“La speranza, nel tempo di Berardo, era una terra la Marsica”. Monsignor Pietro Santoro celebra, a porte chiuse, la festa di San Berardo Patrono della Marsica
PESCINA- Nella mattinata di sabato 2 maggio, presso la basilica concattedrale di Santa Maria delle Grazie in Pescina, monsignor Pietro Santoro ha celebrato una Solenne Messa dedicata alla figura di San Berardo cardinale, vescovo e patrono dei Marsi. Seguendo le direttive governative il vescovo dei Marsi ha celebrato la solenne Eucarestia: vi riportiamo il testo dell’omelia di mons. Pietro Santoro.
“Tempi di dolore, tempo di volti velati, tempo di sconforto per molti, per tanti. Tempo di lutti senza abbracci, tempo di incertezza in un presente sofferto e per un domani dall’orizzonte inquieto. Tempo di difesa dal contagio aggressivo dentro le nostre case. Case, chiamate ad essere, oggi più di ieri, cenacoli dove ricomporre il vocabolario degli affetti condivisi e donati. Tempo, per dirla con papa Francesco, di preghiera perché “dia al suo popola, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non ritorni”. Tempo di nostalgia. Nostalgia di feste della socialità pubblica ma anche riscoperta di una festa che non è ritualità convenzionale ma è interiorità di speranza, fiducia nell’intercessione dei nostri santi, di quanti hanno contagiato con la santità la nostra terra. Oggi è la festa dell’anima per Pescina, cara e straordinaria città, e per tutta la diocesi dei Marsi. Festa di congiunzione delle nostre anime con san Berardo, affinché con lui si rinnovi un patto di sguardi. Dobbiamo tornare a guardare Gesù come lo ha guardato san Berardo, lasciando che Cristo trasformasse la sua vita rendendola dono totale per il suo popolo.
Questo è stato san Berardo, il pastore buono che ha attraversato le strade della Marsica lottando contro i virus della simonia, delle corruzioni morali e sociali, della violenza sui poveri, del Vangelo scarnificato e manipolato persino dai suoi ministri. È stato il pastore buono Berardo. Ha guidato il suo gregge amando le pecore, una per una, con fermezza e misericordia, difendendole da ladri e mercenari e orientandole versa la verità, non con retorica mondana, non con vesti appariscenti, ma offrendo se stesso come segno incontrabile, toccabile, della presenza di Gesù. All’intercessione di Berardo ci “riaffidiamo” per chiedere al Signore una rigenerazione dei fondamentali del nostro cristianesimo. E i fondamentali sono: la fede, la speranza, la carità. La fede. Berardo ha permesso a Dio di entrare nella storia consegnando a Dio i suoi progetti e mettendosi dalla parte di Dio. Rigeneriamo la nostra fede per essere un popolo che vive di fede. Una fede che ha in Gesù il suo fondamento, che ha nel Vangelo di Gesù, il criterio della sapienza, l’alfabeto delle parole della verità. Occorre togliere tanta polvere dalla nostra fede, per restituirla alla sua origine: l’incontro con Cristo che cambia la vita. Perché la fede non è “credere che…”, “credere che…”. La fede è rendere Dio nel presente. La fede è “collocare” Dio nel presente.
La speranza, nel tempo di Berardo, era una terra (la Marsica) prostrata e avvilita. Una semplice protesi di altre magnifiche ed appariscenti centralità. Berardo ha ridato dignità ad un territorio, ha ridonato speranza, formando un popolo, non composto da individui sfilacciati, ma un popolo dove ogni persona si sentiva custodita da un’altra persona. La speranza non è la virtù consolatoria da consumare nel privato. La speranza è dono da riversare (“spero”), donando speranza (“spero”). Io “spero” quando riesco a dire a Dio, “io appartengo a te”, ma anche quando riesco a dire, ad ogni altro, “tu mi appartieni”. E questa sarà anche la chiave culturale, etica, sociale, non solo religiosa, che ci permetterà di attraversare il dramma della pandemia, custodendoci a vicenda e non guardando il prossimo come una minaccia. E infine, la carità. Berardo, padre “tra” i poveri e padre “dei” poveri, era continuamente fuori dal palazzo per cercare i poveri e donare loro pane e sicurezza. Oggi è tornata l’urgenza della carità, una carità forte, diffusa e diffusiva. La pandemia sta causando ed accentuando ferite antiche: disoccupazione, mancanza di reddito, fragilità non ricomposte, depressioni. Deve tornare il cristiano che ha polverizzato la mediocrità.
La mediocrità è la tomba della fede. Deve tornare il cristiano che si muove verso il bisogno, sapendo che il bisogno non esiste: esiste un volto che “ha bisogno” e che aspetta. Solo chi non fa del suo volto una maschera, diventa capace di non blindare a chiave il suo cuore, ma di renderlo aperto all’accoglienza solidale. Solo la cultura e la prassi del Samaritano può collegare Stato, istituzioni, Chiesa, volontariato, popolo e potrà aiutarci a vivere e a superare il dramma sociale che stiamo percorrendo. Raccolgo tutte le vostre preghiere, quelle che appartengono alle vostre biografie e le collego l’una all’altra. Depongo tutto sull’altare e colloco ogni preghiera, come successore di Berardo, nel cuore di Berardo, affinché lui le trasmetta nelle mani di Gesù. Le mani che ci hanno salvato, le mani che ci salvano, le mani che ci attendono per introdurci nella Gerusalemme del Cielo, quando la fede si cambierà nella contemplazione luminosa del volto del Signore”.