La mitica “Battaglia delle Termopili” fra Serse e Leonida. Le lezioni che la storia ci offre e che non impariamo. Mai

La storia si ripete e Davide ogni tanto incontra Golia. Voglio raccontarvi una storia che tanto ricorda le vicende contemporanee.

Esisteva secoli addietro un imperatore persiano:  Serse I passato alla storia occidentale per la sua invasione della Grecia nel 480 a.C.

L’ANTEFATTO

Serse aveva deciso di conquistare e sottomettere lo stato per vendicare la sconfitta subita dieci anni prima da suo padre Dario I in occasione della battaglia di Maratona. Fatta la pensata riunì una bazzecola di esercito formato da novantamila uomini. C’è chi dice trecentomila, Erodoto addirittura oltre tre milioni comprese salmerie e schiavi, altri un milione e mezzo. Insomma erano tanti.

Organizzata la cosa inviò nelle principali città greche suoi ambasciatori allo scopo di chiedere “terra e acqua“. Era una formula che chiedeva la resa ai nemici. Ci fu chi decise di obbedire ma altri rifiutarono pensando di resistere fino alla vittoria o comunque, fino alla morte.

Il passo delle Termopili oggi

Impavido, Serse guidò le sue truppe fino allo stato ellenico sebbene alcuni presagi gli erano avversi a tal punto che tutti pensavano avesse offeso gli dei. Imperturbabile, nonostante tutto, portò ugualmente le sue schiere nel territorio greco. Voleva sfruttare un angusto sentiero che si stendeva tra le montagne e il mare.

Il passo era chiamato delle Termopili. Prendeva il nome dalle sue acque termali dove la gente ci andava a fare il semicupio. Non che quel posto fosse una scelta tanto felice perché, secondo la leggenda, ci aveva rimesso la pelle proprio Ercole. Serse vi giunse nell’agosto del 480 a.C. circa 2500 anni or sono.

RESISTERE!

Accortisi del malaugurato arrivo dei persiani, i greci si guardarono intorno e pensarono di armarsi mettendo alla guida dell’esercito quelli che erano considerati i più “tosti”: gli spartani.

Leonida

Non era sbagliato. Gli uomini di Sparta non facevano altro che addestrarsi al combattimento da mattina a sera. La loro educazione, la agogé, imponeva di imparare l’uso delle armi. Erano definiti homoioi, cioè”uguali”, perché tutti avevano ricevuto la stessa istruzione e avevano gli stessi diritti.

La cosa vi farà sorridere ma dovete sapere che in quel momento a Sparta si celebravano le Carnee, feste sacre in onore di Apollo. In questo periodo era vietato mobilitare l’esercito. Come fare? Ci pensò Leonida I, uno dei due diarchi (Sparta aveva due re). Convocò la guardia reale e coloro che avevano figli maschi. Voleva assicurare la sopravvivenza delle loro famiglie qualora fossero morti in combattimento. Erano trecento, giovani e forti come nella poesia del Mercantini qualche secolo dopo e fecero la stessa fine. Prese le armi andarono ad affrontare l’avanzata dell’esercito nemico.

ARRIVA SERSE

Serse

Quando Serse giunse alle Termopili, i greci si erano organizzati per resistere. Il manipolo si era arricchito di altri combattenti.  Dal Peloponneso erano giunti perieci e iloti, abitanti dei territori vicini a Sparta. I primi erano i membri di un gruppo di persone libere, ma non cittadini. Gli altri appartenevano all’ultima classe sociale spartana. Si presentò gente proveniente dalla Tespia e dalla Focide, qualche locrese e persino i tebani, invisi ai greci. Leonida, alla fine, mise insieme una fortunosa compagine di settemila unità più o meno.

La componente spartana era addestrata per il combattimento a breve distanza e organizzata nella “falange” costituita da soldati esperti ben armati e in più conoscevano il territorio. Le Termopili erano un sentiero stretto e li avrebbe facilitati nell’impresa. Quando Serse attaccò credendo in una facile vittoria vide morire le sue truppe. Leonida, con la sua falange chiudeva il fondo della gola, impedendo il passaggio a chiunque. Il combattimento terminò al tramonto e i Greci erano ancora in piedi! Un fattore importante non era stato considerato dal re persiano: la motivazione. Il suo esercito, che abbondava di schiavi, obbediva senza una gran convinzione ai generali che li mandavano in battaglia disprezzando le loro vite. I greci combattevano, al contrario, per qualcosa di cui erano fermamente convinti: la libertà. Avvenne così che molti schiavi, i persiani, combatterono contro pochi uomini liberi. Il numero dei persiani morti diede ragione ai greci.

LO SCONTRO

L’esercito spartano combatteva schierandosi in una formazione compatta. Mentre avanzava verso il nemico ogni soldato proteggeva il compagno alla sua sinistra con lo scudo. La falange di Leonida era un’unità di combattimento addestrata, forte e solida e  i persiani ci sbatterono contro senza risultato. Alla fine Serse decise di impiegare la sua truppa d’élite, i cosiddetti “Immortali”. Un reparto di diecimila uomini dotati di equipaggiamento molto più completo. Il risultato? Furono presi a calci: rimasero bloccati nella gola delle Termopili da un piccolo gruppo di nemici.

SOLO IL TRADIMENTO…

Fu un tradimento la causa della sconfitta di Leonida. Efialte, un pastore greco, svelò a Serse l’esistenza di un sentiero segreto che gli avrebbe permesso di accerchiare i greci. Avuta l’informazione i persiani si misero in marcia.

Nel frattempo i soliti presagi, questa volta contrari a Leonida, annunciavano l’approssimarsi della fine. Il generale, sospirando, disse “vabbè, facciamo pure questa …” e congedò la maggior parte dei suoi soldati, rimanendo solo con trecento uomini e alcuni volontari.

LEONIDA SOLO

Decise di rimanere alle Termopili con pochi soldati per permettere agli alleati di allertare le rispettive città dell’avanzata persiana e organizzare la difesa. Quella mattina Serse ordinò la carica. I greci abbandonata la posizione difensiva uscirono allo scoperto. La battaglia fu cruenta, assieme al manipolo di spartani cadde una moltitudine di persiani.  I Greci combattevano, continuando ad attaccare, con la forza e la disperazione di chi non ha più speranza. Usavano tutto ciò che trovavano a portata di mano. Furono talmente determinati da spaventare Serse. Il Re decise, quindi, di far ritirare le sue truppe per uccidere i combattenti spartani a distanza. Usarono i soli archi e frecce. I trecento morirono diventando, però, eroi per l’eternità (si vive di soddisfazioni, nel loro caso ci si muore pure).

Questa vicenda conduce ai giorni nostri e facendo i dovuti scongiuri, a vicende che speriamo non si concludano allo stesso modo. Scriveva il generale cinese Sun Tzu, nel suo libro “l’arte della guerra”: “Ho visto troppe guerre-lampo condotte male, ma non ho mai saputo di un’operazione militare abile protratta a lungo”. E ancora “Se il generale è incapace di controllare la propria impazienza e lancia le truppe all’assalto delle mura come uno sciame di formiche, ne farà massacrare un terzo senza prendere la città. Simili attacchi sono manifestazioni di stupidità assassina.”.

Così ho iniziato l’articolo e così lo termino. La storia si ripete (forse). Un triste saluto da un metro e mezzo di distanza.

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