Altro che legioni e falangi! La potenza di Roma Caput Mundi riposta, gelosamente, nei sette oggetti sacri noti come “Pignora Imperii”
Roma ai tempi di Augusto nel suo massimo splendore era un po’ quello che sono oggi gli Stati Uniti con la differenza che annetteva stati al suo impero sui quali stendeva la “pax romana” facendoli diventare parte dell’ Impero.
Al pari dei nostri amici d’oltre oceano avevano l’intelligenza di assorbire da quei popoli scienza, arte e cultura nel senso più largo della parola. A quei tempi gli unici fermenti erano presenti nella periferia dell’Impero ma la totalità delle regioni che ne facevano parte godevano di una certa stabilità politica.
La potenza romana non era solamente attribuita all’organizzazione militare che ne faceva una macchina da guerra formidabile, ma alla collezione di particolari “souvenir” che le permettevano di mantenere il potere. Il bello è che ci credevano! Quindi non solo l’organizzazione in legioni, le formazioni di combattimento a falange e testuggine ma anche questi amuleti che, gelosamente custoditi, la proteggevano.
I PIGNORA IMPERII
Quando si parla di Roma vengono in mente Romolo e Remo, il Colosseo, il ratto delle Sabine, il Foro e il Senato, Giulio Cesare, Nerone e i tanti templi dedicati alle più disparate divinità, ma di questa “potente” collezione non se ne sa moltissimo. Mi riferisco a quelli che Ovidio definì i “pignora imperii”. Erano sette reliquie che rappresentavano le garanzie tangibili della conservazione del potere e guai a perderle.
“Septem fuerunt pignora,quae Imperium Romanum tenent: Acus Matris Deum, Quadriga fictilis Veientanarum, Cineres Orestis, Sceptrum Priami, Velum Ilionae, Palladium, Ancilia”
Ovvero:
“Sette furono le garanzie che reggono l’Impero Romano: l’ago della Madre degli Dei, la quadriga fittile dei Veienti, le ceneri d’Oreste, lo Scettro di Priamo, il velo di Iliona, il Palladio, gli scudi Ancilia.”.
Erano conservati e adorati persino nel tardo antico, ma non sono arrivati a noi. Personalmente ritengo che non fossero nemmeno mai esistiti e che erano una invenzione dei sacerdoti dell’epoca. D’altro canto le religioni si basano sulla fede, cioè nell’avere cieca fiducia in ciò che è difficile da credere e per molti è “dolce naufragar in questo mare”.
COSA ERANO?
Roma avrebbe custodito sette oggetti particolari, chiamiamoli reliquie o cimeli, che le avrebbero consentito di mantenere il potere e ‘sta roba non sarebbe nemmeno arrivata tutta insieme ma acquisita nel tempo. Qualcuno veniva dall’Oriente al seguito di Enea o dei troiani fuggitivi, altri dalla Grecia, Sabina ed Etruria: era un insieme di mercanzia varia che, però, adempiva a diversi scopi.
LE FUNZIONI DEI PIGNORA IMPERII
Alcuni di questi oggetti fornivano a Roma una sorta di “pedigree” che ne certificava la sua discendenza dai troiani, dalla nobiltà sabina ed etrusca e greca. Insomma essere turco (Lì stava Troia: in Turchia), all’epoca, era segno di nobiltà: valle a capire certe cose… .
Altrettanto interessante era la consuetudine secondo la quale, conquistata una regione, i suoi numi tutelari erano invitati a risiedere nell’Urbe e questo donava alla città forza materiale e spirituale, un po’ come se quelle deità avessero dato un pegno tangibile della loro compiacenza verso le azioni dei romani.
Un esempio? Quando i romani presero la città etrusca di Volsinii che dovrebbe all’incirca essere Orvieto, Bolsena o giù di lì, siccome era parte delle dodici città etrusche, le dodecapoli, per una questione politica (secondo me), importarono nella Città Eterna l’adorazione del loro dio Vertumno.
La vogliamo dire in “soldoni”? Era un po’ come se un dio dicesse: “Quel che fai mi sta bene e ti regalo qualcosa a dimostrazione del mio apprezzamento”. Quel regalo devi per forza tenerlo nel debito rispetto altrimenti il nume si offende. Insomma i romani le pensavano tutte.
QUALI ERANO?
Vediamo di illustrare questi oggetti carichi di potere. Ecco l’elenco:
L’ago di Cibele
La Quadriga dei Veienti
Le ceneri di Oreste
Lo scettro di Priamo
Il velo di Ilione
Il Palladio
I ‘dodici scudi’ detti Ancilia
L’AGO DI CIBELE
Era una pietra nera, di forma conica considerata sacra. Ha una storia: durante la seconda guerra punica, oltre alle botte che i romani ricevevano da Annibale, furono oggetto di ripetute piogge di sassi.
