Buon compleanno Roma! Una storia lunga 2774 anni per la città che sarà sempre “Caput Mundi”

Se non ci fosse stata Acca Larenzia non ci sarebbe stata manco Roma, almeno secondo la leggenda, e Roma, riconoscente le ha dedicato una via diventata, in seguito, famosa per una strage politica.  Chi era questa signora? Adesso ve lo racconto. Acca Larenzia era la moglie del pastore Faustolo il quale salvò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Per la verità, diciamocela tutta, inutile girarci intorno, era una prostituta, detta “lupa”, termine con cui erano indicate in quei tempi le professioniste del settore e da cui discende la parola “lupanare” cioè il luogo che ospitava queste signore durante i loro adempimenti professionali. Non è che la cosa piacesse molto ai romani i quali tirarono fuori una seconda leggenda per la quale i gemelli furono salvati da una vera lupa (l’animale) e portati dal pastore Faustolo alla moglie Acca Larenzia, che li allevò.

Vediamo un po’ le cose come stavano qualche millennio orsono. L’Urbe, che ancora non era tale, risiedeva in una zona, il Lazio, il cui nome pare che, tra le tante teorie, derivasse dal latino “Lateo” cioè nascondersi, insomma era pieno di delinquenti fuggitivi che si nascondevano. Secondo alcune tesi, dalle parti di Roma non ci voleva andare nessuno e di donne manco a parlarne vista la cattiva reputazione del luogo, per cui mettere su famiglia era problematico. Cosa fare? Ed ecco che salta fuori il Ratto delle Sabine cioè il rapimento delle fanciulle della Sabina, zona limitrofa. La vicenda si svolse un po’ come nel film “Sette spose per sette fratelli”: le ragazze rapite (chi dice trenta, chi ottocento) lì per lì si lamentarono, ma furono trattate bene e senza alcuna violenza tant’è che all’arrivo dei parenti intenzionati a riprendersele, si misero in mezzo e la cosa finì lì. Lo stesso Romolo ne sposò una: Ersilia e questo nome rimase storico nella Città perché, fino ai giorni nostri, non c’è quartiere senza la “sora” Ersilia.

Anni dopo, Roma era nel suo pieno fulgore: una potenza imperiale e si comportava un po’ come gli Stati Uniti, annettendo popoli, combattendo un po’ ovunque e imponendo le sue regole (la pax romana), tant’è che le scritte sui sigilli dell’impero, ancora all’epoca di Carlo Magno recitavano “Roma caput mundi regit Orbis frena rotundi” cioè “Roma capitale del mondo regge le redini dell’orbe rotondo”. Pare a voi che un Impero potesse avere infime origini? Certamente no e fu dato il mandato a Virgilio di scrivere un poema che nobilitasse le origini dell’Urbe e cosa ne saltò fuori? L’Eneide! Per farla breve Romolo e Remo (qualcuno dice “Romo” e non “Romolo”) furono fatti discendere da Enea, che scappò dall’incendio di Troia e da Rea Silvia, anch’essa sua discendente, costretta a diventare vestale dallo zio.

Questa povera donna, inoltre, fu messa incinta da Marte e siccome era una vestale e doveva rimanere illibata, fu condannata a morte, mentre i due suoi pargoli furono abbandonati nel fiume Aniene in una cesta, un po’ come Mosè. I due furono salvati da Faustolo che li trovò vicino a una lupa che li aveva allattati e furono cresciuti da Acca Larenzia sua moglie.

Col passare degli anni i due appresero di essere non soltanto nipoti di re ma figli del dio Marte e decisero di fondare una loro città. Consultarono il volo degli uccelli per sapere il parere degli dei e Remo avvistò 6 avvoltoi. Entusiasta lo annunciò a tutti, ma Romolo ne avvistò 12 quindi a lui spettava l’onore ed il diritto della fondazione.

