La dura realtà del Congo, spiegata dal prof. Barone
Dalla situazione politica-militare (come nell’attentato Attanasio), alla situazione sanitaria presente e futura, visto anche l’incedere del Covid: di questo abbiamo parlato con il prof. Francesco Barone, uno dei massimi esperti sulla situazione africana. Questa la nostra intervista:
Prof. Barone quali sono le sue considerazioni in merito ai recenti e tragici episodi che si sono succeduti nella Repubblica Democratica del Congo?
La zona in cui il 22 febbraio scorso sono avvenuti gli omicidi dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista del Programma alimentare mondiale Mustapha Milambo è vicina alla città di Goma, per la precisione nella cittadina di Kanyamahoro. E’ un luogo in cui sono numerosi i gruppi armati che insanguinano la zona cercando di destabilizzare il più possibile un contesto già provato a causa di fame e povertà. E’ la stessa zona che gli antichi romani specificavano sulla cartina geografica con la scritta “Hic sunt leones” per indicare che li non si sapeva cosa si sarebbe potuto trovare, fatta eccezione le belve feroci. Il giovane ambasciatore italiano era molto stimato dalle popolazioni africane, aveva intuito che dal futuro dell’Africa dipendesse anche il destino dell’Europa. Come è noto, circa dieci giorno dopo, nella stessa zona, viene ucciso anche il magistrato William Mwilanya Asani che stava indagando sulla morte di Attanasio. Penso che siano gli ennesimi attacchi alla democrazia, alla pace, alla libertà. Ritengo sia doveroso, oltre che necessario che vi sia un impegno serio da parte dei Governi e degli Organismi Internazionali affinché si possa ristabilire un contesto in cui la giustizia non sia solamente un’utopia. In questo senso l’Europa giocherebbe un ruolo importantissimo, ricordando l’idea di Leopold Sedar Senghor, secondo il quale, risultava essere fondamentale un’alleanza Europa/Africa
per garantire un rinnovato equilibrio del mondo.
Il primo obiettivo dell’agenda 2020 è: Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo. Pensa sia possibile?
Nel mondo circa 850 milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà. La maggior parte delle persone che vive con meno di 1 dollaro al giorno vive nell’Asia meridionale e nell’Africa sub-sahariana. Gli indici di povertà stanno crescendo a causa dei conflitti e conseguentemente alla pandemia. Ormai, i livelli di estrema povertà riguardano anche i Paesi
che fino a un anno fa venivano considerati ricchi. L’obiettivo dell’Agenda 2020 è molto ambizioso, per realizzarlo servono interventi immediati e concreti. Secondo recenti studi, l’ammontare annuale per porre fine alla fame nel mondo è pari a 22 miliardi di euro. Purtroppo ci sono Paesi che annualmente stanziano cifre dieci volte superiori per spese militari. È del tutto evidente che le disuguaglianze rappresentino una minaccia per la stabilità sociale e politica. Le disuguaglianze, dunque, mettono a repentaglio il conseguimento degli obiettivi economici di ampio respiro proposti dall’Open Working Group (OWG) on Sustainable Development Goals dell’Assemblea Generale, tra i quali figurano l’eradicazione della povertà, la valorizzazione della dignità del lavoro e la modernizzazione delle strutture economiche. Basta essere un po’ realisti per ammettere che oggi, il diritto meno garantito è il diritto alla vita. Porre l’accento su questo aspetto, significa richiamare l’attenzione e assumere responsabilità di fronte alle numerose forme di disuguaglianze e vulnerabilità. Bisogna avere consapevolezza che in alcune parti del pianeta, gli esseri umani non sono persone e viceversa. In questo mondo precario assistiamo quotidianamente a un disagio economico e sociale, caratterizzato da incertezze esistenziali. Stiamo diventando testimoni consapevoli, troppe volte muti, di una crescente e dilagante prevaricazione sotto ogni fronte. Se si continuerà di questo passo l’obiettivo 2030 dovrà essere spostato nel 20030.
A suo parere quali sono le cause dell’attuale condizione dell’Africa e quali i possibili interventi?
