“Ich bin Hildegard”. Storia di una monaca santa dai numerosi talenti
MAGLIANO DEI MARSI – La storia che oggi vi stiamo per raccontare ci parlerà della vicenda umana ed intellettuale di uno dei personaggi più importanti del Medioevo tedesco: no, non è né di un imperatore, né un cavaliere, bensì di una donna o meglio una monaca che è stata capace di fare qualcosa di impossibile per l’epoca. Se noi pensiamo alle grandi donne di chiesa del medioevo, le figure che ci vengono in mente sono Scolastica (sorella di San Benedetto da Norcia), Chiara D’Assisi e Rita da Cascia: forse in pochi conoscono Ildegarda di Bingen ed oggi vi parleremo proprio di lei. Attraverseremo, in punta di piedi, la sua vicenda umana per poi analizzare una delle sue grandi invenzioni, la “Lingua Ignota”.
Ildegarda nacque nel 1098 a Bermersheim vor der Höhe, nell’attuale stupendo Land della Renania-Palatinato in Germania. Figlia dei nobili Ildeberto e Matilda di Vendersheim fu ultima di dieci figli, la piccola Ildegarda in tenera età cominciò ad avere delle strane visioni, qualcosa che l’accompagnerà per tutta la sua vita: i suoi genitori, all’età di otto anni e vista la sua cagionevole salute, la vollero avviarla alla vita religiosa. Entrò nell’abbazia di Disibodenberg ove fu educata dalla monaca Giuditta di Spanheim anch’essa di nobile famiglia che si ritirò in monastero: questa figura fu assai cara alla giovane Ildegarda e l’aiutò molto nel suo percorso sia di fede e sia di formazione intellettuale. Sappiamo che tra il 1112 ed il 1115 prese i voti dalle mani dal vescovo Ottone di Bamberga.
Una volta diventata monaca Ildegarda continuò il suo percorso di studi: si interessò particolarmente ai testi di Dionigi l’Areopagita e Agostino. E fu proprio in quel periodo che la monaca iniziò nel trascrivere le sue numerose visioni e ciò venne poco tollerato dalle autorità ecclesiastiche. Il suo rapporto con il clero fu spesse volte tumultuoso, nonostante ciò essa seguì l’insegnamento della chiesa senza uscire dall’ortodossia. Anzi, durante il sinodo di Treviri nel 1147 papa Eugenio III ne lesse alcuni dei suoi testi. Comunque, quando nel 1136 la sua maestra Giuditta morì fu lei a prendere il suo posto, diventando la Priora della comunità: nel 1150 fondò il monastero di Rupertsberg a Bigen che nel 1632 venne distrutto dagli svedesi durante la Guerra dei Trent’anni. Ildegarda morirà il 17 settembre del 1179 a Bigen e venne tumulata nel suo monastero, successivamente alla distruzione del luogo sacro, le sue reliquie vennero traslate nella chiesa di San Giovanni Battista nella medesima città: ah, nel 2012 papa Benedetto XVI suo connazionale, la nominò “Dottore della Chiesa”.
Fatta questa premessa, ora veniamo al lato umanistico di Ildegarda. In una lettera datata 1146 ed inviata al grande San Berardo di Chiaravalle la monaca tedesca di descriveva così: “Io sono un essere senza istruzione, e non so nulla delle cose del mondo esteriore, ma è interiormente nella mia anima che sono istruita”. Ovviamente qui entra in gioco l’umiltà, il contributo di Ildegarda alla teologia, alla musica e alla medicina è encomiabile! Per quanto concerne la botanica essa lasciò la “Physica” ovvero due trattati, dal sapore enciclopedico, che trattavano sia di botanica e sia di medicina. E proprio in questo rapporto tra natura e medicina che la nostra Ildegarda trovò delle qualità che, in qualche modo, facevano bene all’essere umano. L’alimentazione, per la monaca, si divideva in quattro categorie: fredda, calda, umida e secca e, secondo i suoi studi, tali categorie riuscivano a bilanciare l’umore a seconda dell’esigenza del malato. Ovviamente c’erano alcuni alimenti che per Ildegarda erano di “fondamentale importanza” e che occupavano un ruolo principale nella sua idea di dieta: ed uno di questi alimenti era proprio il farro. Nel giorno di oggi in cui si sommano idee di crudismo e l’essere vegetariani oppure vegani, la Monaca Santa considerava nocivi frutti come le fragole, per citarne alcune, e le verdure non cotte: per lei la cottura eliminava gli umori dannosi per erano deleteri per il paziente. La stessa Ildegarda creò una dieta speciale suddivisa per i giorni di malattia: dal liquido che aiutava a depurare l’organismo al solido che permetteva di riperder forza al degente. E’ questa la particolarità della nostra Santa, essa aveva compreso il tono dell’umore e la salute dell’intestino come due punti fondamentale e connessi della salute di un individuo.
Una delle sue grandi invenzioni fu la “lingua ignota”, un sistema linguistico ed alfabetico usato dalla santa in questione sia a fini mistici ed anche quotidiani. Nei due manoscritti che facevano parte di una grande opera dal titolo “Lingua ignota per simplicem hominem Hildegarden prolata”, datati 1200, che sono giunti sino ai nostri giorni (il codice di Berlino ed il codice di Wiesbaden) ci narrano che tale lingua è composta da 23 lettere e che i due codici, in realtà, siano due grossi vocabolari formati da 1011 vocaboli. La lingua ideata da Ildegarda è una “lingua composita” (come lo è la lingua copta utilizzata dai cristiani d’Egitto) in cui si usa parecchio il latino con forti intromissioni della lingua tedesca medievale. Sappiamo, tramite un manoscritto autografo di Ildegarda, che tale lingua veniva anche capita dai suoi amici e da coloro che frequentavano il monastero. La volete sapere qualche parola in Lingua Ignota? “Aigonz” significa Dio, “Jur” significa Uomo, “Vanix” significa donna e “Scirizin” significa figlio. Possiamo ipotizzare che tale lingua, oltre al servizio del Sacro, Ildegarda la voleva insegnare ad un’umanità frammentata ed in cerca di una sua propria anima.
E ci piace concludere questo viaggio all’interno della storia di Idegarda di Bingen proprio con le parole di papa Benedetto XVI che scrisse il 7 ottobre 2012 nella lettera apostolica di proclamazione a Dottore della Chiesa: “Perciò l’attribuzione del titolo di Dottore della Chiesa universale a Ildegarda di Bingen ha un grande significato per il mondo di oggi e una straordinaria importanza per le donne. In Ildegarda risultano espressi i più nobili valori della femminilità: perciò anche la presenza della donna nella Chiesa e nella società viene illuminata dalla sua figura”.