Josè Borjes. Storia di un generale catalano che diventò un celebre brigante
TAGLIACOZZO- “Abbiamo marciato assai, e vinti dalla fatica facciamo alto..” queste furono le ultime parole scritte dal generale catalano Josè Borjes il 30 novembre del 1861 a pochi giorni dalla sua cattura e fucilazione avvenuta l’8 dicembre del medesimo anno nei pressi di Tagliacozzo.
Una figura interessante quella del gen. Borjes una sorta di eroe romantico post unitario che visse, in prima persona, anche una sorta di diffidenza verso lo “straniero” anche tra coloro che stava aiutando. Ma chi era questo generale spagnolo? Quest’oggi vi racconteremo la sua storia.
“Uno dei più rinomati cabecillas delle guerre carliste, coraggioso, esperto di guerra, sincero e devoto uomo” così il nostro conterraneo Benedetto Croce descriveva il gen. Borjes: effettivamente la sua fu una famiglia davvero intrisa di valori militari e di fede cattolica. Nato in Catalogna a Vernet precisamente, Josè subito prese i contatti con il mondo militare: Antonio suo padre fu ufficiale dell’esercito spagnolo che partecipò attivamente ai conflitti antinapoleonici e venne nel 1836 – in piena Prima Guerra Carlista- fu fucilato.
Ammiratore di Giulio Cesare, Josè Borjes studiò e si formò presso l’accademia militare di Lleida e successivamente si arruolò nelle milizie carliste di Don Carlos (Carlo Maria Isidoro di Borbone-Spagna, infante di Spagna).
A seguito della disfatta delle milizie carliste, il Borjes scappò in Francia e qui sbarcò il lunario in molti modi: divenne precettore, rilegatore e perfino commerciante di vini.
Tornato in Spagna, dopo brevi azioni militari, nel 1860 si recò a Roma per dar una mano alle forze dello Stato Pontificio, ma quest’ultimi rifiutarono. Deluso dal fatto, Josè tornò in Francia e qui fu contattato dalle autorità del governo borbonico: Borjes, affascinato dalla proposta, accettò l’incarico.
E qui il gen. Borjes fece un po’ come il Garibaldi però, invece di sbarcare a Marsala, sbarcò – tra il 13 e il 14 settembre del 1861- a Brancaleone in Calabria non con 1000 uomini, bensì solo con 20.
Ovviamente il generale spagnolo si aspettava un’accoglienza festosa, ne restò assai deluso! Trovò solo una ventina di contadini che si unirono a lui. Nonostante questa iniziale delusione il generale penetrò all’interno del territorio calabrese; nei pressi di Regio Calabria si scontrò con un plotone della Guardia Nazionale mettendolo in fuga.
Agli inizi d’ottobre il generale si unì con il brigante Mittiga (ex ufficiale dell’esercito borbonico) ed i suoi 120 uomini, ma respinto dal regio esercito italiano a Platì le strade dei due ufficiali si separarono.
La sua permanenza in Calabria non fu facile! Il gen. Borjes, dopo tre scontri con l’esercito italiano e le aggressioni inflitte dalle locali popolazioni, decise di scappare in Basilicata.
Qui, il 22 ottobre, incontrò il celebre brigante Carmine Crocco: tra i due non correva buon sangue, erano entrambi uomini carismatici ma alla fine si creò questo sodalizio. I due decisero di marciare verso Potenza (roccaforte tenuta saldamente dall’esercito italiano) con 1.200 uomini e attaccare in novembre.
Dopo iniziali vittorie e qualche rappresaglia, le cose per il duo Brojes-Cracco non andarono bene anzi.. la rivolta che doveva scoppiare a Potenza non si avverò e questo permise al regio esercito italiano di potersi rafforzare. Cracco stanco dei frequenti scontri con l’esercito italiano, decise di ritirarsi verso i boschi di Monticchio (Potenza) e dopo una riunione con il suo staff decise di abbandonare il generale spagnolo.
Borjes, deluso dal comportamento del brigante Cracco, decise con i suoi 22 uomini di marciare verso Roma per informare Francesco II (ex re di Napoli) di ciò che è accaduto in Lucania. Marciò come un matto, inseguito dai reparti italiani. L’8 dicembre si fermò nel podere Mastroddi nei pressi di Tagliacozzo: un contadino informò il maggiore Enrico Franchini del regio esercito italiano che accorse con trenta uomini.
Da buon ufficiale Borjes consegnò la spada al maggiore Franchini e dopo aver chiesto un sacerdote per la confessione di lui e dei suoi uomini fu fucilato.
I corpi vennero buttati in una fossa comune, solo successivamente, per ordine del gen. Alfonso La Marmora i corpi vennero riesumati e portati a Roma ove ricevettero onori militari e solenni funerali.
La morte del generale spagnolo suscitò non pochi grattacapi per il neonato regno d’Italia.
Il celebre scrittore francese Victor Hugo, benché ammiratori degli ideali risorgimentali (anche italiani), accusò il neonato Regno d’Italia per la sorte toccata al generale. L’archeologo francese Lenormant affermò che l’uccisione del gen. Borjes fu una grande macchia sanguinosa per il governo italiano.
Nel 1966, nei pressi della Cascina Mastroddi (Tagliacozzo) venne eretta una targa in ricordo del gen. Borjes e dei suoi uomini. Infine, nel 2003, la targa venne sostituita con una più consona dove c’è scritto: “In questo remoto casolare l’8 dicembre 1861, s’infranse l’illusione del gen. José Borges e dei suoi compagni di restituire a Francesco II il Regno delle due Sicilie.
Catturati da soldati italiani e guardie nazionali di Sante Marie al comando di Enrico Franchini furono fucilati lo stesso giorno a Tagliacozzo. Riposino in pace”.
La storia del gen. Borjes, in qualche modo, ci deve far comprendere che è necessario rivedere, rivalutare e soprattutto studiare ciò che è stato il periodo storico dell’Unità d’Italia.