La musica “Country”. Note che parlano di campagna, di dannati e dannazioni, di cavalli, tradizioni e della nascita del “Blues”
Da un po’ di tempo ruminavo l’idea di trattare un tipo di musica statunitense conosciuta col nome di “country”. Di cosa si tratta? È un genere folkloristico che si è molto evoluto negli anni. Il termine stesso in italiano suonerebbe come “campagnolo”, un po’ il corrispettivo che so… del saltarello.
A seconda dello stato degli Usa, la musica ha forme e strumenti musicali diversi. Ad esempio in Lousiana, che è una nazione francofona, il country è spesso eseguito in lingua francese privilegiando strumenti musicali quali la fisarmonica e il violino; in Tennessee, tra un sorso e l’altro di Whisky, si avvale anche del banjo e di una tecnica strumentale estremamente veloce, insomma si spellano letteralmente le dita sul banjo e la chitarra. Ricordate il film “Un tranquillo week end di paura” quando il protagonista duetta con il banjo di un ragazzo in una stazione di servizio? Ecco quello è un esempio. Questo tipo di musica assume anche il nome di bluegrass. Perché? Fu preso direttamente dal nome della band di tale Monroe, perfettamente sconosciuto a noi italiani, i “Blue Grass Boys”.
Dicevo della Lousiana, lì il genere si chiama Cajun, così come la cucina locale e deriva dai discendenti dei canadesi francofoni espulsi dal Canada a causa del trattato di Parigi; siccome parlano un particolare tipo di francese, il cajun, appunto, ecco là che cibo e musica hanno preso quel nome. L’abitante medio della Louisiana vive in mezzo alle paludi che chiama Bayou, aspetta il sabato sera per divertirsi e inciuccarsi perché, per dirla con Schopenhauer, l’unico modo per liberarsi dalla depressione cosmica è essere ubriachi. Quando ha fame si abboffa di gamberetti, gumbo e jambalaya, tutti piatti tipici del posto e ascolta musica cajun applaudendo Doug Kershaw che suona il violino sgambettando come un ossesso anche se ormai ha superato i duecento anni.
Il genere Country ha assunto in alcuni casi la dizione Country & Western ed è associato ai cowboy che si stravaccano nei saloon o agli operai che se ne vanno la sera a bere una birra in appositi locali stile “Urban Cowboy”.
Che poi il cowboy sarebbe un mandriano e questo mi rimanda ad un aneddoto tutto nostrano. Buffalo Bill venne in Italia assieme al suo spettacolo “Wild West Show”. Per farla breve ebbe una discussione con il duca Onorato Caetani e gli venne la malsana idea di sfidare i butteri del posto a sellare e cavalcare alcuni puledri americani, senza essere sbalzati dalla sella. La sfida si svolse a Roma, nella zona che diventerà Piazza del Risorgimento. I butteri erano capitanati da Augusto Imperiali. detto “Augustarello” e vinsero a man bassa. Insomma il grande Buffalo Bill rimediò una figuraccia perdendo contro Augustarello e che ce volete fa’? Inutile dire che il cowboy nostrano divenne famoso come un eroe e a Cisterna di Latina, sua città, gli fu dedicata una scuola elementare e una statua.
Tornando alla musica country, negi Stati Uniti, se la nominate le persone storcono il naso, un po’ come da noi con le canzoni neomelodiche.
In questo genere musicale americano, cuore fa sempre rima con amore e così l’esaltazione dei sentimenti come in “Stand by your man” (ricordate la versione ironica nel film “Blues Brothers”?) e la nostalgia delle vecchie cose d’un tempo passato. Non esiste una sola corrente musicale in questo genere musicale ma molteplici e ognuna con la sua fisionomia. Nel termine “country” confluiscono sia i canti dei cowboys sia il “bluegrass” e i suoi “fiddles” (violini), il “western swing” come l’ “honky-tonk”, il country-gospel e il rockabilly degli anni ’50 o il country “solo strumentale”, la “old country dance” e la “new country dance”
Eppure dalla musica country, spesso negletta o relegata a genere di second’ordine ha originato il tanto decantato blues. Chi scrive è appassionato di entrambi i generi. Non ve ne frega niente? Vabbè ormai l’ho detto. Sebbene per anni le orecchie della gente sono state tempestate dalle iconografiche canzoni del cowboy stanco e solitario al punto da odiarne il genere, esistono tuttora milioni di estimatori e centinaia di cantanti famosi da Hank Williams a Tammy Wynette per giungere ad Alan Jackson (mai sentiti vero?). Un pregio, il genere, però ce l’ha: il ballo. Si balla nei più svariati modi, dal Walzer al Fox Trot, ma soprattutto in gruppo nella forma di Line dance.