Tracciò, con un aratro  il solco del perimetro che delimitava il “pomerio”, cioè la zona sacra della città, ma Remo con un salto, sbeffeggiando il fratello,  oltrepassò il solco. I due litigarono e Romolo ammazzò Remo dicendo (secondo Tito Livio)  “Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura”.  Questa è la nascita di Roma, bella roba eh? Per informazione il “Pomerio era un fossato delimitato da un solco detto “urvus” da cui il nome “Urbe”. Romolo ne diventò il primo re con tutto quello che ne conseguì. Mi sorge un dubbio: se i romani discendono da Ascanio figlio di Enea sono troiani pure loro e siccome la città è in Turchia, noi (i romani) saremmo turchi?  Ai tempi dell’Impero, un cittadino romano era intoccabile. A Paolo di Tarso, che era stato imprigionato a Gerusalemme, bastò dire “Cives romanus sum” per essere liberato tra i massimi onori. Roma era talmente importante che le datazioni, per lungo tempo, partivano dalla sua fondazione ed  erano seguito dalla sigla  “a.U.c.” (“ab Urbe condita”, dalla Fondazione di Roma); oggi saremmo all’incirca nel 2774 a.U. c. . e non nel 2020 d.C. .

La Capitale ha sempre legato la sua storia ad animali, un esempio le Oche. Conoscete la vicenda? I Francesi (i Galli) assediavano Roma e cercavano il modo per penetrare nel colle del Campidoglio. Qui sorgeva il tempio di Giunone ed era circondato da oche che razzolavano liberamente in quanto sacre alla Dea. I romani, che per l’assedio, facevano la fame, avevano da tempo pensato di fare un giunonico arrosto con i volatili ma il terrore per la vendetta della Dea li aveva fatti desistere. La leggenda narra che avendo le oche, sentito i Galli arrampicarsi su per il Colle, cominciassero a starnazzare rumorosamente. L’ex  Console Marco Manlio le udì, andò in perlustrazione e si scontrò con un Gallo. “Pardon” disse il console e gli strappò tre dita dalla mano, “De rien” rispose il Gallo che scappò via assieme ai suoi compari. Successivamente Furio Camillo fece fuggire Brenno e Galli ma questa è un altra storia.

A proposito di animali, nel Giugno 1954  morì la Lupa del Campidoglio. Era una triste usanza della Capitale, iniziata nel 1872 col Sindaco Pietro Venturi, quella di tenere, in un apposito casotto, una lupa viva come emblema di Roma. Questa storia andò avanti per anni  e Trilussa, il poeta Romano, scrisse: Er giorno che la Lupa allattò Romolo / nun pensò né a l’onori né a la gloria: / sapeva già che, uscita da la Favola, / l’avrebbero ingabbiata ne la Storia”. (Trilussa, Lupa Romana).”

La povera bestia, negli ultimi anni, era talmente nervosa nella sua angusta gabbia che non faceva altro che andare avanti e indietro per cui, a Roma, quando uno è nervoso e si agita si dice che “fa avanti e indietro come la lupa del Campidoglio”. Manco le Aquile si salvarono perché in una apposita gabbia è stato ospitato per anni anche il nobile uccello simbolo imperiale. Oche, Lupe e Aquile hanno punteggiato la triste decadenza della Capitale.

Ripensandoci, nel bestiario romano ne ho omessa una: Annone. Già perché a Roma abbiamo avuto un Elefante bianco, di nome Annone,  donato dal re Manuele d’Aviz di Portogallo a papa Leone X. Era la mascotte di Roma ma morì due anni dopo essere stato donato a causa del clima e fu sepolto in Vaticano nel Cortile del Belvedere.

Nel periodo fascista il Natale di Roma era, come dire? La festa per “eccellenza” e, nel 1923, prese il posto della Festa del Lavoro del Primo Maggio, unendo il concetto di Roma Imperiale e lavoro. Mussolini in un suo discorso disse: “celebrare il Natale di Roma significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l’avvenire”. Poi vennero gli scandali di Roma Capitale e su tutta la gloria imperiale fu steso un velo pietoso.

In questo periodo di Coronavirus, la Città Eterna è diventata irriconoscibile. Vista dall’alto pare un gigantesco plastico inanimato, il brusio delle strade non c’è più, i tanti mercati rionali sono silenziosi e tacciono persino le fontane dell’EUR che, spente, non sprizzano, gorgogliando, l’acqua. Ogni tanto passa un autobus, talmente vuoto e stanco che nemmeno prende più fuoco. Parafrasando Manzoni, tra l’altro cittadino onorario di Roma, vien da dire, riferendoci ai fasti dell’Impero: ” Ei fu. Siccome immobile…” . Un saluto a tutti da un metro e mezzo!

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