“Katakombenheilige” ovvero la sconosciuta storia di poveri scheletri ingioiellati ed esposti come reliquie
ROMA – Cosa sono le Katakombenheilige? Sono una invenzione di quel gioioso popolo che è quello tedesco. È cosa risaputa che i nostri teutoni amici hanno una certa predisposizione al triste, al macabro e per le cose tetre, eccetto nel periodo dell’Oktoberfest quando cercano di dimenticare sé stessi ubriacandosi. Non è nota ai molti l’ affettuosa, secolare, tradizione che li legava ai trapassati che amavano rivestire ed ingioiellare esponendoli al pubblico nelle pose più stravaganti, un po’ come fanno le bimbe con le Barbie o i bambini con G.I.Joe. Oddio non è che addobbassero come alberi di Natale proprio tutti i tutti i morti, ma solo quelli che ritenevano importanti… ed ecco il Katakombenheilige.
Tutti sanno cosa sono le catacombe: siccome ai cristiani era impedito di praticare la loro religione a Roma, ricorrevano a incontri segreti in tunnel sotterranei detti catacombe per ricordare i propri defunti e pregare per loro. Questi luoghi sacri erano cimitero, luogo di culto e rifugio allo stesso tempo.
Nel XVI secolo, qualcuno decise di scavare alcuni di questi antichi tunnel sotterranei e le reliquie contenute, riesumate. Le salme che vennero trovate furono attribuite a martiri morti durante la persecuzione del periodo in cui la religione cristiana era proibita. Non si sa perché, molti dei resti di quei primi cristiani vennero inviati nell’Europa settentrionale, dove i cattolici subivano l’oppressione del neonato movimento protestante e non gli pareva vero di ostentare queste reliquie.
La cosa piacque a tal punto che monaci e suore decisero di ornare le “ossa sacre” con splendidi tessuti, oro e pietre preziose. Nacque, così, una specie di moda dalla quale originò l’inquietante raccolta di “sante reliquie ingioiellate” diffuse nelle chiese e nei monasteri delle attuali Germania, Austria e Svizzera. Ogni chiesa cattolica nella Germania meridionale esponeva con orgoglio uno scheletro riccamente decorato per ergersi contro l’oppressione protestante.
Nel 1578 venne scoperta un’imponente nuova catacomba nel sottosuolo di Roma e tutti a far la corsa al morto. Se trovavano uno scheletro con la pur piccola, presunta, offesa fisica, era consacrato e se proprio non c’era un minimo segno. entravano in campo dei preti “speciali” col dono di parlare coi morti in modo da avere notizie sul passato dello scheletro. Pare che papa Gregorio XVI fu molto incuriosito da questi preti e ne studiò il rituale cercando di metterlo in atto unitamente a una preghiera allo Spirito Santo. Quello che fu il risultato non è dato a sapersi.
Una volta che avevano riesumati, benedetti e consacrati i cadaveri, che ci facevano con i loro scheletri? Li riempivano di gioielli, li adornavano con vesti sontuose e poi li mandavano nelle poche chiese papali rimaste in Germania, dove la popolazione, in nome del Protestantesimo, aveva distrutto buona parte delle reliquie dei Santi. Tutta questa storia del rivestire i morti diede un po’ alla testa a tutti e per far fronte alla richiesta di reliquie sempre crescente, una commissione pontificia fissò dei criteri un po’ arbitrari per distinguere i martiri dagli altri sepolti delle catacombe. Venne pure formato un corpo ufficiale di “trovatori”, sotto la direzione di un Custode delle Sante Reliquie e dei Cimiteri. Pensate che Tra il 1700 e il 1800 la venerazione di questi corpi santi era tale che ancora oggi è impossibile contare quante migliaia di salme siano state riesumate dalle catacombe. Erano state organizzate una sorta di “fabbriche dei martiri”: I corpi erano portati in laboratori specializzati all’interno di conservatori o conventi femminili per essere ricomposti, alcune volte li ricoprivano di cera per “aggiustarli”. Capitava, però, riassemblavano lo scheletro senza avere alcuna conoscenza anatomica per cui saltavano fuori cadaveri curiosi, come nel caso di un “sant’Ovidio” fatto arrivare in un convento cappuccino a Place Vendome, con due piedi sinistri. Inutile dire che una cosa così particolare e macabra dava origine a storie o superstizioni:
Uno dei preparatori dei Corpi Santi più famoso si chiamava Adalbart Eder, frate cistercense, un vero e proprio artista della lavorazione dell’oro e delle pietre preziose destinate ai cadaveri. Si racconta che dopo una mattina d’intenso lavoro dovendo terminare uno scheletro non sapeva proprio che posa dare al martire. Eh si perché quelle povere ossa, non solo erano rivestite di abiti preziosi e di gemme, ma li mettevano pure nelle pose più strambe!
