Da Nerone agli autobus dell’Atac tutte le volte che Roma ha preso fuoco

Fuga di Enea

Roma nasce dal fuoco: è un po’ una sorta di fenice che risorge sempre dalle proprie ceneri.

La sua storia è scritta con questo elemento.

Giova ricordare che, stando alla legenda, Enea assieme al padre Anchise e ai figli Julo e Ascanio fuggì da Troia approdando nei pressi di Roma. Perché scappò da Troia?

Per salvarsi dall’incendio della città e questo è il primo incontro col fuoco ab Urbe condita. Da ciò ne discendono due cose: i lupacchiotti Romolo e Remo, simboli della città, sono di origine turca perché in Turchia si ergeva la città di troia; Il romano è un figlio di Troia il che se da un lato può sembrare offensivo, dall’altro riflette la sua discendenza da nobili lombi.

Così come San Francisco anche l’Urbe ha avuto il suo incendio devastante: gli storici lo addossano a Nerone il quale, pare, avesse deciso di dare una rinfrescata all’urbanistica della città e pensò di fare un bel  falò delle cose vecchie incendiando la Città Eterna. Si era nel 64 D.C.  Ma quello di Nerone non fu il solo rogo.

I GALLI A ROMA

Nel  390 a.C. la Capitale fu distrutta dal fuoco grazie ai Galli che presero la città. L’occupazione ebbe vita breve perché arrivò Furio Camillo col suo esercito e li prese a calci nel fondoschiena rispedendoli a casa.

La leggenda narra che Brenno, visto l’arrivo incombente del generale romano che stava menando botte da orbi alle orde francesi alle porte dell’Urbe, cercò un compromesso: a fronte di un tributo pari a mille libbre d’oro avrebbe tolto l’assedio. I romani nicchiavano anche perché s’erano accorti che le bilance erano state truccate. Alle loro rimostranze, Brenno, in gesto di sfida, pose la sua spada su un piatto della bilancia pretendendo un maggiore peso d’oro e pronunciando la frase “Vae Victis” (“Guai ai vinti!”).

Caso volle che arrivò Furio Camillo col suo esercito il quale, da buon romano, messosi davanti a Brenno a gambe larghe, pollici nella cintura e stuzzicadenti in un angolo della bocca, gli mostrò la sua spada sbraitandogli sul grugno: “Non auro, sed ferro, recuperanda est patria“, che, tradotto, significa “Non con l’oro, ma con il ferro, si riscatta la patria“. In realtà credo gli avesse detto:” Ahò si nun te ne vai te faccio ‘n grugno come un santo vecchio” che sarebbe un poco cortese invito a sloggiare. Tra l’altro i Galli le presero pure dalle Oche del Campidoglio.

INCENDI NELLA STORIA

Dal 213 a.C. fino al 283 d.C.  altri sette grandi incendi distrussero parte della Città Eterna tra cui il Celio che allora non era ancora affollato di botteghe cinesi per passare a quello avvenuto nel 190 durante l’Impero di Commodo, figlio di Marco Aurelio, Il suo personaggio lo avete visto nel film “Il Gladiatore” interpretato da Joaquin Phoenix. In questo periodo fu distrutta mezza Roma e lui la ricostruì dandogli il nome di “Colonia Commodiana” che non era un centro estivo per giovinetti. Oggi ci indigniamo per il tenore aspro di certi alterchi politici. Pensate che i sostenitori di Vitellio, combattendo contro quelli di Vespasiano, nel 69 d.C., appiccarono il fuoco all’intero Campidoglio!

Come vedete l’ustione è il motivo che sottende la vita a Roma, a noi ci piace il fuoco, non c’è niente da fare. Nel periodo estivo c’è chi va al mare e chi in montagna, noi, invece, diamo fuoco alla pineta di Castelfusano. Non c’è stato anno che qualcuno, cerino alla mano, non si sia divertito ad arrostire quella splendida macchia di verde. Preso dalla disperazione, l’allora sindaco Rutelli mise una taglia sui piromani, ma invano. La suggestione della fiamma crepitante è forte per i quiriti. Una delle piazze più suggestive della Capitale è infatti “campo de’ Fiori” dove arse Giordano Bruno e dove si erge la sua tetra statua.

IL SACCO DI ROMA

Lanzichenecchi

Ma l’Urbe non stette mai tranquilla e di incendi ne spuntavano quasi ad ogni piè sospinto. L’agosto del 410 fu preda di un tour dei Visigoti che, durante il saccheggio, diedero alla fiamme il Palazzo dei Valerii e le ville sull’Aventino.

Nei primi giorni di maggio del 1527 chi ti ritroviamo a Roma? I tedeschi o meglio i Lanzichenecchi. Il popolo Teutone ha sempre avuto un debole per la città eterna, soprattutto per derubarla e devastarla. Portarono via dalla Capitale tutto quello che potevano trasportare. Spogliarono chiese e palazzi, violentarono le donne di cui molte “scelte” tra le suore dei conventi. Scriverà, poi, Guicciardini nella “Storia d’Italia” che “Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de’ santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de’ loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi”. Le germaniche genti terminarono, successivamente, l’opera durante il secondo conflitto mondiale. I Lanzichenecchi, in questo periodo, riscaldarono Roma con innumerevoli incendi non ultimo quello del quattrocentesco Palazzo Massimo alle Colonne. 

