D’Annunzio e la magia. Gli originali amuleti del Vate e la seduta spiritica dalla contessa Polozoff dove fu messo ko da un… fantasma!
Se mai è esistito nella storia della cultura italiana un personaggio dalla poliedrica genialità, dalla vita sregolata (genio e sregolatezza sono un binomio spesso inscindibile) e da una vena di grande eccentricità questi è stato il Vate d’Italia Gabriele D’Annunzio.
Lo ammetto mi è sempre stato simpatico, proprio per il suo essere sopra le righe e per la sua mente sempre aperta e pronta ad esternare idee, una sorta di dandy alla Oscar Wilde.
Per mantenere il suo livello di vita batteva sempre cassa al Duce. Quando lo vedeva arrivare, bello e azzimato, questi si metteva una mano davanti agli occhi e mormorava tra sé: ”e adesso che vorrà?”.
Non mi dilungherò sulle sue opere, sulla sua vita inquieta seppure invidiabile, ma su un lato non molto noto dell’immaginifico cantore: superstizione e magia. Insomma il Vate, per quanto raffinato potesse essere era sempre un figlio d’Abruzzo e da questo traeva uno dei suoi aspetti particolari: era superstizioso. Nonostante il suo genio e il suo livello intellettuale, condivideva uno dei tratti più marcati dell’uomo (o donna) della regione: proprio quella sorta di “cultura bassa” che sempre è stata associata al popolino.
GLI AMULETI E NON SOLO
Il Vate, nella sua dotazione standard aveva un gran numero di amuleti, qualcuno da far rimanere a bocca aperta perché qui non si tratta di cornetti o ferri di cavallo, ma di qualcosa tipicamente D’Annunziana nella sua eccentricità: i peli pubici.
Aveva un certo numero di questi ammennicoli confezionati utilizzando i peli pubici delle sue amanti. Di questi uno era il suo preferito: quello confezionato con il repertorio pilifero del basso ventre di Elvira Natalia Fraternali Leoni che il Vate chiamava più semplicemente Barbara.
Fu un po’ la sua musa ispiratrice. Intrecciò con la donna una relazione che durò cinque anni a base di peli e sentimenti a quanto pare. Da questo connubio scaturì ad esempio la figura di Ippolita Sanzio la povera protagonista del romanzo Trionfo della morte del 1894.
LE PIETRE
Non poteva mancare un suo forte interesse verso le pietre preziose e magiche, le proprietà dei metalli, le energie vegetali, le forze naturali ma anche la simbologia degli animali.
Non si fece mancare nulla del mondo faunistico, dall’aquila al cavalluccio marino, dal cigno al granchio, dal leone alla tartaruga nella quale D’Annunzio sovente si identificò, per ragioni squisitamente magiche, in quanto l’animale simboleggia l’astuzia, il silenzio, la prudenza e la longevità.
LA NUMEROLOGIA
Manco questa poteva mancare nelle fissazioni dell’Immaginifico. Badava molto ai numeri cosa che si ripercuoteva pesantemente nelle sue cose come nella stanza del Lebbroso, al Vittoriale, dove i lati sono sette. Tra i suoi numeri preferiti c’era il nove, il sette; il ventuno e il ventisette e tutti i multipli di sette e nove.
Amava il numero undici, però indulgeva anche nel tre, numero che scandì i tempi di svolgimento di alcune sue opere quali la figlia di Iorio che è divisa in tre atti e trentatré giorni, scanditi in tre periodi. D’altro canto già nel medioevo esisteva il detto: “omne trinum est perfectum”
Era terrorizzato dal numero tredici del quale badava bene di non fare mai menzione orale o scritta che fosse. La repulsione per il numero lo portò ad indicare l’anno 1913 come “1912 più 1”.
LO SPIRITISMO
D’Annunzio frequentava spesso le sedute spiritiche e tra le sue amicizie annoverava membri del settore “occulto” quali cartomanti, medium, parapsicologi e guaritori. Di questi operatori dell’occulto, dalla metà dell’Ottocento fino quasi alla Prima Guerra Mondiale, se ne trovavano a iosa. Frequentavano i salotti “buoni” della borghesia del tempo infestando pure le vette del mondo dei VIP (allora come ora).
