Il “Culto del Cargo”. Ovvero storie incredibili di modernità e aborigeni
ROMA – Della serie “nun se po’ mai sta’ tranquilli” voglio proporvi una religione che ha attecchito in diverse parti del mondo e conosciuta come “IL CULTO DEL CARGO”.
Di che Cargo parliamo? Cargo è qualsiasi mezzo di grandi dimensioni destinato esclusivamente al trasporto di merci. Che c’entra con la religione? Ora ve lo spiego.
Durante la Seconda Guerra Mondiale i soldati americani e giapponesi crearono basi su numerose isole del Pacifico. Dopo averle raggiunte con le navi e creato questi centri di raccolta in mezzo all’oceano, iniziarono a trasportare per via aerea enormi quantità di materiali che comprendevano cibi in scatola, tende, armi e medicinali.
Insomma ci scaricavano tutto il vettovagliamento e le attrezzature necessarie per fare la loro brava guerra. Siccome gli aerei dovevano pur fermarsi da qualche parte, disboscarono parzialmente la fitta vegetazione e costruirono piste d’atterraggio. Ponti aerei rifornivano i soldati. Arrivava l’aereo, scaricava la sua roba e “puff” se ne volava via.
Uno dei luoghi dove più a lungo si combatté era la grande isola della Nuova Guinea. Dopo la fine della guerra, nel 1946, alcuni soldati australiani saltando di palma in frasca fecero una scoperta che aveva dell’incredibile. Gli abitanti avevano costruito, con canne di bambù, legno e erba, delle rozze riproduzioni di aerei da trasporto e di piste di atterraggio. Attorno alle “piste” gli indigeni avevano messo dei fuochi per simulare le luci di atterraggio. Una capanna riprendeva la forma delle torri di controllo, con tanto di canne poste sul tetto a imitazione delle antenne; in essa ci si metteva un indigeno con una cuffia fatta di legno e noci di cocco. Il suo compito era di comunicare con gli spiriti degli antenati tramite un “microfono”, costituito da un barattolo collegato con un filo ad un oggetto in legno somigliante, nelle intenzioni, ad una radio. Pensate quali danni psicologici queste presenze avevano prodotto negli indigeni colà residenti, i quali, da bravi indigeni, per l’appunto, non capivano cosa diavolo fossero quelle cose volanti e tanto meno il livello tecnologico di quello che veniva scaricato. L’indigeno sbirciava e poi scappava via con le mani nei capelli gridando ripetitivamente la frase “A’ magia, mamma mia!!”
Questi poveri isolani si videro spuntare dal mare gente tutta bardata con strane cose addosso. Questi pezzi di Marcantonio scendevano da imbarcazioni grandi come villaggi e arrivavano anche dal cielo nella pancia di “uccelli d’argento”. Tanti confrontando le proprie piroghe con le navi arrivate, “pù!” ci sputavano sopra con disprezzo, le abbandonavano lì e si inoltravano nella foresta giurando di non usarle mai più. I nativi etichettarono la strana gente arrivata come un popolo sacro. Passata la paura gli autoctoni si dissero:”Però mica è andata male con questi dei”. In effetti ricavarono notevoli vantaggi da quella presenza dato che i soldati di solito gli regalavano cibo e oggetti vari.
Finita la guerra, chi s’è visto s’è visto, i militari se ne andarono e la “roba buona” finì. Siccome i nativi credevano che cibo e materiali fossero stati mandati per loro da un’entità divina, cominciarono a inventare riti e pratiche religiose per far tornare il popolo sacro e ottenere ancora roba. In cosa consistevano queste pratiche sacre? Intanto cominciarono a costruire aerei ed attrezzature di paglia che imitavano nella forma e nelle dimensioni quelli su cui viaggiava e operava il “popolo sacro”. Successivamente che pensarono? Cominciarono a mimare il comportamento dei soldati impiegati nelle basi.
