Un Cioccolatino Storico. “Risus abundat”: Storia dello Humor nell’antica Roma
AVEZZANO- Buongiorno carissimi lettori e benvenuti in questo nostro nuovo cioccolatino storico. “Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri” questa iconica frase, pronunciata dall’indimenticabile Alberto Sordi nel Marchese del Grillo, ci può ben accompagnare all’interno della storia che oggi vi racconteremo. Una storia che parlerà di un lato poco conosciuto della storia romana, un lato che ci farà spuntare un timido sorriso: insomma, oggi affronteremo il discorso dello Humor nell’antica Roma.
E’ sempre difficile, per noi uomini moderni, pensare che anche l’antico cittadino romano (che sia di Pompei, di Roma oppure di Alba Fucens) provasse divertimento nel ridere delle battute di un attore oppure di una situazione buffa oppure offensiva. I romani avevano un carattere molto gioviale e sapevano dare un tocco umoristico persino al cognome di un personaggio illustre: pensiamo al nostro conterraneo Publio Ovidio Nasone e qui l’ironia scatta anche per noi automatica. Oppure all’antipatico per eccellenza del mondo romano, Cicerone qui si ironizzava, molto probabilmente su qualche escrescenza (a forma di cicer, ovvero di cece) presente sul volto di un antenato del celebre personaggio romano.
Tutti venivano presi in giro, persino le massime autorità del potere; pensiamo agli stessi imperatori. Sappiamo per certo che Ottaviano Augusto era un tipo che scherzava sempre con la sua corte: l’episodio del colloquio con il proconsole Galba, celebre per esser affetto dalla gobba, ne è una prova (Galba lo corresse e Augusto replicò che si sarebbe corretto ma non raddrizzato).
Un capitolo a parte lo meritano i legionari: i soldati, nei loro carmina triumphalia (canti che accompagnavano le sfilate vittoriose) amavano farsi beffe dei loro generali. Ad esempio, al povero Giulio Cesare venivano intonati dei canti in cui si diceva “Cittadini, sorvegliate le vostre donne: vi portiamo il calvo adultero” chiara allusione alle sue calvizie molto marcate. Oppure, e questo era assai pesante, diceva “Cesare sottomise le Gallie, Nicomede sottomise Cesare” chiara allusione ad una presunta bisessualità del generale e a rapporto con il re della Bitinia.
Ma c’erano anche offese che facevano piangere il diretto interessato: è il caso di Cornelio Fido, genero di Ovidio che si mise a piangere in senato perché qualcuno gli dette dello “Struzzo spennacchiato”. Anche i muri delle città potevano spruzzare ironia da tutti i loro pori: pensiamo a Pompei, ovviamente le battute sono troppo spinte.
Ultimo caso erano le battute e gli sfottò sulla religione: mi piace citare l’episodio dell’attore romano Genesio che, sotto il regno del temibile Diocleziano, ironizzò sul battesimo e che, alla fine, proprio quell’ironia battesimale lo fece convertire al cristianesimo.
Un Abbraccio Storico