Abruzzo terra dove bellezza e mistero si toccano: “quadrati” enigmatici, laghi nati da meteoriti, tesori nascosti nelle grotte e la Tabula Repinensis

Spesso ho fatto riferimento al legame tra Abruzzo e Lazio. È la regione più affine a quella dei latini da millenni. I Marsi, ad esempio, erano temutissimi dal popolo quirita ma anche suoi alleati. Non è, quindi, strana la condivisione di un mistero che ancora rimane irrisolto.

IL QUADRATO DEL SATOR

Il quadrato del Sator è un’iscrizione latina palindroma, che si legge, cioè, allo stesso modo da destra verso sinistra e viceversa. È composta dalle parole latine: “Sator Arepo Tenet Opera Rotas inscritte in un quadrato. Non solo le parole ma tutta la frase che si ottiene è bifronte, mantenendo lo stesso significato come la parola tenet . Il quadrato è perfettamente simmetrico, quindi leggibile sia in orizzontale che in verticale anche al contrario. 

Ma che significa?

Per alcuni rappresenta un codice, addirittura una parola d’ordine conosciuta solo ai  Cavalieri Templari. Tuttavia, data l’apparizione altrove della scritta in tempi precedenti, pare una tesi improbabile. Altri sostengono sia una indicazione religiosa per i fedeli o di un qualche motto risalente al tempo dell’impero romano del quale s’è perso il significato. Secondo alcuni storici era un simbolo usato dai primi Cristiani, la cui fede religiosa era ancora contrastata e vietata dai Romani, per adorare la croce in forma dissimulata: le due parole TENET, infatti, disegnano al centro del quadrato un croce perfetta, centrata sull’unica lettera N.

Una nuova e suggestiva interpretazione ci viene offerta dalla scrittrice Silvana Zanella che ha presentato uno studio sul “Quadrato Sator”. La sua ipotesi è che leggendo le cinque parole mutandone l’ordine, la frase diventa “Sator Opera Tenet Tenet Arepo Rotas cioè “Il seminatore decide dei suoi lavori quotidiani, ma il tribunale supremo decide il suo destino”, in altre parole “L’uomo decide le sue azioni quotidiane, ma Dio decide il suo destino”. .

A cercare significati si trova di tutto

Anagrammare le parole contenute nel quadrato è stato il diletto di molti e se ne sono ricavate frasi di tutti i tipi, sia religiose che cabalistiche. A riprova di questo si cimentò Il famoso enigmista italiano Stefano Bartezzaghi che nella rubrica “Lessico e Nuvole” del giornale “La Repubblica” ne ricavò di esilaranti ed eccole:

– SOTTRAR ORO A PAPERONE: SAETTE
– PORNOSTAR: PARTE OSEE A TEATRO
– O PORTA ESTERA O PORTA ESTERNA
– ATTOR ARRESO TENET SOAP OPERA

Inutile dire che gli esperti stanno ancora rimuginando sul significato di questa antica iscrizione.
A Roma è presente  nei sotterranei della Basilica di Santa Maria Maggiore. Se la Capitale, però, fa sfoggio di una sola scritta, il verde Abruzzo ne ha addirittura tre.

L’ABRUZZO E I SUOI QUADRATI MISTERIOSI

Le tre versioni abruzzesi del “Sator”

Del simbolo latino in Abruzzo ce ne sono: uno a Campotosto, un altro a Capestrano e l’ultimo a Magliano de’ Marsi.

Campotosto ospita il suo quadrato nella cripta della chiesa seicentesca di Santa Maria Apparente. Sembra realizzato in un modo un po’ abborracciato, usando un oggetto appuntito.

Chi lo vuole vedere potrà cercarlo in un piccolo ridotto alto un paio di metri chiamato “grotta della Nunziata” posizionato appena entrati nella Chiesa. Il quadrato è collocato sotto l’affresco di Santa Cecilia. Non è noto se sia stato messo lì ad arte ma è posto talmente in basso che per poterlo guardare è quasi necessario inginocchiarsi.

A Capestrano, invece, è situato sulla facciata esterna della chiesa di San Pietro ad Oratorium, vicino all’effige di re Desiderio, il dominatore longobardo che nell’VIII secolo fece costruire l’abbazia in seguito a un sogno. Stranamente è capovolto. Ammesso che non sia un errore, potrebbe rappresentare un simbolo nel simbolo e cioè la negazione dello stesso. Valle a sapere certe cose!

Rechiamoci ora a Magliano de’ Marsi. Ritroviamo il quadrato  sulla facciata della chiesa di Santa Lucia. La scritta non si nota subito, anzi sembra quasi nascosta sotto la pancia di una figura mostruosa a sua volta scolpita all’interno di una formella del milleduecento.

Ma passiamo a qualcosa di più scientifico, anzi di geologico… .

IL LAGO METEORITICO DI SECINARO

Sul nostro pianeta sono stati identificati quasi 170 crateri dovuti ad un impatto con una meteora. La loro grandezza varia da pochi metri fino a raggiungere quasi 300 km. Per fare un esempio quello di Chicxulub nella penisola dello Yucatán in Messico è un grande e antico cratere da impatto. Ha un diametro di 180 chilometri e si ritiene essere il nesso causale dell’estinzione dei dinosauri circa 65 milioni di anni fa.

Se vi trovate dalle parti di L’Aquila, lungo la strada provinciale che va da Rocca di Mezzo a Secinaro, sopra un piccolo altopiano a circa 1100 metri di quota, eccolo lì il nostro cratere meteoritico. Il lago della piana di Secinaro attirò l’attenzione degli studiosi quando nel 1990 un geologo svedese tale Jens Ormo intravide una possibile origine meteoritica nella morfologia del bordo rialzato dello specchio lacustre dando la stura agli studi e alle ipotesi più svariate che ancora alimentano la fiamma della discussione.  