Questa faccenda prende il nome di “Culto del Cargo” ed è stato osservato tutte le volte che tribù indigene e uomini più progrediti entrano in contatto. Quando Cortes e i suoi uomini arrivarono in quello che ora è il Messico, alla conquista dei territori e delle ricchezze del Nuovo Mondo, furono creduti esseri sacri e pure loro fecero doni agli indigeni: sifilide, salmonella e pure la Santa Inquisizione. Dopo un po’ non furono più considerati così “sacri”
Tornando a tempi più recenti, culti simili sono stati osservati anche prima della Seconda Guerra Mondiale in Nuova Guinea e Micronesia tra il 1800 e il 1900 in seguito al contatto tra gruppi indigeni e i colonizzatori europei. Uno dei primi casi ben documenti di “culto del cargo” è avvenuto nelle isole della Malanesia alla fine del 1800. La reazione di questi popoli fu quella di tirare fuori non solo una nuova religione ma di diventare mezzi matti: la loro ossessione erano le merci che le navi mercantili scaricavano sulle isole. ‘Sta povera gente pensò che quelle ricchezze gliele avessero inviate i loro antenati e arrivarono perfino ad abbandonare ogni tipo di attività per dedicarsi alla preghiera e all’attesa di nuove consegne. In Papua Nuova Guinea divennero talmente matti che in un caso soprannominato “la pazzia di Vailala”, i nativi lasciarono andare in rovina le loro coltivazioni, i loro allevamenti e bruciarono le proprie case di paglia per occuparsi unicamente della preghiera e dell’attesa del cargo. Oddio non vi meravigliate di queste reazioni, i cattolici sempre per motivi religiosi, misero su otto crociate, inventarono la Santa Inquisizione e con quella torturarono e mandarono al rogo negli autodafè gente in odore di eresia. Pensate a Salem e a quante donne furono arse vive perché considerate streghe. Ci crederete? Arrivati ai nostri tempi, nell’isola di Tanna in Oceania, nel piccolo stato del Vanuatu, è ancora celebrato il Culto di John Frumm che è una religione a tutti gli effetti e che vede nel tizio il figlio di Dio.
John Frum. chi era costui? Questo tale sembra sia stato un soldato americano che faceva parte di un contingente di 300.000 militari di stanza nelle Nuove Ebridi. Reale o meno, era, per gli abitanti di Tanna, il messia destinato a fare ritorno sull’isola, portando prosperità grazie a generose quantità di beni e merci. Frum era un dio che faceva giustizia sulla Terra ridistribuendo agli schiavi i frutti del loro lavoro, sottraendoli ai ricchi colonizzatori. Insomma un misto di più religioni, tant’è che avevano adottato pure la Croce.
Nel dopoguerra il Culto di John Frum unì i movimenti di indipendenza degli indigeni che non volevano più fornire manodopera ai bianchi. Questi ultimi erano considerati i responsabili della loro miseria (non so se avevano proprio torto…). I governi colonialisti provarono a ridurli a più miti consigli ma senza successo. Inutile dire che John Frum non si vide mai a Tanna e gli isolani, dal canto loro, rifiutarono di tornare alle vecchie abitudini e alle missioni cristiane. Nel 1957 il Culto di John Frum piacque talmente tanto che venne riconosciuto ufficialmente: oggi c’è, da quelle parti, il John Frum Day, durante il quale sono celebrati rituali ispirati alle manovre che fanno i reparti militari americani. Cosa combinano in questo fausto giorno i seguaci del culto? Si riuniscono tutti attorno allo spiazzo dove John Frum dovrebbe fare rientro prima o poi e sfilano in blue jeans imbracciando pezzi di legno come fucili e a torso nudo, con la scritta Usa dipinta sul petto. I capi del villaggio indossano divise militari e spille che li rendono simili a veterani della Seconda Guerra Mondiale.
Mi rendo ora conto che continuando con queste storie arrivare a Ufo, marziani e visitatori alieni il passo è breve quindi mi fermo subito e vi saluto .