Giro del mondo a caccia delle biblioteche distrutte dal tempo e dalla barbarie umana
L’IMPORTANZA DELLE BIBLIOTECHE
Pensateci bene: le biblioteche svolgono una importante funzione politica e culturale. Distruggere una biblioteca equivale a cancellare la memoria storica di un popolo. Mi riferisco a biblioteche con grande valenza. Annientare la memoria di un popolo significa annullarne la cultura e l’identità. Cosa fanno gli invasori tra le prime cose quando occupano una nazione? Rogo dei libri. Tutte le dittature, tutte le forze oscurantiste, la prima cosa che gli balza in mente è di bruciare la cultura. Tanto più essa è ospitata su libri antichi, tanto meglio è.
Immaginiamo che la biblioteca Apostolica Vaticana fosse andata distrutta. Il Cielo sa quali tesori vi sono conservati e quale antica conoscenza. Cosa c’è nell’Archivio Segreto Vaticano? È il custode del più grande patrimonio documentario al mondo. Siamo davanti a oltre ottantacinque chilometri lineari di scaffali. Ma da qui nulla esce e tutto è controllato. Ma se tutto lo scibile contenuto sparisse? Nella storia del mondo ci sono stati concentratori di cultura che sono scomparsi. Nulla sapremo mai dei loro contenuti e forse, secondo alcuni, mai avremmo dovuto conoscerli.
Curiosamente, nella storia, sono svanite formidabili raccolte di libri che contenevano lo scibile noto fino a quei tempi e che, forse, avrebbero illuminato anche noi. Voglio stimolare la vostra curiosità su alcune di queste importantissime strutture.
LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
La Biblioteca di Alessandria, riportava sul muro della sala di consultazione la frase “luogo di cura per l’anima”. In realtà era un grande laboratorio editoriale, un luogo per un numero ristretto di scienziati, di filologi, di filosofi con centinaia di migliaia di papiri acquisiti nei modi più diversi, anche attraverso la confisca: ogni nave che attraccava nel porto di Alessandria era perquisita e se si trovavano testi si procedeva alla loro copia.
E fu proprio per questo che il sovrano Tolomeo I decise di costruire nella sua città, la biblioteca più ricca e grande del mondo allora conosciuto, opera continuata dal figlio Tolomeo II. I suoi direttori erano personaggi di inusitata sapienza il primo fu Zenodoto di Efeso, allievo di Filita di Coo seguito da nomi del calibro di Callimaco, Apollonio di Rodio, Eratostene, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia: mica cavoli.
La ricerca dei manoscritti
Su suggerimento del filosofo greco Aristotele, Tolomeo mandò i suoi uomini ovunque per cercare manoscritti e opere che sembravano loro interessanti e ben presto, la Biblioteca d’Alessandria, si trovò a contenere “tutti gli scritti creati nel mondo”. Callimaco, Euclide ed Eratostene lavorarono in quella struttura. Poteva mai continuare ad esistere una così grande arca di conoscenza? No.
Alcuni studiosi sostengono che andò in fiamme quando Giulio Cesare incendiò nel 48 a.C. la flotta della regina Cleopatra; altri invece ne attribuiscono la distruzione a Teofilo, patriarca cristiano di Alessandria, che volle cancellare, assieme al grandioso edificio, tutto il sapere pagano (al solito). Siccome il lavoro non era stato così accurato ci pensò nel 642 d.C. il califfo Omar I a terminare l’opera.
Per la gioia dei terrapiattisti ecco un aneddoto. Uno dei bibliotecari fu Eratostene di Cirene. Il Nostro lesse in uno dei tanti papiri custoditi che, nella città di Siene (l’attuale Assuan) a sud di Alessandria, nel primo giorno d’estate a mezzogiorno, i raggi del Sole cadevano a perpendicolo a tal punto che l’astro si poteva vedere riflesso nel fondo dei pozzi e gli uomini e i pali conficcati in terra non proiettavano l’ombra. Ad Alessandria questo fenomeno non accadeva: gli oggetti formavano sempre, in tutti i giorni dell’anno e a tutte le ore, ombre più o meno lunghe. Questa osservazione convinse Eratostene che la Terra doveva essere rotonda. Non solo, ma ad Alessandria, a mezzodì del giorno del solstizio estivo, dalla inclinazione dei raggi del Sole si poteva risalire al valore della curvatura del nostro pianeta.
