Il 13 giugno viene distribuito il “pane di Sant’Antonio” in ogni chiesa a Lui intitolata. Ma da dove viene questa tradizione?
Il 13 giugno in ogni chiesa intitolata a Sant’Antonio viene distribuito il “pane di Sant’Antonio”. Non tutti conoscono, però, l’origine di questa tradizione, che nasce da uno dei tanti miracoli di quello che viene definito il Santo dei miracoli.
La storia del piccolo Tommasino
Il piccolo Tommasino, di soli due anni, figlio di buoni genitori che abitavano proprio vicino alla chiesa del Santo, un giorno, giocando vicino ad un recipiente d’acqua cadde dentro e annegò. Trovato il figlio senza vita, la madre non si rassegnò, ma si affidò a Sant’Antonio e fece voto di distribuire ai poveri tanto grano quanto era il peso del bambino, se fosse ritornato in vita. Passarono ore e la donna continuò a pregare e ad invocare il Santo finché il bimbo morto ritornò in vita! La promessa fu mantenuta e da allora la devozione a Sant’Antonio incominciò a diffondersi, attraverso la distribuzione del pane ai poveri, con il nome di “peso del bambino”.
Un alimento che coinvolge i sensi
Questa tradizione ruota intorno ad un elemento essenziale e quotidiano, ricco di significato.
Da sempre il pane è un alimento che coinvolge i nostri sensi. Il profumo del pane appena sfornato, i suoi diversi sapori, le sue infinite forme e innumerevoli consistenze, il rumore più o meno croccante del pane spezzato e condiviso. Davvero il pane è l’alimento fondamentale per vivere, un bene prezioso necessario, al punto che parliamo del lavoro come di “guadagnarsi il pane”, proprio perché “senza pane si muore”.
Si tratta del cibo quotidiano per antonomasia che di solito viene condiviso, a partire dalla propria famiglia, ma non solo. Il pane crea comunione. A questo ci invita Gesù di Nazareth insegnandoci a pregare il Padre di darci il “nostro” pane. Non esiste infatti un pane mio o un pane tuo: il pane, che è sempre e soltanto il “pane nostro”, si condivide e crea comunione. Ha quindi un ruolo fondamentale all’interno delle nostre relazioni. Guarda caso il termine “compagno” significa proprio colui che mangia il pane con me (cum panis).
Il pane si condivide e crea comunione
Duemila anni fa Gesù, il più grande di tutti i profeti, ci ha indicato la strada, il senso. Non ha progettato grandi opere, ma si è fermato, ha ascoltato, toccato occhi, labbra, orecchie, è entrato nelle case, si è seduto a mensa e ha parlato delle cose d’amore come nessuno aveva saputo fare. Soprattutto ha concluso l’esistenza terrena con un gesto simbolico, che resterà per sempre il suo biglietto da visita: prendere tra le mani un pezzo di pane, spezzarlo e distribuirlo. Si è identificato in questo dinamismo di condivisione.
Spezzare il pane significa quindi fare e creare fraternità, dare spazio all’umano e stare dalla parte della vita. Tutti ne hanno diritto, poveri e ricchi. Anzi, se il pane non raggiungesse i poveri, sarebbero loro stessi ad andare verso il pane. E quanta povertà di vita c’è in chi non sa condividerlo.
Condividere il pane è condividere la vita
Il cibo mangiato insieme è inseparabile dallo scambio di sguardi, di gesti e di esperienze: condividere il pane è condividere la vita. Se rimaniamo chiusi in noi stessi, regrediamo allo stadio infantile, non abbiamo il coraggio di crescere, se non apprendiamo la grammatica del dono e della relazione, la nostra vita è un piatto che non ha sapore.
Il miracolo del pane, in fondo, è proprio questo: ritrovare il gusto di una fraternità che significa raduno, ‘con-vocazione’, tenerezza e cura verso le persone che ci abitano accanto. Miracolosa allora è la quotidianità.
(I Percorsi di San Francesco)