Capì la crisi della sinistra. Vide il futuro trent’anni prima. Amato dai militanti Pci. Rispettato dagli avversari. In due parole: Enrico Berlinguer
“E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!”
LE ULTIME PAROLE
È il 7 giugno del 1984, a Padova. Queste le parole finali che Berlinguer pronuncia nel suo ultimo discorso. Improvvisamente si sentì male. Portò a termine il suo discorso, a fatica, mentre la gente che lo vedeva spegnersi gli urlava: “Basta, Enrico!“.
Le gambe gli vennero meno. Sollevato dai collaboratori fu riportato in hotel. Entrato in coma non si sarebbe più risvegliato. Morì l’11 giugno, dopo quattro giorni a 62 anni. Si disse che perse la vita a causa di un ictus ma il tempo perso (ore e ore) per portarlo in ospedale porge il destro a tante ipotesi. Durante il discorso bevve qualcosa da un bicchiere e poco dopo si sentì male. Una considerazione: La morte di Berlinguer potrebbe avere un legame con quella di Aldo Moro? Rocco Turi, nel suo libro: “Storia segreta del Pci” fa notare che entrambi lavoravano per realizzare in Italia il primo Compromesso Storico della repubblica italiana. Forse i servizi segreti dell’Est e non soltanto loro, non riuscivano ad accettare che questo potesse accadere. Dopo la sua scomparsa, alle europee del 1984 il PCI superò per la prima e unica volta la Democrazia Cristiana.
BERLINGUER E LA PACE
Nel 1976 al congresso del Pcus Berlinguer fu autore di quello strappo che gli fece guadagnare sia la copertina di Time, sia l’odio dell’ortodossia sovietica. Aveva pronunciato parole come democrazia e pluralismo in un luogo dove erano state bandite dal vocabolario politico. I dirigenti sovietici avevano provato a farlo desistere dal pronunciare quelle parole. Di fronte al suo rifiuto, non poterono fare altro che dimezzargli il tempo dell’intervento. Da quel momento mutò la linea del partito. Non cessò, però, la battaglia comunista per una società più equa e giusta contro il modello capitalista. Erano i prodromi della terza via.
Il proliferare di armi nucleari in Italia, seppure in risposta all’aumento di quelle sovietiche non era, per lui, una scelta necessaria. Berlinguer poteva, ora, affermarlo senza essere più accusato di essere filosovietico. Non riuscì, tuttavia, a vedere come il suo pensiero portò Reagan e Gorbaciov a siglare accordi bilaterali per il disarmo nucleare..
DOPO LA SUA MORTE
Alla cerimonia funebre in piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, parteciparono più di un milione di persone. L’allora Presidente della Repubblica, Pertini, mise a disposizione l’aereo presidenziale per il trasporto della salma. Dichiarò: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”.
L’evento cambiò il corso della storia della sinistra in Italia. La memoria storica del segretario del Partito Comunista Italiano rimase una pietra miliare della seconda parte del Secolo scorso. Era, quello, un periodo di politici pensatori, di figure che svettavano alte nel panorama degli interessi nazionali. Mai più si giunse a così alti livelli, anzi, negli anni a venire, pare, si cercò anche di sopprimerne i simboli e la memoria.
CHI ERA?
Non ho alcuna intenzione di sciorinare la biografia di un forgiatore di pensiero quale fu Enrico Berlinguer.
Chi erano i genitori, il nonno o la zia poco importa. Parafrasando Marco Antonio, quello che sopravvive agli uomini sono le azioni e solo quelle.
Amato dai militanti del Partito Comunista, rispettato dai suoi avversari politici fu per dodici anni segretario del suo partito. Una delle figure più influenti della cosiddetta Prima Repubblica. Guidato da lui il PCI ottenne i suoi più grandi risultati.
In occasione del centenario ecco la sua azione attraverso interviste e reperti filmici per comprendere quali i valori e la politica della sinistra che fu.
LA QUESTIONE MORALE
La questione morale esplose dopo il terremoto che colpì l’Irpinia il 23 novembre del 1980. Gli aiuti ai terremotati non furono tempestivi e la situazione andò fuori controllo. Berlinguer decise che era quello il momento giusto per rompere definitivamente con la classe dirigente della DC.
Il 27 novembre convocò a Salerno una riunione straordinaria della direzione del partito. Durante la riunione parlò non solo del terremoto, ma fece riferimento anche agli scandali, alla corruzione e all’amoralità che erano i veri colpevoli della crisi:
“La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico“.
L’intervista con Scalfari
Intervistato da Eugenio Scalfari, Berlinguer approfondì il suo pensiero sulla questione morale. Accennò ai “partiti che hanno occupato lo Stato e le istituzioni” e dell’elettorato “sotto ricatto” che va a votare per ricavarne vantaggi. Pose l’accento sulla “diversità” del PCI rispetto alla Democrazia Cristiana e agli altri partiti. Questa diversità non fu intaccata nemmeno quando l’occasione avrebbe potuto “fare l’uomo ladro“.
Durante i governi di solidarietà nazionale, infatti, racconta il Segretario: “ci avevano scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per banche, enti… per partecipare anche noi al banchetto“
“La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?“.
