Esiste davvero la parità di genere? Analisi sul caso Celano
La richiesta di pubblicazione del presente articolo e pervenuta direttamente dall’autrice, Alina Carusi, componente dell’Associazione Unione Popolare di Celano.
di Alina Carusi
“La vera emancipazione non inizia nè nei seggi elettorali, nè nei tribunali: inizia nell’anima della donna”. Niente di più vero, un pensiero che deve accompagnare ogni donna nel cammino della propria vita, per la realizzazione personale e professionale che ognuna auspica e per cui ancora tanto c’è da conquistare. Resilienza, empatia, coraggio e determinazione sono le parole delle donne, figure fondamentali per la realizzazione di una società più inclusiva e giusta, sottolineando la necessità ancora più forte di costruire organizzazioni attente al rispetto e all’alleanza tra generi.
Le politiche a favore delle donne per giungere alla parità di genere e ad un’adeguata rappresentanza in ruoli di decisione pubblica e collettiva, non dovrebbero restare solo un concetto astratto, ma una rilevante e prioritaria questione economica e sociale, oltre che morale ed etica. Tanti i traguardi raggiunti, ma altrettanti sforzi vanificati se non è la solidarietà che guida la nostra strada, ma l’ipocrisia.
L’ipocrisia di augurare a noi stesse il meglio, ma poi chiudere occhi e orecchie di fronte a incresciosi episodi di cui le donne continuano ad essere vittime. Il concetto di parità di genere viene in questi casi minimizzato ed è quanto più lontano dall’essere realizzato a tutti gli effetti, su tutti i piani e in qualsiasi contesto. Ancor più vergognoso non indignarsi e non proferir parola su quanto succede intorno a noi, più vicino di quanto si voglia credere.
Si, si parla proprio della nostra realtà più vicina! Anche la nostra amata Celano è diventata teatro di schifosi episodi, che vedono ancora una volta le donne costrette a subire allusioni, gesti e molestie sempre a sfondo sessuale, per avere la dignità di un posto di lavoro o un cambio di posizione professionale. La frustrazione e l’indignazione sono i primi sentimenti che emergono dopo aver letto e appreso alcune notizie.
Però, non manca certamente una profonda tristezza e un vuoto quasi incolmabile notando la reazione o non reazione da parte della componente femminile che vive nel nostro paese, che ricopre ruoli politici e che dovrebbe quantomeno prendere le distanze dal modus operandi venuto fuori. Non una parola, una sola parola, un gesto di indignazione o di sdegno per gridare e dichiararsi offese nell’animo.
L’indifferenza a volte è più colpevole della violenza e della discriminazione stessa, è l’apatia morale di chi si volta dall’altro lato. Se da una parte c’è un silenzio assordante quasi a voler far finta di nulla, far finta di essere ciechi per non guardare e sordi per non sentire, mi chiedo a cosa serva la collocazione della famosa “panchina rossa” o ancora di più la passeggiata a cui hanno partecipato in molte, se non a uno scopo di facciata e visibilità.
In occasione dell’8 marzo si lanciano slogan per promuovere la tutela dei diritti delle donne che subiscono soprusi e quando serve indignarsi nessuno ci mette la faccia? Si scrive “.. altra grave piaga sociale che col passare del tempo peggiora, è la violenza sulle donne. Basta accendere la Tv per rendersi conto che ormai la violenza la fa da padrona! Questo denota che ormai la donna non ha più valore e che, noi tutti, indistintamente, non diamo più valore all’essere umano donna” e poi?
Quali comportamenti si assumono dopo aver appreso determinati episodi? E ancora “.. la città di Celano, grazie al duro lavoro dell’amministrazione uscente e alla caparbietà di Settimio Santilli, ha avuto una grossa opportunità a sostegno delle sue donne.” (O di quelle di Piccone, si sarebbe dovuto
scrivere). Forti e profondi messaggi a favore della sensibilizzazione sulla grave problematica che affligge migliaia di donne ogni giorno, messaggi che però andrebbero messi in atto praticamente con comportamenti di sdegno e denunce di episodi come quelli che hanno visto Celano protagonista, così come altre realtà.
Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, ma come si può continuare a sperare di raggiungere la vera parità di genere e superare tanti ostacoli se ancora non riusciamo a toglierci il velo dagli occhi e a guardare in faccia la realtà? Una ragazza di 25 anni, come può credere nelle istituzioni e sentirsi parte di un sistema che non tutela le donne? Come può affacciarsi nel mondo del lavoro sapendo che, per ottenere qualcosa per cui ha studiato tanto e fatto sacrifici, si dovrebbe ricorrere a determinati metodi e vendere la propria dignità? Come si riesce a progettare un futuro e costruire una famiglia con la consapevolezza che madre, figlia o sorella che sia, possa dover fare i conti con una realtà che mette, ancora una volta, le donne in una posizione di inferiorità, di oggetto sessuale e di contenitore
vuoto?
Non si può condividere certamente l’idea di un mondo maschilista, una società senza uguaglianza di genere: un gradino alla volta andrebbe percorsa la scalinata per raggiungere il successo personale e sociale; ognuna di noi ha questo compito, mano nella mano, spalla a spalla. Se da un lato sono molte le domande che sorgono spontanee, dall’altro però molte sono le piccole fiamme accese di speranza che lottano, non piegando la testa, per la propria dignità.