Trovo i balli di gruppo country piuttosto interessanti. Intanto assolvono ad una funzione sociale ed è quella di riunire persone di tutti i ceti, di scaricare la tensione accumulata e poi hanno anche una loro eleganza nelle movenze. Non sorridete perché anche da noi s’è fatta la Line Dance e si chiamava Hully Gully abbastanza simile anche nei passi.
Al nostro tempo, il genere si è evoluto: è diventato elettrificato e infine ha iniziato a “rockeggiare”. Da questo momento in poi la musica cambia totalmente; sulla scena Usa appaiono personaggi come Alan Jackson, George Paiste, Brad Paisley , Brooks & Dunn. Tutta gente da milioni di dollari. I prodotti non sono malvagi anche se non eccelsi ed assolvono alla loro funzione di musica semplice, diretta e divertente e questo è quello per cui il country è nato. Siccome tendenzialmente sono strano, ho seguito questo genere dal 1920 ad oggi e l’ho sempre trovato piacevole.
Ho accennato precedentemente al blues; ebbene discende proprio da questa musica “paesana” e precisamente da quella originaria della Lousiana. La storia è lunga e difficile da narrare in poche righe: proverò a fornire un piccolo accenno. Quando la comunità cajun stanziò lungo le rive del Mississipi, in particolare nella zona del delta del fiume, esprimevano la loro quotidianità attraverso musica popolare, suonandola con quel che capitava, dalle forchette usate a coppia come nacchere, marcando il tempo dei brani con delle potenti soffiate dentro al collo di un bottiglione da whisky pieno a metà d’acqua provocando così un suono ritmato. Uno degli strumenti più usati erano le chitarre, quando se ne poteva permettere l’acquisto, quasi sempre di marca “Stella” perché poco costose. Lo stesso Robert Johnson fece le sue più famose incisioni con uno strumento “Stella”.
Chi era Robert Johnson? Si racconta che fosse un pessimo chitarrista, poi incontrò il “diavolo” ad un incrocio della cittadina di Clarksdale nel Mississippi e barattò la sua anima con la fama. Il diavolo prese la chitarra di Johnson, l’accordò e da allora tutti i più grandi brani blues portano la sua firma (non del diavolo, naturalmente). Robert Johnson finì assassinato. Sempre nei dintorni di questa cittadina un tale Alan Lomax girava le campagne locali per conto della Libreria del Congresso allo scopo di registrare i canti popolari degli agricoltori e si imbattè in Muddy Waters, un contadino del luogo. Inutile dire che dopo quell’incontro Muddy intraprese la carriera di musicista. Se ne andò a Chicago e lì iniziò a registrare i suoi brani blues dando origine proprio alla corrente musicale che prende il nome dalla città.
Cosa è il blues? Una descrizione ce la fornisce Howlin’ Wolf uno dei capiscuola: “Molte persone si chiedono ‘Cos’è il blues?’ ìo, sento molte persone dire “Il blues, il blues” ma voglio dire cos’è il blues…quando non hai soldi, hai il blues, quando non hai soldi per pagarti casa, quando rubi, hai il blues…quando non hai soldi e non puoi pagarti casa o da mangiare, dannazione dovresti avere il blues…perché ti senti un dannato, è proprio quando ti senti un dannato che pensi al blues…” Come vedete si ritorna sempre lì, alla sofferenza espressa nella prima musica country. In Italia, di questi tempi, farebbe vita grama perché il genere fa dell’appartenenza il valore principale, quindi inneggia a vecchi stereotipi e alla patria incasellandolo, probabilmente, come musica “sovranista”. Negli Usa ha anche una città simbolo ed è Nashville nel Tennessee. Qui ci sono 180 studi di registrazione, 130 editori musicali, 100 live club, 80 etichette discografiche, un po’ come fosse la versione canterina della Silicon Valley. In questa città fu sindaco ad Honorem Johnny Cash e aveva i suoi studi di registrazione Elvis.
In Italia il country vivacchia pochino, d’altro canto non abbiamo alle spalle una tradizione tale da comprenderlo appieno. Non ce ne sarebbe manco spazio perché il liscio, ad esempio, ha occupato tutto ciò che può essere destinato ad una musica pienamente popolare. Uno dei pochi, se non l’unico che riesce a farlo in versione italiana è Davide Van De Sfroos: ve lo consiglio. Come dicevo, in Italia siamo ancora a “Oh Susanna”, quando canticchiate questa canzonetta pensate alla storia che c’è dietro. Un saluto da un metro e mezzo, anzi se continua così non so più da quale distanza.