LA CINA E LE BIBLIOTECHE
Ai cinesi, pare proprio che le biblioteche dessero fastidio. Nel 213 a.C. l’Imperatore Qin Shi Zheng annunciò che la storia cominciava in quel momento e giustamente, ordinò di bruciare tutti i libri, con l’unica eccezione dell’I Ching, il Libro dei Cambiamenti, che riteneva benefico. Dopo la sua morte, si cercarono i volumi segretamente nascosti, per restaurarli e metterli in una nuova Biblioteca Imperiale. Fu una pia intenzione.
Nel 207 a.C., durante le lotte per il trono, la capitale subì tre mesi di devastazioni e così quei libri che si erano salvati fecero la stessa fine degli altri. Non paghi, nel 23 d.C. l’usurpatore Wang Mang devastò nuovamente la Biblioteca Imperiale.
La Dinastia Han si diede ancora da fare col fuoco e diede alle fiamme tutte le opere scritte nel 190. Dal rogo scamparono settanta pacchi di libri e (ci crederete?) dati alle fiamme nel 208. L’anno 311 fu un periodo fortunato. Studiosi recuperarono oltre tremila rotoli e L’Imperatore Yan Liang disse “meno male si sono salvati!” e li carbonizzò.
Date un libro a un cinese e subito ci farà un barbecue. La Dinastia Siu costruì il magnifico Palazzo Yang che comprendeva una Sala delle Scritture. Nel sec. VIII l’Imperatore Xuanzong aggiunse 2600 titoli in 48000 rotoli alla già ricca collezione. Periodo d’oro per la cultura e infatti nel 1281 i conquistatori mongoli ordinarono che tutte le opere letterarie fossero raccolte e date alle fiamme. Si salvò la biblioteca della famiglia Qi, la più importante raccolta della dinastia Ming e tutti a tirare un sospiro di sollievo ma, nel 1597, pure questa se ne andò in fumo.
I ROMANI E LA CULTURA SCRITTA
I Romani amavano l’arte ma mal tolleravano la parola scritta: quando a Roma, nel 181 a.C., i quiriti ritrovarono la biblioteca sepolta del re Numa, senza dire né ahi né bai, la diedero immediatamente alle fiamme perché conteneva libri di filosofia. Catone, ogni volta che terminava un discorso pronunciava la frase “ceterum censeo Carthaginem esse delendam”, ovvero “d’altronde penso che sia necessario distruggere Cartagine”. Tanto disse e tanto fece che nel 146 i Romani la rasero al suolo badando bene a ridurre in cenere anche la sua ampia collezione di libri (mezzo milione di volumi). Un incendio, scoppiato a Roma nell’83 a.C., distrusse le ultime 2000 opere originali degli Oracoli Sibillini mentre, Giulio Cesare, qualche anno dopo ordinò la distruzione delle biblioteche dei Druidi celtici attraverso tutta la Gallia, una cosina da 100.000 rotoli di pergamena. A seguire Augusto fece bruciare nel Foro oltre 2000 opere “superstiziose”.
Abbiamo finito? Ancora no. Siamo nel 303 Diocleziano ordinò di raccogliere e distruggere tutti gli scritti dei cristiani e degli ebrei. Passata una sessantina di anni, l’imperatore Gioviano razziò la grande Biblioteca di Antiochia, e nel 371 Valeriano spinse gli abitanti della città a dare alle fiamme tutti i rimanenti libri non cristiani.
RONGORONGO LA SCRITTURA DELL’ISOLA DI PASQUA
Il Rongorongo non è un ballo come il TucaTuca e nemmeno un gioco come il Ping Pong ma una forma di scrittura non ancora decifrata, composta da glifi intagliati in tavolette di legno. Sembra che il primo re polinesiano ad arrivare sull’Isola di Pasqua, si fosse portato appresso sessantasette tavolette: le sessantasette saggezze dei Maori sul modo di navigare, sulla conoscenza dell’astronomia e altro ancora. Ad oggi ne rimangono venticinque sparse nei musei di tutto il mondo.