IL SISTEMA CAPITALISTICO
Sovrapponendo il pensiero di Berlinguer al capitalismo e al panorama della sinistra italiana, risulta evidente la distanza abissale che separa i due mondi. Ad oggi si è compiuto un processo di “standardizzazione” che ha portato i campi della politica progressista e conservatrice a competere dentro il quadro capitalistico che mai viene messo in discussione nei suoi fondamenti.
Anche l’organizzazione politica del partito diviene un modello guidato da leader. Il consenso non si conquista più dal basso comunicando con le forze sociali, ma “convincendo” dall’alto l’opinione pubblica. Strumenti di marketing come si vendesse, alla fine, un prodotto qualsiasi.
Il pensiero di Berlinguer sul capitalismo
Dal punto di vista di Berlinguer (ma anche di Gramsci e di Togliatti) tutto questo è frutto della sconfitta storica che l’idea socialista ha subito nella battaglia per la sua affermazione. Quella battaglia l’hanno vinta altri e ricominciare è un’impresa quasi disperata. Il pensiero di Berlinguer, allora, fu tristemente presago.
“(…) Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche – e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC – non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati”.
L’EUROPA
In una intervista a Critica Marxista Il pensiero politico del Nostro sull’ Europa fu chiaro. All’intervistatore che gli propose il tema delle possibilità di sopravvivenza della CE rispose:
“non è pensabile che la via d’uscita dalla crisi della Comunità europea possa consistere nel ripiegamento di ogni singolo Stato sulla sua peculiare identità, nel rinchiudersi nelle particolarità dei propri interessi…non ha senso per chi abbia un minimo di lungimiranza e sappia guardare non solo ai tempi brevi ma anche a quelli medi e lunghi”
In realtà Berlinguer individuava alcune criticità. Intanto il modo, quello liberal-conservatore col quale si intendeva realizzare l’Europa unita. Era una integrazione unicamente economica e commerciale. L’idea doveva, invece, poggiarsi su tre “gambe”: l’unità politica, l’indipendenza sul piano internazionale e l’autonomia di iniziativa. Poneva in evidenza il quadro internazionale. Esistevano gravissime diseguaglianza e squilibri tra nord e sud del mondo. Questa situazione non solo avrebbe provocato fame e arretratezza ma anche tensioni, conflitti e mancato sviluppo della democrazia. Fronteggiare la questione avrebbe richiesto un’Europa “politicamente unita e indipendente, economicamente avanzata, che voglia e sappia cooperare (e cooperare pariteticamente) per lo sviluppo”.
Le due energie
Due grandi energie devono essere messe al servizio dell’UE. Quella delle forze operaie e popolari dell’occidente e delle loro rappresentanze politiche, che:
“devono prendere nelle loro mani la causa dell’unità e dell’autonomia dell’Europa. Una tale determinazione non può non sollecitare altri strati sociali democratici e produttivi a pensare agli interessi profondi, e non soltanto immediati, dei loro paesi. Così a un’Europa conservatrice, e quindi debole, può succedere un’Europa forte, progressiva e democratica, con un ruolo attivo nella promozione dello sviluppo e della pace”.
L’altra energia è quella della cultura e della storia senza la quale è impossibile creare una unita europea. Le sue parole paiono essere attualissime:
“Da quasi tremila anni grandi esperienze di civiltà sono fiorite su questa nostra terra, e noi viviamo in mezzo a ciò che è rimasto, eredi ma anche testimoni, custodi e interpreti attuali della più grande costruzione umana che sia dato conoscere. Senza questo passato dell’Europa, senza il lascito della specie umana vissuta sulla nostra Terra, l’umanità sarebbe priva di un suo punto di riferimento costitutivo. Anche una guerra locale in Europa, ammesso che sia possibile, metterebbe fine a molta vita vivente, e a questa grande vita divenuta testimonianza storica. La vita vivente conta certo più di quella trascorsa; ma anche questa umanità già vissuta conta in modo determinante”.
IL COMPROMESSO STORICO
Nell’autunno del 1973, riflettendo sul golpe in Cile, Berlinguer sottolineò la necessità di un accordo tra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista, e quelle cattolico-democratiche. Era il compromesso storico. Dopo le elezioni del 1976 portò al primo governo di solidarietà nazionale. Era un monocolore democristiano che si reggeva sull’astensione sia dei vecchi partner che del PCI. A inizio 1978, Berlinguer incontrò Moro, chiedendogli di agevolare l’entrata dei comunisti al governo. Ma ad opporsi furono in molti.
Berlinguer scriveva che in Italia:
“sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare […], questo fatto non garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale esigua maggioranza”
da qui la necessità di una accordo che comprendesse PCI e DC.
PER TERMINARE
“Repetita juvant”: la sinistra, allora, ma anche gli altri partiti, potevano contare su uomini caratterizzati da vaste vedute, da una grande intelligenza politica e da un forte carattere. Detto questo, desidero fare una precisazione per tutti coloro che hanno avuto la bontà e la pazienza di leggere questo mio articolo. Non ho avuto l’intenzione di fare il panegirico di Berlinguer. Non amo fare queste cose ma, per i giovani che non hanno vissuto i tempi della politica “vera” e “vivace” e per tutti coloro che l’hanno dimenticata, ho tentato, attraverso il nostro personaggio, di rispolverare quegli anni.
Un saluto da un metro e mezzo di distanza.