Per interpretare il fatto prodigioso, i decemviri consultarono i Libri Sibillini. Una profezia in essi contenuta sentenziava che Roma avrebbe vinto il nemico straniero solo se la Grande Madre Idea fosse stata trasportata a Roma. Si trattava, chiaramente, di Cibele, la dea Frigia adorata nel suo tempio a Pessinunte sul Monte Ida, nelle vicinanze di Troia. Siccome non se ne poteva più di Annibale, nel 204, con il consenso di Attalo, sovrano di Pergamo e alleato di Romani, la sacra pietra nera viaggiò da Pessinunte a Roma. Arnobio (Adversus gentes, VII, 253) ce ne lascia una descrizione nella quale pare che fosse: “una pietra di non grandi dimensioni, di ferro, esente da qualsiasi elemento fatto da mano umana, di color nero, diseguale e con protuberanze di materiale grezzo e rude, che tutti noi oggi possiamo vedere nella bocca della statua della dea“.
Il betilo
La pietra non era una cosina da nulla, era infatti considerata il betilo di Cibele. Vi chiederete cosa diamine sia un betilo. Ebbene è la personificazione vivente di una deità in forma di pietra o anche il luogo in cui risiede. Deriverebbe dall’ebraico bēt’ēl “casa del dio”. Tutti pensano che un dio viva in un palazzo nell’Empireo, sul monte Olimpo o in altro posto fantastico e invece no: talvolta vive dentro a un sasso!
La pietra trovò collocazione provvisoria nel Tempio della Vittoria e manco a farlo apposta Scipione, quello stesso anno, sconfisse Annibale a Zama avverando la profezia contenuta nei Libri Sibillini. Per celebrare l’aiuto di Cibele nella vittoria, durante il periodo dell’equinozio di primavera (dal 15 al 28 marzo) si svolgevano i Ludi Megalensi o Megalesia. Inutile dire che da quel momento, la pietra nera entrò a far parte dei “pignora imperii” che garantivano la supremazia di Roma.
Una curiosità la volete sapere? Se il Palladio, nel tempio di Vesta, era sorvegliato da vergini, I sacerdoti che custodivano l’ago di Cibele erano solitamente dei castrati di origine non romana detti “galli”. Non si sa che fine abbia fatto questo ammennicolo, alcuni ricercatori ritengono che sia da qualche parte nel “Lapis Niger”, il luogo della sepoltura di Romolo. L’Ago di Cibele fu probabilmente rinvenuto nel 1730, durante gli scavi del Palazzo dei Cesari sul Palatino, ma siccome nessuno comprese il valore del reperto lo buttarono via.
LA QUADRIGA DI TERRACOTTA DI VEIO
Siamo all’ultimo imperatore romano: Tarquinio il Superbo. Voleva realizzare per il tempio di Giove Capitolino, all’epoca ancora in costruzione, una quadriga in terracotta da mettere sulla sua sommità. Lo scultore etrusco Vulca si diede da fare e pare che il suo lavoro divenne oggetto di un prodigio: il manufatto nel forno, durante la cottura, invece di indurirsi crebbe a dismisura. Gli aruspici interpretarono il fatto straordinario come un segno di grandezza e prosperità per i possessori della statua. Purtroppo, dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, gli etruschi decisero di tenersi l’oggetto considerato sacro.
Mal gliene incolse. Alcuni anni dopo, al termine di una corsa di carri a Veio vinta da certo Ratumena, durante la premiazione i cavalli si imbizzarrirono e scapparono travolgendo il valoroso auriga. Si fermarono nel Campidoglio romano, davanti al tempio di Giove. Ed ecco che gli auruspici, che stavano sempre tra i piedi, interpretarono il fatto come l’ira divina per non aver dato la quadriga ai Romani ai quali fu subito riconsegnata. Nel 296 a.C., gli edili curuli Gneo e Quinto Ogulnio la sostituirono con una in bronzo. L’originale fu probabilmente messa in un deposito di oggetti votivi del tempio detto detto “favissa”. Come gli altri oggetti scomparve misteriosamente.
LE CENERI DI ORESTE
Oreste morì vicino ad Ariccia (dove oggi si prepara una splendida porchetta) fuggendo dalla Erinni. Sua sorella Ifigenia cremò i resti mortali del fratello. L’urna che conteneva le ceneri fu posta nel bosco di Diana Arcina. Secoli dopo trovò posto sotto la soglia del Tempio di Saturno vicino a quello della Concordia a Roma. Oreste, per la sua storia, rappresentava da morto l’equilibrio tra diritto di natura e diritto umano, cioè la realizzazione di quella pax deorum che rappresentava il rapporto pacifico e di “amicizia” tra i mortali e gli immortali espressione spesso usata nel diritto penale romano. Inutile dire che le ceneri non furono mai trovate.