Ci pensano i missionari
il monaco francese Eugenio Eyraud, uno dei primi missionari ad arrivare sull’isola, scrisse: “Si trovavano in ogni capanna delle tavolette di legno o delle canne ricoperte di geroglifici. Sono figure di animali sconosciuti nell’isola che i nativi disegnano con pietre taglienti. Ogni geroglifico ha un nome. La poca attenzione che portano a queste tavolette mi fa pensare che questi segni, vestigia di un linguaggio primitivo, siano per loro qualcosa da conservare piuttosto che da cogliere un significato.”.
Recenti studi riportano che le innumerevoli tavolette esistenti sull’isola (ora non più) contenessero informazioni, alla stregua dei libri. Naturalmente arrivarono i colti missionari i quali, alla vista di questi pezzi di legno disegnati, si dissero tra loro: “Non ci si capisce niente: deve essere roba satanica” e diedero fuoco a tutto quel po’ po’ di conoscenza. D’altrocanto pensavano che quella roba fosse portatrice di messaggi spirituali in conflitto con il loro lavoro di evangelizzazione e quindi, degni di una bella abbrustolita. Quello che si sa, ai nostri tempi è che il rongorongo era utilizzato dall’aristocrazia che viveva sull’isola e non era una scrittura usata nella vita quotidiana.
Strano ma vero le altre popolazioni polinesiane non avevano un sistema di scrittura, da qui il mistero: perché la scrittura è apparsa in una delle isole più isolate del mondo? La scienza non ha ancora trovato una risposta a questa domanda. Una sola cosa è nota: trovare le tavolette e dargli fuoco fu quasi un tutt’uno!
Ma’ori-Ko-Hau-Rongorongo un popolo misterioso
L’archeologo francese Franics Maziere scrisse nel suo libro “The Mysteries of Easter Island” di aver parlato con uno degli ultimi abitanti dell’isola in grado di leggere il rongorongo. L’uomo, in fin di vita, spiegò allo scienziato che il linguaggio originario era inciso nella pietra. La “Prima razza” che abitava le quattro parti del mondo aveva inventato quella scrittura. Questo popolo misterioso, i Ma’ori-Ko-Hau-Rongorongo, secondo la tradizione orale degli abitanti dell’isola, eresse i Moai e possedeva la capacità di far levitare le pietre. L’ antichissima razza era presente non solo nell’Isola di Pasqua ma se ne ha notizia in molte altre parti del mondo dove edificarono costruzioni con metodi ancora oggi sconosciuti (piramidi comprese, ma questa è un’altra storia).
Un esempio per tutti le mura ciclopiche di Sacsayhuamán a Cuzco sulle Ande in Perù a 3.555 metri di altezza che restano ancora un mistero irrisolto. Come diavolo abbiano fatto a trasportare pietre di 200 tonnellate da cave molto lontane è ignoto. Sconosciuto il metodo di sollevamento per porle in opera. La precisione degli incastri è tale che una lama di coltello non può essere infilata tra le giunture delle stesse pietre. Inutile dire che la tanta precisione non ha richiesto l’uso di leganti per tenere insieme i massi. Non mi prendete per matto, non mi riferisco a tecnologie aliene anche se qualcuno indulge nell’idea, ma in una conoscenza perduta negli incendi di quelle biblioteche che, forse, altro potevano dirci.
Le biblioteche continuano a bruciare sebbene il nostro sia un secolo “illuminato”. Ecco cosa è accaduto recentemente attorno a noi.
La Biblioteca di Sarajevo
“Quando mi sono svegliata la mattina del 26 agosto ho sentito una particolare ondata di caldo. Ho guardato fuori dalle finestre: la Viječnica era completamente in fiamme. Un’immagine incredibile. Stavo lì a guardarla (…) e non potevo fare nulla. Una sensazione orribile, perché tutti sapevamo quale tesoro immane c’era tra quelle mura” (Kanita Fočak, architetto sarajevese). L’incendio della biblioteca della città, cominciò durante il bombardamento di Sarajevo nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992. La città di Sarajevo vide sparire l’ottanta per cento dei libri che documentavano la storia e la cultura della Bosnia ed Erzegovina.
