“Giornata della Memoria” Il Taccuino della Storia – “Un Avezzanese a Mauthausen…”

AVEZZANO – Nel 1938, con la promulgazione delle inique leggi razziali conseguenti al Manifesto della Razza, iniziò il calvario degli italiani di religione o stirpe ebraica, ma la situazione divenne critica dopo l’8 settembre del 1943, quando, in particolare, iniziò l’occupazione tedesca in Italia.
Fu allora che i tanti Modena, Milano, Napoli e via dicendo, ché in Italia come in molti altrove gli ebrei portavano cognomi che corrispondevano a nomi di città o paesi, dovettero confrontarsi con una triste realtà di persecuzione che li avrebbe condotti fino al martirio nei lager della Germania o nel resto d’Europa.
Tutti conosciamo la storia di Nathan Orvieto che scampò all’Olocausto grazie all’intervento di padre Gaetano Tantalo.
Meno nota è la vicenda di un altro avezzanese finito prima in lager a Bolzano (n° 8078) e, poi, a Mauthausen (n° 126520) e scampato al lager riuscendo a tornare in Italia il 5.5.1945.
La sua storia, quella di Aldo Pantozzi, è particolare.

Aldo Pantozzi (Foto di repertorio da “Bolzano scomparsa”)

Nasce ad Avezzano il il 5.3.1919. L’Italia sta vivendo i momenti convulsi del dopoguerra.
Suo padre è ferroviere e aveva seguito gli spostamenti del padre fino ad approdare a Bolzano, dove era divenuto capostazione e, qui proprio qui, il padre avrebbe avuto il singolare destino di dover seguire il tragitto che il treno con i carri bestiame avrebbe percorso portando Aldo a Mauthausen.

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Quando scoppia la guerra e cadono su Bolzano le prime bombe (24 bombardamenti, 240 morti tra i soli civili), la famiglia Pantozzi si trasferisce per sicurezza a Cavalese, dove Aldo, per varie ragioni, entra nelle fila della Resistenza. Viene arrestato dalla Gestapo il 30 novembre 1944 e finisce così nel Lager di Bolzano (matricola 8.078) e da qui parte – senza conoscere ovviamente la destinazione – per Mauthausen, proprio su un treno avviato dalla stazione e sotto gli occhi di suo padre.
Della sua vicenda scrisse una lunga memoria nel libro “Sotto gli occhi della morte” e qui lasciamo le parole alla sua voce scritta: “… Il treno si mosse che era già buio e presto si fermò alla stazione di Bolzano, all’altezza – calcolai – dello scalo merci. Pregai i compagni di fare silenzio assoluto nella speranza di sentire una voce dall’esterno che mi chiamasse: quella di mio padre, capostazione, che avevo potuto avvertire della partenza attraverso la clandestina via postale del campo, ed infatti, come pensavo, egli era corso a chiamarmi, iniziando dal primo vagone, ma poco mancò che pagasse cara la disperata audacia, in quanto fu allontanato da un aguzzino che lo minacciò col mitra spianato. Così ritornò – mi raccontò – disfatto nel suo ufficio a dirigere la corsa del treno fino al Brennero, di quel treno che, con tanti italiani, portava suo figlio alla morte. Fu questa la mia particolare tragedia della prima parte del viaggio fino al Brennero. Pensare che quel treno maledetto era allacciato, attraverso un filo lunghissimo, all’orecchio di mio padre che ad ogni stazione comandava: <Nulla osta partenza treno X, ore Y… ricevuto fine!> O nel tuo cuore, caro papà, quella parola non risuonava come fine del tuo dispaccio di servizio, ma come una condanna fatale! … E quella parola a me nota, ‘fine’, mi risuonava col suono della voce paterna ad ogni partenza dalle varie stazioni: <Cardano…fine!> <Prato Tires…fine!> <Campodazzo…fine!>… < Fine! Fine! Fine!>, mentre la mitraglia, dalle garitte del treno, cantava il suo accompagnamento di morte (le sentinelle sparavano alla cieca nel buio, per allontanare eventuali aggressori, ndr). Intanto Carrè – al quale ero vicino e presso il quale avevo acceso un lumino che Mario aveva ingegnosamente costruito per il viaggio – spirava: erano le 22 e credo non fossimo neppure a Bressanone; padre Costantino e don Antonio Rigoni lo assistettero nel trapasso.(…) Si giunse così al Brennero: il silenzio regnava pauroso nel carro, silenzio sepolcrale quasi imposto dalla figura immobile, rimasta seduta nell’angolo, del morto Carrè” …
Giunse a Mauthausen, dopo quattro giorni senza mangiare e bere, in carri trasformati in latrine. Al lager sperimentò le tante incredibili e inutili atrocità, con le innumerevoli storie di morte, fino alla liberazione da parte di stupiti ed attoniti americani, increduli dinanzi alle autentiche larve umane che erano sopravvissute e che li festeggiavano in maniera così composta nonostante tutto. Aldo riuscì a venir fuori dal lager e tornò in Italia, alla liberazione del campo nel 1945.
Qui riuscì a completare gli studi e a diventare anche notaio a Bolzano dove si stabilì definitivamente.
Venne a mancare nel novembre 1995.
La sua storia vien fuori, a parte dai suoi scritti dove non inveirà mai contro i suoi aguzzini, da una nota del libro di Manuela Consonni “L’eclisse dell’antifascismo: Resistenza, questione ebraica e cultura”.
La sua vicenda, come dicevamo, è descritta nel suo libro “Sotto gli occhi della morte”, che fu in assoluto il primo volume edito in Italia sul tema delle persecuzioni naziste (gennaio 1946) e che, tra l’altro, comparve anche a Norimberga durante il processo ai gerarchi nazisti.

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