LO SCETTRO DI PRIAMO
Era il simbolo del potere della città di Troia (detta anche Ilio). Salvato dalla distruzione fu portato, da Ilioneo, per conto di Enea, a Latino re dei latini come segno di pace. Chi era? Era figlio del dio italico Fauno e di Marica divinità della città latina di Minturno. Oltre ad essere re, sposato con Amata, mise al mondo Lavinia che fu impalmata da Enea. Se venite a Roma troverete un sacco di cittadine che riecheggiano queste vicende, dal Lido di Enea fino al comune di Lavinio. Tornando allo scettro, pare che in origine fosse conservato sul Palatino. Non fu mai ritrovato.
IL VELO DI ILIONA
Elena diventata moglie di Menelao di Sparta fu rapita da Paride e dalla cosa ne venne fuori una guerra. La donna indossò, in occasione delle sue nozze con Paride, un velo tessuto con motivi di acanto, ricevuto in dono da Leda (quella del cigno ricordate?) a sua volta appartenuto alla figlia Iliona.
Chi era Iliona
Iliona era la moglie del re di Tracia Polimestore il quale, pare per sbaglio, aveva ucciso il loro figlio. Iliona per vendicarsi lo accecò e lo assassinò per poi togliersi la vita.
Non sappiamo come il velo di Iliona sia venuto in possesso di Enea, però arrivò a Roma. Quelli che parlano bene dicono che rappresentava “l’intangibilità dell’innocenza e della giustizia”, secondo me portava solo sfiga.
IL PALLADIO
Era una statuetta, forse di legno, alta un metro che raffigurava Atena. Secondo l’oracolo di Apollo la città che lo possedeva (il Palladio) sarebbe rimasta inespugnabile e invincibile finché questo fosse restato entro le sue mura. E questo sarebbe stato il vero motivo della sconfitta di Troia: il trafugamento del Palladio per mano di Ulisse e Diomede. Alcuni storici affermano che, però, si portarono via una copia e che l’originale se lo rubò Enea il quale pare fosse diventato una specie di rigattiere che raccoglieva un po’di tutto per poi scaricarlo a Roma.
Insomma era una cosa talmente importante che Numa Pompilio lo mise al sicuro nel Tempio di Vesta sorvegliato dalle vestali. Che fine ha fatto la statuetta? Non si sa. C’è chi sostiene che l’ultima gran Vestale Cecilia Concordia la nascose per non farlo cadere nelle mani dei Cristiani.
LO SCUDO ANCILE
Un bel giorno Marte fece un regalo al re Numa Pompilio: gli tirò dal cielo uno scudo di bronzo a forma di “otto”, l’Ancile. Perchè? Per scongiurare una pestilenza che aveva colpito la città. Quando lo videro, i soliti aruspici affermarono quel che s’era detto anche per le altre cose d’origine “prodigiosa”: finché si sarebbe custodito lo scudo, l’impero romano sarebbe rimasto integro e potente.
Cosa fece, allora il re che micco non era? Chiamò il fabbro Mamurio Veturio e gliene fece realizzare undici copie in modo da evitare il furto di quello vero. Gli scudi trovarono collocazione nella Regia, nel sacrarium Martis, affidati ai fratres Salii, i quali ogni anno alle idi di marzo sfilavano danzando in processione con gli scudi appesi a dei bastoni. Anche sulle sorti di questo scudo c’è una cortina di mistero: che fine ha fatto?
UNA CONSIDERAZIONE
Roma l’ho sempre considerata una città di chierichetti. Al romano piace genuflettersi davanti a qualcosa battendosi il petto e se l’Urbe conta novecento chiese, ai tempi antichi contava un elevatissimo numero di templi dedicati a dei o dee di tutti i tipi. I cattolici possedevano e veneravano le reliquie dei santi? Altrettanto facevano gli antichi quiriti con i pignora imperii. Non credo che persone pratiche come Giulio Cesare o Scipione credessero nel potere di questi affari o nella loro esistenza e così gli imperatori che si susseguirono nei secoli.
Gli oggetti si dice fossero custoditi gelosamente ed erano legati a città tradizionalmente ‘imprendibili’ quasi a testimoniare che si fosse acquisita la loro forza attraverso di essi. Se vi interessa l’argomento vi rimando a un libro del 1842 scritto da Francesco Cancellieri e che è possibile scaricare gratuitamente da Google al link:
Un saluto.