La Biblioteca di Baghdad
Un antico adagio mediorientale recitava: “Gli egiziani scrivono, i libanesi commerciano i libri, ma è a Baghdad che vengono letti”. Dal 2003 tutto è cambiato: la Biblioteca Nazionale di Baghdad, dalla caduta del regime, è stata incendiata due volte e continuamente saccheggiata.
A questo proposito il consulente UNESCO Fernando Bàez, esperto internazionale di biblioteche, scrisse: “Molti ignorano che oltre ai libri sono stati distrutti gli archivi. L’archivio Nazionale si trovava al lato della Biblioteca Nazionale. Risultano persi più di dieci milioni di documenti, dal periodo ottomano a importantissimi documenti collegati alla recente storia irachena”. Tra i libri spariti ci sono pubblicazioni vecchie oltre mezzo millennio: libri di Averroè, i trattati di Avicenna, edizioni uniche delle Mille e una notte. Manoscritti con le prime traduzioni in arabo di Aristotele, opere di Omar Khayyam, testi di letteratura persiana antica, di poeti sufi, novelle, cronache arabe, mappe persiane.
Mosul e le sue biblioteche
Nella città di Mosul, i geni dell’ISIS diedero alle fiamme 112 mila tra manoscritti (alcuni molto rari), libri e documenti: molti di questi volumi erano patrimonio Unesco. Il rogo avrebbe coinvolto sia testi scientifici sia letterari. Visto che ci si trovavano i signori dell’Isis pensarono di danneggiare pure la biblioteca musulmana sunnita e la Biblioteca del Museo di Mosul. Alla fine della fiera, la mano dell’uomo, nella storia del mondo, fece sparire sessantaquattro importantissime biblioteche. Contenevano l’intero scibile umano e forse, per questo, dovevano essere distrutte. Ogni volta che qualcuno invadeva le altrui nazioni la prima cosa che si dicevano era: “E ora che si fa? Ma sì bruciamo qualche libro”.
LIBRI E TEDESCHI
I più furbi furono i tedeschi che nel 1933 incenerirono, a Berlino, i loro libri e non quelli delle altre nazioni. I Bücherverbrennungen fu il nome di questi ameni roghi dei quali si fece carico l’ Associazione Studentesca della Germania e la cosa ci fornisce l’idea di quella che sarebbe stata la futura “intellighenzia” teutone.
Come andò la vicenda? Hitler aveva da poco preso il potere. La prima cosa che disse tra sè e sè fu: “dove stanno i libri?“, poi ci ripensò su ed elucubrò: “dove stanno gli ebrei?“. Dopo una attenta riflessione associò le due cose e concluse: “bruciamo i libri degli ebrei!“dopo di che: “anzi no tutti i libri, non si sa mai…“.
Studenti teutoni & cultura
I studenti berlinesi vennero incontro ai “desiderata” del Fuhrer con una lucente iniziativa: un bel falò! A chi non piace un bel falò? Sulla spiaggia, in Montagna con un bel boccalone di birra in mano è rilassante e così quella splendida gioventù ne fece uno ma… con i libri. I giovanotti presero qualche tonnellata di volumi e li portarono con camion e carrettini nella Opernplatz berlinese luogo dove si affacciavano l’Università e il Teatro dell’Opera di Stato. Manco a dirlo il governo approvò entusiasticamente l’iniziativa, giovani e libri erano un bell’esempio di cultura! Ventimila volumi illuminarono fiammeggianti la notte berlinese.
Nell’occasione Goebbels se ne uscì con un discorso dove affermava che: “il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere”. Siccome la cosa era bella e suggestiva, altri fuochi se ne fecero in tutta la Germania: persero la guerra ma con carattere! Loro son così: muscoli, falò e Oktober Fest.
LA FACCIO FINITA
Mi avvio alla conclusione (contenti?) Sembra quasi un caso che la conoscenza più antica e fondamentale dell’umanità sia sparita, distrutta proprio dalla mano di coloro cui apparteneva. A volte mi chiedo se veramente sia stato tutto casuale, se non scattino certi meccanismi per cui l’uomo non debba o possa superare certi limiti per cui tanta conoscenza acquisita possa risultare pericolosa. Siamo una cultura di batteri in una piastra di Petri circondata da penicillina dalla quale non possiamo e dobbiamo esondare? Forse è solo fantascienza, forse no. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.