Il Mito

Se non vi difetta un po’ la storia ricorderete questo accadimento: Circa 1700 anni fa, una scia luminosa attraversò il cielo. L’imperatore Costantino vide (o immaginò di vedere) nel segno  luminoso una croce con la scritta “In hoc signo vinces” e l’impero romano si convertì al cristianesimo cambiando per sempre il corso della storia del mondo. Tra l’altro la madre del condottiero era Flavia Giulia Elena che salì all’onore degli altari come Sant’Elena; la cosa ci fa pensare che l’Imperatore già respirava aria santa attorno a lui e che era, come dire… incline a scambiar meteore per croci. Nello stesso periodo, nella Valle Subequana, proprio in Abruzzo, scompariva la civiltà legata al culto pagano della Sicinnide. Una enorme palla di fuoco, secondo la leggenda, distrusse, infatti, il tempio della dea Sicinna. Probabilmente era lo stesso meteorite che originò il cratere del lago e la visione di Costantino. Gli studiosi ancora indagano.

LA GROTTA DEI COBOLDI

Da Pratola Peligna, in provincia dell’Aquila, se percorriamo il sentiero numero 18, dal circolo ippico in Contrada Orsa, arriviamo alle rovine di un vecchio fortilizio: il Castello dell’Orsa. Strana storia quella del borgo omonimo: edificato per poi essere abbandonato! Storici sostengono che la sua ricostruzione subì il processo di incastellamento intorno all’anno mille ma non chiariscono il motivo dell’abbandono dello stesso. Tra l’altro una domanda rimane sospesa in aria: “perché una grotta lontana dalle leggende del nord Europa porta il nome di un mito tedesco?” Mi riferisco a quello di un antro che si incontra lungo lo stesso sentiero: la grotta dei Coboldi.

Cosa sono i coboldi?

Il coboldo, nel folclore tedesco, è un folletto poco socievole. Simile ad uno gnomo, infesta le miniere e altri luoghi sotterranei, spesso ostacolando il lavoro dei minatori. È dal riferimento a questo mito che prende nome il cobalto, un metallo noto per essere oltretutto velenoso. Siccome il coboldo nasce dalle torture inflitte a dei bambini di cinque anni secondo una procedura che definire atroce è poco, forse questi strani esseri decisero di far pagare agli umani il loro dolore e lo fecero causando la distruzione di quell’intero borgo.

Chi lo sa? Lo studio di questa leggenda potrebbe portarci a comprendere cos’è accaduto davvero in queste zone e a scoprire il perchè dell’abbandono.

LA GROTTA DEL COLLE

Di grotta in grotta eccoci a quella del Colle di Rapino. Ci troviamo in provincia di Chieti, sul versante orientale della Majella, in quello che è certamente uno dei siti archeologici più suggestivi. In epoca italica (IX al I sec. a.C.) la grotta fu probabilmente un santuario, almeno a detta dei ritrovamenti tra cui la statua bronzea di una divinità femminile: la Dea di Rapino.

All’ingresso della caverna si presenta il rudere di un piccolo edificio sacro già noto come “tempio italico”. Funge da base per una sorta di altare dedicato a Sant’Angelo. In seguito divenne chiesa al titolo di Santa Maria in Cryptis.

La grotta è ritenuta sede di misteri che si celano al suo interno. Alcune leggende, infatti, narrano che in uno dei suoi tanti cunicoli, le antiche popolazioni italiche avrebbero nascosto dei tesori.

Tesori Culturali

Certamente dal punto di vista culturale, di tesori dovrebbero essercene. La grotta ne ha dati alla luce già due: la citata Dea di Rapino e la Tabula Rapinensis.

Dea di Rapino e la Tabula Rapinensis

Non crediate che la Dea di Rapino (o del Colle) sia chissà quale grandiosa scultura. È una statuetta in bronzo, databile all’epoca arcaica, tra il IV e il III sec. a.C. e alta 11,6 cm. . Rappresenta una figura femminile identificata inizialmente come la dea Cernia e solo successivamente, con quella di una sacerdotessa o una devota nell’atto dell’offerta. Se lo volete vedere, il bronzetto è attualmente esposto nel Museo della Civitella di Chieti.

La Tabula Rapinensis, riporta, invece, il testo di una legge del popolo marrucino per l’istituzione della prostituzione sacra nel santuario di Giove padre nell’arce Tarincra (sic!).

Scusate il calembour, ma la Tabula Rapinensis fu oggetto di una vera e propria rapina ed ebbe una storia travagliata. L’archeologo tedesco Theodor Mommsen la trovò nel 1841. Pensò bene di portarsela via e di ospitarla nel museo di Berlino (vecchio vizio teutonico quello di derubare gli altri dei loro beni culturali). Passa un secolo, siamo nel 1945, la Tabula Rapinensis prende di nuovo il largo in concomitanza con l’ingresso vittorioso dell’esercito sovietico nella città tedesca. Manco a dirlo il reperto storico risiede, attualmente, nel Museo statale delle Belle Arti A. S. Puškin di Mosca. Ci arrivò come preda di guerra e tenuto nascosto fino ai tempi recenti.

Termino questa breve rassegna di alcuni dei misteri di cui è ricco l’Abruzzo. Forse non sono molto noti e proprio per questo, a mio avviso, suscitano più interesse, ma soprattutto formulano un invito: fatevela qualche bella gita in questa magnifica regione! Un saluto a tutti.

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