Di questo passo saremo noi a doverci rifugiare in Africa
Dopo troppi giorni in cui l’Europa riscopre la guerra, ci giunge la riflessione di Francesco Barone – Ambasciatore di pace, che con la sua esperienza traccia un ritratto del tempo buio in cui siamo
“Nulla è più scandaloso quanto gli stracci e nessun crimine è vergognoso quanto la povertà”. Sono queste parole di George Farquar a rendere bene l’idea sul significato delle condizioni di vita di milioni di persone.
I numerosi conflitti armati sparsi nel mondo stanno determinando nuovi scenari, caratterizzati da incertezze sul presente e sul futuro. Per troppo tempo, rendendoci portatori di prodotti e convinzioni preconfezionate, siamo rimasti indifferenti e distratti rispetto a ciò che stava accadendo. Ciò che è evidente è che la povertà aumenta dove c’è sfrontata ricchezza e dove ci sono le guerre. E’ idea comune che è povero chi ha fame e ha sete, chi non dispone dei mezzi necessari per vivere ed è costretto a sopravvivere; ma è povero anche chi, diventando estraneo agli altri e a se stesso, nega la realtà.
Si resta indifferenti di fronte alla condizione di intollerabile sofferenza di milioni di bambini costretti a subire bombardamenti e ferite laceranti. Si resta indifferenti di fronte allo sfruttamento del lavoro e della prostituzione minorile. I ritmi accelerati del cambiamento sociale, l’irrefrenabile ambizione dell’affermazione dell’io, stanno rendendo inconsistenti i rapporti umani, posti in precario equilibrio su una pericolosa cima da cui è rischioso precipitare.
A seguito della pandemia, l’Europa si trova di fronte a un ulteriore shock: la guerra in Ucraina. Gli effetti economici saranno ancora una volta devastanti e a discapito dei poveri. E come al solito le preoccupazioni principali riguarderanno gli impatti sui mercati, perché senza troppi giri di parole, i mercati e le Borse internazionali hanno un valore superiore alla vita delle persone. L’Europa non si trovava in una situazione così drammatica dalla seconda guerra mondiale.
Il 90% delle persone che sono fuggite dall’Ucraina sono donne e bambini. Le Nazioni Unite stimano che circa sette milioni di persone hanno lasciato il Paese rifugiandosi nei Paesi vicini. Anche per l’Europa il mondo è tornato ad essere pericoloso, come lo era per altre Nazioni dove i conflitti armati durano da diversi anni, nel quasi totale disinteresse internazionale. Come dire: le guerre non sono tutte uguali, ci sono quelle di serie a e quelle di serie b.
Comunque le si considerino, potrebbero essere evitate, qualora il pensiero prevalente di chi governa, si fondasse sul senso di responsabilità, consistente anche nel riconoscimento della parzialità del proprio punto di vista, dal comune riconoscimento che l’interesse di parte non può essere disgiungibile dall’interdipendenza con gli altri e dall’idea di conseguire reciproci vantaggi nonostante le differenze.
Siamo testimoni innocenti, a volte muti, di scelte irresponsabili di informazioni e comunicazioni “a raffica” che possono accentuare o attenuare i piani dei contrasti. Nei conflitti, gli scambi comunicativi, manipolatori e propagandistici, alimentano le ostilità. Non esistono parole per giustificare una guerra. La guerra è sempre sbagliata. E’ il fallimento del ragionamento. Qualsiasi tipo di negoziato, sia esso di tipo distributivo o integrativo, non può nascondere le sofferenze prodotte. Non può riparare le ferite. Per tali ragioni, rischiando di essere considerati banali e retorici, bisogna nuovamente sottolineare che il disarmo, la redistribuzione equa delle ricchezze e il rispetto dei diritti umani rappresentano i pilastri irrinunciabili per il conseguimento del bene comune.
Viviamo in un pianeta situato ai margini dell’universo, ma ne costituiamo in qualche modo il centro intellettuale e spirituale. Per far si che l’uomo non continui a isolarsi è necessario che la nostra coscienza collettiva non si sottragga anche alla sua funzione unificatrice. Bisogna essere impegnati nel difendere la pace, prima che sia troppo tardi. Prima di essere noi europei a dover navigare il Mediterraneo in direzione opposta ai “viaggi della speranza” dei nostri fratelli africani.