Torniamo al nostro amico Eder. Non gli veniva manco una ideuzza e allora cosa fece? Chiese direttamente allo scheletro quale fosse la posa a lui più congeniale, poi se ne andò a pranzo. Tornato nel pomeriggio vide qualcosa che lo colpì profondamente: lo scheletro nella teca si era messo in posa da solo. Lo spirito del defunto l’aveva ascoltato.
Non so cosa ci sia di santo o rispettoso nell’ornare cimiteri con le ossa dei frati sepolti facendone lampadari e decorazioni come nel cimitero del Convento dei Cappuccini a Roma oppure mettere santi e martiri in pose grottesche, seppure ingioiellati e rivestiti di abiti sontuosi, come è stato nella metà dell’Europa settentrionale, Germania in prima linea. Secondo il teologo don Silvano Sirboni: “Tutto il culto liturgico è fondato sulla materialità del corpo. Senza la “materia” non esiste alcun sacramento. Le reliquie non sono sacramenti, ma semplici elementi materiali che, nel rispetto delle dinamiche proprie all’umana natura, ci permettono di ravvivare il ricordo e di sentire vicina una persona che si è allontanata dai nostri occhi. Un ricordo che, per la fede nella comunione dei santi, supera la semplice dimensione psicologica per diventare uno strumento di effettiva comunione con la realtà invisibile.” Applicare questa teoria ai Katakombenheilige mi pare un po’ un arrampicarsi sugli specchi, tant’è che a metà del XIX secolo la stessa Congregazione dei riti era solita negare la concessione di feste, offici e Messe in onore di corpi santi, anche quando autenticati da alti esponenti del clero.
A proposito di “macabro religioso” consentitemi una digressione: sull’isola di Ischia c’era un convento di monache Clarisse con un Cimitero annesso, entrambi visitabili. In questo cimitero, luogo unico nel suo genere e macabro d’un macabro folle c’era un posto strano: : lo scolatoio! A cosa serviva? Le monache defunte non erano sepolte ma messe in posizione seduta, su sedili di pietra dotati di un buco con sotto un vaso d’argilla. Si chiamavano “scolatoi” (chiamati anche cantarelle in area campana) e servivano a liberare ed essiccare le ossa tramite il deflusso dei liquidi cadaverici e talvolta a far raggiungere, se possibile, una parziale mummificazione al corpo, prima di dargli sepoltura. Fin qui tutto “quasi” normale ma… ogni giorno le suore vive si dovevano recare a far visita alle consorelle defunte perché la vista dei corpi mentre si decomponevano doveva servire loro per meditare sulla fragilità della carne e sulla pochezza della vita terrena!
Non voglio puntare il dito contro certe pratiche religiose, ma quanto vi ho descritto sfocia, ritengo, nel macabro più irriguardoso dove dei poveri scheletri erano usati come fantocci. Ogni buon credente, a quella vista, dovrebbe pregare l’anima del corpo esposto chiedendogli scusa per come era stato trattato! Al giorno d’oggi si sarebbe scatenato il putiferio se qualcuno avesse osato porre in una chiesa una simile blasfemia.
Non mi venite a parlare di reliquie o reliquiari: pensate che i corpi esposti nel cimitero dei cappuccini in Via Veneto a Roma, ridotti a lampadari o decorazioni siano il simbolo di una cultura religiosa che agisce nel rispetto dei morti? Ma nemmeno per sogno!
Non so perché le strade del cattolicesimo siano a volte rivestite di macabro, non lo capisco, vogliono essere i simboli del “memento mori”? Vogliono ricordarci a tutti i costi quel che siamo? Chi lo sa quali erano i pensieri che hanno spinto alla realizzazione di queste cose, di certo, a mio avviso, perdonatemi, forse un tantinello contorti. Un saluto a tutti!