Ovunque, nei salotti dell’Italia “bene” si tenevano delle sedute spiritiche; la materia era diventata una moda che le classi elitarie non potevano trascurare. Poteva il Vate mancare a queste esperienze? Ma anche no e così partecipò ad una storica seduta che si tenne a Napoli in casa della contessa russa Polozoff (all’epoca ce n’erano di contesse russe e di conti Montenegrini…) presente la medium più famosa dell’epoca: la pugliese Eusapia Palladino. Volete sapere come andò?
LA RIUNIONE SPIRITICA
Aveva 29 anni D’Annunzio quando, durante la sua permanenza a Napoli, decise di partecipare a quella seduta medianica assieme ad un suo amico tale Cantalamessa. Così si recò presso l’abitazione della contessa e assieme a cinque altre persone iniziò la seduta. Contrariamente al suo interesse per l’occulto, quella sera ne fece di tutti i colori disturbando la seduta.
Cosa accadde? Racconta Federico Verdinois in “Ricordi giornalistici”:
“Dal buio sbucò una forma umana, una specie di gigante, [che] si slanciò sul Cantalamessa, lo afferrò in mazzo con d’Annunzio, e spinta e spalancata la porta alle loro spalle, li scaraventò tutti e due come un fagotto di cenci sotto un lungo divano che era nella camera apppresso. Gesù! Aiuto! Misericordia! Le signore erano allibite. La madre del Pessina m’era caduta addosso quasi svenuta. Chi fosse quell’uomo, donde scaturisse, come avesse tanta forza nelle braccia, come si dileguasse sotto gli occhi esterrefatti di noi tutti non so. […] I due malcapitati uscirono carponi di sotto al divano e tornarono verso noi altri. Non ridevano più ed erano pallidi anzi che no. L’Eusapia gongolava. La Polozoff tentò di trattenere il d’Annunzio per discutere. Ma d’Annunzio ne aveva abbastanza e si accomiatò. L’amico suo lo aspettava già sulle scale.“. Chissà, forse la medium, contrariata da quel comportamento, aveva evocato una sorta di forza oscura, un buttafuori d’oltretomba.
LA POLITICA SPIRITICA
Durante il suo soggiorno al Vittoriale cercò anche d’influenzare la politica di Mussolini e per questo scopo gli inviò degli amuleti portafortuna. Non pago il Vate indicò al Duce quale comportamento politico e militare dovesse tenere, in quanto gli era stato suggerito dai suoi antenati con i quali era in continuo contatto! Inutile dire che il Duce ritenne opportuno rifuggire da quei suggerimenti.
IL VATE VEGGENTE E GUARITORE
Poteva mancare questa attività soprannaturale nella vita dell’Immaginifico artista? Sovente D’Annunzio raccontava di avere avuto delle apparizioni, qualcuna mica da poco. Tra le più eclatanti, quella di San Francesco, nel 1908, che se ne stava sulle acque del Tevere e quella della sorella morta Anna verificatasi proprio nel giorno di Sant’Anna. Ma anche Eleonora Duse si fece sentire, d’altro canto era stata la sua celebre amante. Il di lei fantasma si sarebbe piegato sul Vate sino a sfiorarlo.
Divenne poi uno sciamano con poteri di guarigione. Quanto a questo, in una lettera inviata all’attrice Maria Melato, scrisse: “Col semplice tocco delle mie dita sulle tempie convulse, io so abolire la stanchezza e ogni altra pena!”.
ECCENTRICO ANCHE DOPO MORTO
Non tutti sanno che le ultime volontà dello stesso Vate prevedevano, dopo l’esposizione della sua salma nella camera ardente al Vittoriale, che un chirurgo ne asportasse un orecchio per donarlo al Duce. Immagino Mussolini, pure ‘sta volta, mettersi le mani sugli occhi esclamando disperato: “mo bòia d’un mànnd lèder“. Per fortuna riuscì ad evitare quella macabra stranezza. Quando giunse a casa, a Villa Torlonia, fortunatamente senza quel souvenir testamentario, narra Donna Rachele, sua moglie, che era in uno stato di grande nervosismo (e ci credo…).
Nonostante tutto Gabriele D’Annunzio era abruzzese, era immerso nel profondo della cultura di quel popolo “forte e gentile” al quale apparteneva e del quale mai rinnegò le origini e nelle cui opere si ritrovano costantemente i riferimenti. Ve lo aspettavate un D’Annunzio così?
Un saluto