Il disastro carceri, Cuneo e la “Santa inquisizione”



Roma- Quello che è accaduto a Cuneo ha davvero dell’incredibile se si pensa al fatto che nel 2024 possa essere ancora possibile che accada ciò che mai in una società emancipata dai metodi antichi dovrebbe permettere che succeda.


Capita però, guardando anche ciò che è accaduto ad Avellino, che un luogo deputato a rappresentare un simbolo della rieducazione e del reinserimento si presenti piu’ come luogo di perdizione che come sede di cancellazione del proprio io criminale.
Non me ne voglia Cesare Bonesana, meglio conosciuto come il Beccaria, perché se si dovesse andare avanti di questo passo il suo sogno di vedere il carcere fuori dalla “clausura sociale” non crediamo possa essere considerato tirato fuori dal cassetto.
Eppure sembrava tutto essere stato impostato bene dai suoi posteri.
Una Costituzione che racconta di umanizzazione della pena, un Ordinamento Penitenziario che si presenta davvero come un’opera d’arte amministrativa e un Regolamento di Esecuzione che dovrebbe essere quello nuovo ma che vecchio già di 24 anni trova clamorosamente ancora inattuate finanche le cose più elementari quali possono essere le docce e l’acqua in camera di pernottamento.


Si doveva col passare degli anni far crescere un sistema impiantato sull’esempio, ovvero sull’affidabilità contornata così come dovrebbe essere dal velo protettivo della sicurezza.
Di tutto questo quasi il nulla si è materializzato e se proprio dovessimo ricercare un segno + da affibbiare all’etichetta penitenziaria italiana quello sinceramente lo ritroveremmo cucito addosso al fenomeno del sovraffollamento carcerario fatto di 15 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e ai 15 anni in più di carcere che un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria è chiamato a praticare rispetto a chi lo ha preceduto fino a trent’anni fa.
Il resto è uno stillicidio di collassi propositivi.
Rivolte, aggressioni al personale, risse tra detenuti, posti di servizio scoperti e sorrisi spenti rappresentano il volto nuovo delle carceri italiane.
Quello che osserviamo è un continuo peggioramento delle condizioni esistenziali e di lavoro di tutti coloro i quali hanno deciso nel bene e nel male di entrare a fare parte di questo universo.


Il tutto aggravato, così come riportato da più sindacati, da turni massacranti che sfibrano i poliziotti penitenziari, da continue inchieste giudiziarie e dal rischio costante di evasioni.
Cosa dire poi della decisione adottata di inviare ispezioni seminando in questa maniera, neanche fosse “la Santa inquisizione” (come simpaticamente , ma neanche tanto, ha voluto etichettare qualcuno) il terrore tra chi lavora sul fronte con tanto di procedimenti disciplinari del tutto pretestuosi? Atteggiamenti definitivi “disumani” da chi li ha subiti e che più che aiutare a risolverlo il problema lo hanno visto acuire con l’umiliante atteggiamento da loro utilizzato.
Singolare è l’affermazione fatta da una sigla sindacale quando dice che i poliziotti penitenziari si trovano schiacciati in una morsa letale: da un lato la violenza dei detenuti, dall’altro una persecuzione amministrativa che li carica di responsabilità sempre più gravose.
Intanto però sono sempre meno quelli che rinunciano a questo lavoro seppur i concorsi pullulano di numerosi aspiranti.


Ecco, questo è uno dei nuovi modi di vedere il lavoro in carcere: sperimentarne le difficoltà e “scappare” a trovarne un altro di mestiere!
D’altronde cosa si può pretendere da un mondo che a 18.000 poliziotti fa da contraltare 15.000 detenuti in più? Abbiamo appreso della nomina di Ernesto Paolillo (di Biella, ora pm a Pesaro) a capo della Direzione Generale Detenuti e Trattamento. Nell’augurargli buon lavoro gli rivolgiamo l’invito a trasferire con più celerità ed equità i detenuti più riottosi.
Non sappiamo infine cosa il futuro possa riservare al mondo Penitenziario italiano.
Certo è che non c’è più nero in natura del buio della notte o forse si: le carceri italiane!

Il Vice Segretario Generale SPP Nardella