BRUCIANO I MEZZI PUBBLICI

Incendio dopo incendio si arriva ai tempi nostri. In questi ultimi anni, nella Capitale, i roghi sembrano prosperare e particolarmente negli ultimissimi mesi. A Roma si incendia tutto, anche l’inincendiabile, tranne i cinghiali che, arrosto, non sarebbero manco male. Una epidemia ardente ha avvolto gli autobus romani che, rispetto agli altri camion, pulmann e mezzi pubblici pesanti in circolazione nella Penisola, paiono divampare con estrema facilità. Quanti camion avete mai visto essere preda delle fiamme? Ve lo dico io: nessuno perché il Diesel, a differenza del motore a benzina, non prende fuoco. Oddio volendo lo potrebbe ma sarebbe uno caso raro oppure… . A Roma c’è stata una epidemia di autobus auto-comburenti. Gli episodi hanno avuto luogo non solo con i mezzi in regolare servizio ma anche tra quelli fermi nei depositi.

NETTEZZA URBANA IN FIAMME

Non ne è uscita indenne nemmeno l’Ama, l’azienda che tratta i rifiuti urbani. I suoi depositi, paiono infiammarsi con estrema facilità come quello di Rocca Cencia, seguito da un altro in via Salaria. Perfino l’Isola ecologica Ama, a Ostia, è arsa di vivo fuoco. Insomma Nerone sarebbe stato l’Amministratore delegato ideale della partecipata romana. Non ha nessuna importanza se i depositi siano attivi o meno; quello di viale Castrense è diventato un rogo pure se vuoto ed in disuso. Persino le autorimesse non sono immuni dall’ardente destino e si incendiano i mezzi (che non sono autobus). La cosa ha scosso dal suo sonno dogmatico l’aspirante sindaco di Roma Gualtieri. Tra un samba e una bossa nova (ne è cultore ed esecutore sulla sua chitarra) ha affermato trattarsi di un episodio gravissimo! 

Sembra che dopo quella di Tutakhamen, una nuova maledizione incomba sui cieli romani e riguarda tutto ciò che è di proprietà AMA. Bruciano sul litorale romano anche i bagni pubblici (chimici) messi da poco sulle spiagge libere. I cassonetti, invece, vivono di vita propria. Abitati da elfi freddolosi si incendiano qua e là a macchia di leopardo estate e inverno. Da luglio ad oggi ci sono stati ottanta incendi e la cosa non sembra voler terminare. A dirla tutta anche le campane per la raccolta del vetro hanno seguito la stessa sorte portando ad oltre trecento i raccoglitori di rifiuti combusti.

IL PONTICELLO DI FERRO IN FIAMME

Ciliegina sulla torta il povero Ponte di Ferro il cui vero nome è “Ponte dell’Industria”. Povero ponte! È lì dal 1863 ed è più vecchio della Torre Eiffell! Fu testimone dell’eccidio, da parte dei nazisti, di alcune donne che avevano rubato, per sfamare la famiglia, della farina da un vicino mulino. Purtroppo l’impianto macinava il grano per i crucchi e questi ritennero giusto mitragliare alle spalle le povere donne dopo averle fatte appoggiare sulla spalletta del ponte.

Il “Ponte di Ferro”

La costruzione è una beniamina dei romani: unisce le due sponde del Tevere e agevola il traffico nelle due direzioni. Ritenuto un prezioso reperto è inserito nella più antica zona di archeologia industriale romana. L’area consiste in un quartiere dove capannoni e antiche installazioni in acciaio sono rimaste intonse nel tempo. La più nota opera industriale è la centrale Montemartini, che produceva energia elettrica usando il carbone e oggi suggestivo museo, che servì da scenografia ai programmi televisivi del compianto Mino D’Amato.

Il piccolo viadotto l’avrò attraversato centinaia di volte, sempre benedicendone la comodità. A ponte bruciato, subito dopo, di nuovo i soliti autobus, questa volta venti. Sono andati a fuco nel deposito di Torsapienza a Roma. Siamo alla strage dei mezzi pubblici. Gualtieri in ballottaggio quale candidato sindaco dell’Urbe ha promesso cinquecento mezzi elettrici. Scommettete che andranno tutti in corto circuito bruciando?

ROMA SCOTTA E NON DI FEBBRE

Brucia l’Ama, bruciano i cassonetti, bruciano gli autobus e i gabinetti pubblici, bruciano le pinete e i parchi. Qui a nella Capitale si sta sempre ben caldi. Roma eterna e ignifuga che ha retto e regge ad anni di immemori roghi. La prima caserma dei vigili del fuoco fu romana (6 d.C.) e così il corpo dei pompieri, i vigiles. Erano settemila, organizzati in sette coorti alle dipendenze del “praefectus vigilum”: già da allora erano presaghi…

Un ardente saluto da un metro e mezzo di distanza.

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