Embrioni in provetta, sì all’impianto anche senza il consenso dell’ex coniuge

Ha fatto molto discutere, la sentenza del 27 gennaio 2021, del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), resa nota solo ieri, riguardo il consenso del giudice, a favore dell’ex moglie all’impianto di un ovocita fecondato e congelato, anche senza il consenso dell’ex marito.

La sentenza – che tratta un argomento mai trattato prima – affonda le sue basi giuridiche su una legge – la n. 40 del 2004 – che all’articolo 6 comma 3, prevede che “la volontà di diventare genitori mediante procreazione medicalmente assistita (Pma), può essere revocata fino al momento della fecondazione“, e nel caso specifico, la fecondazione c’è stata. Sorge però un problema: la Corte Costituzionale, nel 2009, con la sentenza n. 159, modifica la legge n. 40, prevedendo il congelamento degli embrioni, mentre la norma, nella sua formulazione originaria, prevedeva la fecondazione di un massimo di tre embrioni, simultaneamente impiantati nell’utero della donna. Era, pertanto, sconosciuta l’ipotesi della crioconservazione, intervenuta solo nel 2009, sconvolgendo un terreno giuridico, che già avremmo potuto definire vergine.

Coloro che condividono la decisione del giudice, fanno leva sul principio di affidamento nella disciplina contrattualistica, (il consenso non può più essere revocato). Allo stesso risultato potremmo pervenire, se prescindendo dalla crioconservazione, si considerasse quell’embrione come già fecondato nell’utero: in tal caso sarebbe come, si tratta di un’iperbole, ovvio, “costringere all’aborto”, anche se così non è.

Si esprime contrariamente invece, chi, nel voler fare un ragionamento inverso, non trova giusta l’eventuale ipotesi dell’ex marito, che potrebbe “costringere la donna” a farsi impiantare l’embrione per soddisfare il proprio desiderio di diventare genitore.

Alberto Gambino, giurista e presidente di Scienza & Vita, il quale definisce la sentenza del giudice ineccepibile, considerando che “prima del diritto della coppia ad avere un figlio, esiste il diritto del figlio a vivere nella pienezza la sua esistenza – dunque ambire alla vita.

C’è stato un unico precedente, ma trattandosi di caso risalente al 2000, il giudice ha risolto in maniera diametralmente opposta (considerando però, che ancora non era intervenuta la legge n. 40, né la sentenza costituzionale).

Più che contestare la decisione del giudice, considerato la scarna normativa su cui poter decidere, bisognerebbe auspicare ad un intervento integrale in materia da parte del legislatore, così da evitare un panorama squarciato come quello attuale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *