venuta a Roma per il tradizionale giro delle basiliche, si fosse smarrita di notte nei pressi dei “cessati spiriti” zona all’epoca in aperta campagna. Con l’avanzare della sera, erano le due di notte, il buio e la nebbia si erano infittiti al punto da rendere quasi impossibile l’orientamento. A quei tempi per una donna sola era molto pericoloso trovarsi in quella situazione perché facile preda di ladri e assassini.
Disperata, invocò l’aiuto della Madonna e una delle cinque campane del campanile di Santa Maria Maggiore che ha un timbro molto particolare, prese a suonare, fornendo alla donna smarrita un punto di riferimento seguendo il quale riuscì a ritrovare la strada della chiesa e quella di casa. La donna lasciò una rendita affinché quella campana, ribattezzata “la campana della sperduta”, suonasse ogni giorno, alle due di notte. Da allora, secondo l’antica tradizione, ogni giorno, alle nove di sera in punto e non alle due di notte per evitare il disturbo alla quiete pubblica, in questa piazza si ode il singolare scampanio della Sperduta.
Per dirla con Giggi Zanazzo “e mmó, quanno le sere d’inverno, se sente sonà’ la campana de Santa Maria Maggiore, tutti quelli che abbiteno da quelle parte dicheno: Ecco la Sperduta!” La campana che ascoltiamo oggi, però, non è quella della leggenda che è stata sostituita alla fine del 1800 ma una altrettanto antica (sec. XIII). La campana originale si trova ai Musei Vaticani, nella galleria Urbano VIII.
Ho finito? No vi propongo un altro racconto, anch’esso bellissimo, legato alla “Giovannona”, la prima donna del campanile di San Paolo fuori le mura e da qualcuno rinominata “Pierpaola” in onore dei santi Pietro e Paolo. In realtà la vicenda riguarda più la Basilica che la campana ma è talmente bella che voglio raccontarvela. Dovete sapere che San Paolo fu luogo di una vera e propria Schindler’s list italiana. L’episodio, poco conosciuto, ebbe luogo nel 1944 e per oggetto il grande Vittorio De Sica. Durante le riprese del film “La Porta del Cielo”, il regista scritturò 1200 comparse: erano ebrei, partigiani ed intellettuali, per salvarli dai rastrellamenti tedeschi. Girarono il film per otto mesi chiusi nella basilica di San Paolo fuori le mura, aspettando l’arrivo degli alleati, con le macchine da presa senza pellicola (!).
Non si può non menzionare, infine, la Patarina, la campana civica dell’Urbe, sita nella torre del Campidoglio e rifacimento ottocentesco di quella medioevale della quale mantiene il nome. Lo devo dire: per un romano è una campana “burina”, perché non autoctona ma proveniente dalla provincia. I romani se la portarono via durante una guerra contro Viterbo nel 1200 quando il 6 gennaio di quell’anno ne sconfissero l’esercito liberando Vitorchiano. Fu chiamata Patarina a ricordo dei Patari, gli eretici ai quali i Viterbesi avevano dato sostegno; qualcuno disse che avrebbe dovuto chiamarsi “Burina” ma tant’è… La Nostra ebbe anche l’onore di avere a disposizione un “pulsator campanae” (Un campanaro) solo per lei! Tutt’ora fa sentire la sua voce nelle più solenni occasioni laiche: il Natale di Roma e l’elezione del sindaco oppure ad ogni “morto de Papa”.
Tempo di andare: ringrazio tutti per la cortese e paziente attenzione e passo ponte.