A Confagricoltura L’Aquila non piace “La Patata di Avezzano”
Iniziativa, secondo Lobene e Fabrizi, che può essere addirittura dannosa per la “Patata del Fucino Igp”
AVEZZANO – La denominazione “Avezzano Città della Patata” rischia di creare solo una gran confusione e qualche danno importante. Ad affermarlo i dirigenti di Confagricoltura L’Aquila, i marsicani Fabrizio Lobene e Stefano Fabrizi, che tacciano di estemporaneità e anche un po’ di “ignoranza” dell’argomento l’Amministrazione comunale di Avezzano.
In sostanza, infatti, per Lobene e Fabrizi, questa adesione all’Associazione Nazionale Città della Patata, rischia di andare a compromettere il lungo lavoro che ha portato, qualche anno fa, al riconoscimento dell’Unione Europea del marchio Igp alla “Patata del Fucino“. Il riaprire la porta ad una denominazione diversa e più ristretta, facilmente utilizzabile da qualsiasi produttore, potrebbe rimettere le lancette indietro e danneggiare coltivatori, produttori e commercializzatori della “Patata del Fucino”
«Abbiamo letto sugli organi di stampa e sui social – si legge in una nota di Confagricoltura L’Aquila – di un provvedimento, approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale di Avezzano, per l’adesione “all’Associazione Nazionale Città della Patata” cui hanno aderito 19 comuni con l’obiettivo di valorizzare la pataticoltura di qualità, il paesaggio, i prodotti tipici, le tradizioni autoctone, la cultura e l’imprenditoria locale. Indubbiamente un progetto ambizioso tanto che i comuni promotori abbracciano virtualmente tutta Italia, da nord a Sud».
«Quali agricoltori e pataticoltori siamo rimasti sorpresi da questa iniziativa – afferma Fabrizio Lobene Presidente di Confagricoltura L’Aquila – una iniziativa estemporanea nata dall’alto senza alcun confronto con le categorie produttive che avrebbero potuto contribuire a far comprendere ai promotori dell’iniziativa le vere necessità non solo dei produttori fucensi ma anche le dinamiche commerciali e, quindi, le vere strategie di marketing di questo importante alimento per la nostra dieta. Ci lascia stupiti, poi, che i promotori locali dimostrino di non conoscere il nostro settore produttivo, le varietà di patate coltivate nel Fucino, i mercati di riferimento, le iniziative assunte dai produttori aderenti al sistema della Patata del Fucino IGP».
Confagricoltura L’Aquila, per bocca del direttore Stefano Fabrizi informa che vi sono regole comunitarie sulla salvaguardia delle denominazioni, elementari principi di marketing che non possono essere elusi altrimenti si fanno danni alle imprese che stanno investendo soldi e credibilità sulla più importante produzione agricola del fucino che, fino al 2017, era anonima e non tutelabile.
«Bisogna prendere atto che la Patata del Fucino IGP è sicuramente un prodotto tipico ma di massa, coltivato da imprese agricole professionali, destinato a vasti mercati nazionali ed esteri e che, per quantità prodotte e certificate, rappresenta, dopo appena tre anni, uno dei marchi vegetali IGP più importanti in Italia. La nostra Patata IGP ha raggiunto una dimensione economica che non può giovarsi di politiche destinate a tutelare e valorizzare piccolissime produzioni locali e circoscritte che mal si conciliano con quelle necessarie alla patata del Fucino IGP – prosegue Stefano Fabrizi- .Abbiamo faticato non poco per ottenere il riconoscimento del marchio IGP dalla UE, la denominazione scelta, nelle partecipate e libere assemblee dei produttori, confezionatori e industrie, fu “La Patata del Fucino” proprio per identificare il tubero con l’intero comprensorio produttivo. La denominazione patata di Avezzano, come adombrato da qualcuno, non potrà mai essere riconosciuta e tutelata, chiunque potrà utilizzare questa denominazione – da nord a sud – e finirà per recare confusione presso i consumatori danneggiando i notevoli sforzi e gli ingenti investimenti dei produttori locali».
Un ragionamento che, onestamente, non fa una piega. Battute, doppi sensi e ilarità varie a parte, e visto l’anno appena trascorso se si ride un po’ non è nemmeno tanto da deprecare, ci sono però degli aspetti che evidentemente l’Amministrazione comunale avezzanese, e l’assessore proponente in primis, non hanno tenuto in gran contro. Il primo è quello messo in campo da Fabrizi e Lobene. Si rischia di creare confusione con qualcosa di esistente, già rodato e che per ottenerlo è stato necessario lavorare anni. Il secondo lo hanno messo in evidenza alcuni ambientalisti competenti, quelli che ragionano da tecnici e non ideologicamente.
Come si fa ad aderire ad una associazione con tale scopo, ammesso e non concesso che in queste condizioni possa essere condivisibile, e non tenere conto che questa avrebbe dovuto essere preceduta da una serie di accortezze e investimenti a favore di territorio e ambiente? Infrastrutture per l’agricoltura (depuratori e riutilizzo degli scarti agricoli ad esempio), impianti di irrigazione moderni ed ecocompatibili, incentivazione dell’imprenditorialità agricola, magari con un’attenzione alle nuove generazioni, creazione di percorsi di formazione e ricerca in agricoltura coinvolgendo l’istituto agrario cittadino, le università nonché il Crua, attivazione ed insediamento di aziende di trasformazione e commercializzazione del prodotto e via dicendo?
E una terza osservazione, che si riallaccia a quanto detto da Lobene e Fabrizi: ma come si fa a prendere una decisione del genere e non ascoltare preventivamente, nemmeno per un secondo, chi nei campi ci lavora, conosce il prodotto e la sua situazione commerciale e produttiva, ignorando persino l’esistenza di un marchio che andrebbe sottoscritto da tutti i comuni e i produttori marsicani, facendolo crescere e sviluppare?
La risposta sta nel fatto che il Consiglio comunale di Avezzano ci ha impiegato intorno ai 3-5 minuti per dare l’adesione, mostrando non solo e non tanto superficialità, ma soprattutto di non aver ben presente di cosa si stesse parlando. Sarebbe stato già tanto tenere presente che le patate non sono tutte uguali.