Come è noto, da secoli l’Africa è stato un continente appetibile. Pochi fenomeni della storia moderna e contemporanea sono stati gravati da un malessere etico-intellettuale come quello della schiavitù africana. La brutalizzazione delle condizioni dell’uomo e l’affermazione sempre maggiore di nuovi modelli socio-economici che considerano le persone come merce di scambio sono davanti agli occhi di tutti. Nella Repubblica Democratica del Congo, dove ci sono risorse minerarie che varrebbero 25 trilioni di dollari e dove, le multinazionali svolgono un ruolo determinante nell’acquisizione di tali ricchezze. I soldi di diversi Paesi stanno trasformando il paesaggio di molte capitali africane, in un make-up che rispecchia anche all’esterno un cambiamento radicato nel tessuto economico. Cibo, acqua, istruzione, garanzia dei diritti, salute, sono le parole chiave per favorire lo sviluppo di un continente per troppi secoli sfruttato e per consentire alle persone di vivere in condizioni umane e dignitose. La globalizzazione ha contribuito a peggiorare la situazione già molto esplosiva in Africa : la diffusione e l’uso delle armi, le violenze nei confronti delle donne e dei bambini, il tentativo di accaparrarsi le risorse quali, coltan, oro e cobalto. Da qui scaturisce il fenomeno riguardante i flussi migratori. Se la vita è degradata per fame e miseria, non c’è da stupirsi che un essere umano provi a sfidare il destino per andare a vivere da ex colonizzato in un paese di ex colonizzatori. Questa nostra società è caratterizzata da profonde ingiustizie e disuguaglianze che influenzano le opportunità iniziali della vita, perciò quando si fa riferimento alle nozioni di valore e di merito, le ingiustizie e le disuguaglianze non possono meritare alcuna giustificazione. Un individuo che entra in “territorio straniero”, con la finalità di andare a migliorare la propria condizione, fuggendo da guerre, violenze, fame, malattie, ha il pieno diritto di farlo. E se non abbiamo la sensibilità e la volontà di aiutarlo, dobbiamo renderci consapevoli che non abbiamo il diritto di negargli di aiutarsi da solo. Dobbiamo ammettere che ci chiniamo dinanzi all’Africa come di solito si fa con un malato steso in un letto a cui chiediamo solo della sua malattia. Poi, dopo esserci emozionati e commossi, a fine visita, ce ne andiamo e tutto torna come prima. Allora servono interventi concreti e non più dichiarazioni di intenti: cibo, acqua, istruzione, garanzia dei diritti, salute, lotta alla corruzione, sono le parole chiave per favorire lo sviluppo di un continente per troppi secoli sfruttato e per consentire alle persone di vivere in condizioni umane e dignitose.
L’Africa, come altre realtà povere dovrebbe rientrare nel piano Covax della WHO per i vaccini contro questa pandemia. Potrebbe essere un primo passo significativo per implementare, anche in futuro, l’apporto di farmaci per tali realtà?
Nell’ambito del programma Covax, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pianificato la distribuzione di circa 240 milioni di dosi di vaccino da distribuire ai Paesi più poveri del mondo entro la fine di maggio 2021, mentre entro la fine dello stesso anno, ha come obiettivo quello di consegnarne almeno altri 2 miliardi. Se cosi fosse non si potrebbe non esprimere un giudizio totalmente positivo. La difficoltà di accesso ai farmaci, unitamente alla malnutrizione di massa, alla precarietà igienica, alla presenza di conflitti e al basso livello di istruzione rappresentano i fattori che determinano tristi scenari nei Paesi in via di sviluppo. I farmaci essenziali, secondo la definizione dell’OMS, sono quelli che soddisfano le necessità prioritarie per la cura della salute di una popolazione e, dunque, devono essere disponibili in quantità adeguate e a prezzi che sia l’individuo che la comunità possano sostenere. Se la sfida della disponibilità dei farmaci essenziali per tutti i cittadini del pianeta è stata lanciata, bisogna ammettere che si sta disattendendo fortemente questo obiettivo, ampliando, il divario nell’accesso alle cure tra Paesi disagiati e Paesi industrializzati. Come è noto, una varietà infinita di malattie prevenibili e curabili colpiscono milioni di persone che vivono nei Paesi poveri. E’ opportuno rilevare, in tal senso, che chi vive con meno di un dollaro al giorno non può permettersi neanche l’acquisto di una scatola di medicine di base. Questo significa che nel mondo, una persona su tre non può accedere ai farmaci essenziali.
In questi ultimi mesi ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Per lei rappresentano un punto di arrivo o di partenza?
I riconoscimenti che ho ricevuto sono il risultato di tanti anni di attività umanitarie. Rappresentano anche la stima nei confronti di numerose persone che mi hanno aiutato e che hanno agito per la diffusione dei valori della pace e dei diritti umani. Per me rappresentano la spinta per continuare, per portare avanti le azioni a favore di chi vive in condizioni di sofferenza e di vulnerabilità. Nonostante sia stato impossibilitato a tornare in Congo, i nostri interventi non si sono fermati. Abbiamo continuato a inviare il necessario per soddisfare le esigenze dei bambini e delle famiglie povere. Ma vorrei sottolineare che le nostre azioni hanno riguardato anche numerose famiglie italiane, le quali, a causa del periodo di pandemia stanno vivendo momenti davvero difficili dal punto di vista economico e sociale.