La città di Sulmona incentra la bellezza poetica nel nome di Ovidio
SULMONA – Ci si potrà mai annoiare della ‘bellezza poetica’? Ebbene, con questa domanda interprete di quelle espressioni che puntano i fari sul mondo, ricamiamo messaggi annunciandone la forza di ciò che emotivamente può conquistare le nostre attenzioni.
Definendo la bellezza in una sorta di manifestazione sugli stati d’animo, possiamo stabilirne dei connubi armonici che, fondendosi tra loro, scivolano diretti nelle più intime vibrazioni del nostro sentire.
‘La bellezza poetica’ quindi, può essere motivata dalla nostra disponibilità di ascolto, poiché maggiore sarà la nostra attenzione e più incisiva sarà la visione di ogni meraviglia che avremo suggestivamente dinnanzi.
Nella graziosa città di Sulmona in quanto a ‘bellezza poetica’ se ne sente parlare spesso, poiché in questo avvolgente e prezioso luogo echeggia come una fiaba della poesia ammirevolmente pungente, melodiosa, contrastante e motivante sugli stati d’animo.
Tra le eccellenze di spicco, Publio Ovidio Nasone, (nato in loco il 20 marzo 43 a.C. e deceduto a Tomi il 17 o 18 d.C.); diede lustro alla città mediante le sue profonde scritture.
Seppur autore di molte opere illustrissime, tra cui citiamo le Metamorfosi e gli Amores, molti suoi capolavori sono andati persi dal tempo, mentre altre scritture sono state erroneamente attribuite al sommo poeta.
Tuttavia, grazie al suo valore narrante, la città lo ricorda sentitamente e, nella celebre piazza XX Settembre, una statua monumentale erge in predominanza scenica, figurante l’autore latino assorto nelle sue personali riflessioni.
L’opera in bronzo, elaborata dallo scultore romano Ettore Ferrari, è celebre come seconda produzione poiché la prima – compita sempre dallo stesso artista – è sita in Romania nella città di Costanza (l’antica Tomis dei romani), precisamente nella piazza Ovidio, dinnanzi al museo archeologico.
Realizzata a Costanza nel 1884 e a Sulmona nel 1925, è divenuta un’opera simbolo per l’elevato significato artistico-culturale.
Nella produzione scultorea, i procedimenti di esecuzione affiorano minuziosi incentrando il valore dei dettagli con rappresentazione realistica.
Attenzionando l’abito drappeggiato e morbido, nonché contrastante sulla posa composta del poeta, ne ammireremo la forza evocativa che, lo scultore Ettore Ferrari, è riuscito ad evidenziare.
Il volto, leggermente chinato in avanti e sorretto dal suo pugno sinistro mentre trattiene un prezioso pennino per le sue celebri scritture, profila dei tratti somatici equilibrati e al contempo decisi.
Tuttavia, anche nella mano destra, troviamo un elemento molto significativo, ossia un taccuino dove consolidare quelle riflessioni a lui care.
Osservando il basamento della statua, lavorato con carattere spartano su pietra, troviamo delle incisioni date dal deciso sentimento di Ovidio: “Sulmo mihi patria est – Sulmona è la mia patria” e “Pelignæ dicar gloria gentis ego – Io sarò chiamato gloria dalla gente peligna”.
Il poeta, nonostante il suo profondo amore per la sua patria, dall’ 8 d.C. condusse la sua vita in Romania poiché esiliato – per ordine diretto di Augusto – a causa di uno scandalo che lo coinvolse insieme ad altre illustre persone, sui riguardi di Giulia, nipote dello stesso Augusto e moglie di Lucio Emilio Paolo la quale, fu colpevole di adulterio.
Tuttavia, nonostante le richieste del poeta per tornare nella città natale, Augusto decise di non perdonare Ovidio poiché, in buona sostanza, coprì uno degli adulteri di sua nipote Giulia.
Egli morì quindi a Tomi e lasciò in memoria questi versi al fine di farli incidere sulla sua tomba: “Qui giaccio io, Ovidio Nasone poeta, cantore di delicati amori, che perii per il mio ingegno; non sia grave a te, che passi e hai amato, mormorare: le ossa di Ovidio riposino infine dolcemente”.
Ciò nonostante, poiché nessuno conosce il luogo esatto della sua tomba, l’artista Ettore Ferrari incise, in alternativa e simbolicamente, le parole del poeta sulla lastra di pietra appartenente alla scultura monumentale sita a Costanza, al fine di auspicare al sommo letterato latino quel dolce riposo tanto professato nella sua eterna scrittura.